domenica 6 ottobre 2013

Rende bene "amministrare" i palestinesi

Come è noto Mahmūd Abbās, meglio noto al mondo occidentale per il nome di battaglia autoassegnatosi di Abu Mazen, è presidente dell'OLP, presidente del partito Al Fatah, nonché dal 2005 presidente dell'autorità nazionale palestinese (organo nato dagli Accordi di Oslo del 1993, e di fatto cestinati e sepolti dai palestinesi negli ultimi dodici mesi). Come ricorda sconsolata Wikipedia, «pur essendo il suo mandato scaduto a gennaio 2009, egli è ancora in carica, poiché ha prorogato unilateralmente la durata del suo mandato in base ad una clausola costituzionale e poi è rimasto al suo posto alla scadenza della proroga». Un despota a tutti gli effetti, inviso al suo stesso popolo, che ha chiarito il proprio orientamento con le elezioni amministrative tenutesi un annetto fa, da cui il partito di Abu Mazen è uscito sonoramente sconfitto. Ma ciò non gli impedisce di mantenere cariche scadute da quasi cinque anni: la necessità di ammassare ricchezza e potere possono ben far derogare ad un supremo principio democratico. D'altro canto, hanno aspettato così tanto tempo, i palestinesi; che non sarà un oltraggio per essi subire un simile congelamento delle istituzioni. E poi, se l'Occidente non ha nulla da obiettare - salvo contestare un giorno sì e l'altro pure il governo legittimamente rinnovato di Gerusalemme; quello sì... - andrà bene per tutti.
Ammassare enormi ricchezza frutto di corruzione e malaffare diffusi quantomeno indurranno il clan di Abu Mazen a moderazione a livello ufficiale. Insomma, il padrino-padrone (politico) dei palestinesi si accontenterà di un virtuale gettone di presenza; che manco si impegnerà a ritirare, per salvare le apparenze e dare di se' un'immagine sobria e distaccata dal vil denaro. No? sbagliato...
Il sito VisualizingImpact ha calcolato, non senza fatica, gli emolumenti di politici di tutto il mondo. La famigerata Casta. Dobbiamo ricrederci sulla cupidigia dei politici italiani: sono nulla, al confronto del resto del mondo. Un politico dell'autorità palestinese percepisce un'entrata ufficiale di 36.000 dollari l'anno. Che non sono grande cosa; ma la diventa, se si considera che il reddito medio annuo pro-capite.
Per livellare il terreno di gioco, il salario medio dei politici è rapportato al PIL pro-capite, ottenendo una misura comparabile: svetta la retribuzione della casta kenyota, pari a 97 volte il reddito annuale del cittadino medio. Ma in seconda posizione al mondo si colloca proprio il nostro bravo, disinteressato ed efficientissimo politico palestinese, con un'entrata annuale pari a 24 volte il reddito medio. Distanti i membri delle caste di Marocco, Giordania e Libano. A titolo di riferimento, negli Stati Uniti un politico percepisce un'entrata pari a 5 volte il reddito pro-capite dei cittadini. I quali saranno chiamati a pagare imposte e tasse non solo per i politici locali; ma anche per quelli palestinesi: secondo un'indagine del Congresso americano, negli ultimi cinque anni gli Stati Uniti hanno versato all'ANP in media 600 milioni di dollari all'anno; senza considerare i generosi finanziamenti all'UNRWA. L'Unione Europa non è da meno: ogni mese escono dalle casse degli stati europei non meno di 5 milioni di euro; senza contare il denaro spedito da organizzazioni non governative, le donazioni concesse alle agenzie ONU (UNRWA) e i contributi del Regno Unito e di altri stati europei non appartenenti all'area Euro.
Un fiume di denaro. Che alimenta corruzione, malaffare e inefficienza; che sovvenziona riccamente le famiglie dei terroristi che scontano la pena detentiva; e che perdipiù fa dei politici palestinesi i secondi meglio pagati al mondo. E poi hanno pure la faccia tosta di salire all'ONU per moralizzare la platea...

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