lunedì 11 dicembre 2017

Gerusalemme è ebraica da sempre (sai che notizia...)

Circola in questi giorni una statistica rilasciata nel Dopoguerra da una delle tante agenzie ONU (che eclissa nel confronto sulla prolificità la mamma degli stupidi), secondo cui nel 1946 la popolazione di Gerusalemme era equamente divisa fra ebrei (100 mila abitanti) e una combinazione di cristiani, musulmani e altre minoranze (105 mila). Ora, prescindendo dal fatto che la popolazione ebraica costituiva all'epoca maggioranza quantomeno relativa, se non assoluta; occorre riflettere sulla circostanza determinante per cui diverse migliaia di giovani ebrei combatterono in Europa e altrove il nazifascismo sotto le bandiere della Brigata Ebraica e di altre formazioni militari: ciò sacrificava in modo decisivo le statistiche ufficiali.
Al di là di quel preciso momento, rimane un dato storico inoppugnabile: la popolazione ebraica a Gerusalemme è sempre stata maggioranza: relativa, quando non assoluta. Di sicuro lo è stata in tutto il secolo che precedette la guerra che cinque stati arabi scatenarono contro il neonato moderno Stato di Israele, letteralmente poche ore dopo la sua proclamazione solenne.

giovedì 23 novembre 2017

Trump: ai palestinesi non basta concedere il 99%


I palestinesi se la sono menata di nuovo. Stavolta, perché pare che l'amministrazione Trump non ha sposato la loro tesi a proposito del conflitto arabo-israeliano. Sono adirati perché sospettano che l'amministrazione Trump non intenda costringere Israele ad accettare tutte le loro richieste.
La faccenda è postas in questi termini: «se non sei con noi, sei contro di noi. Se non accetti integralmente le nostre rivendicazioni, se un nostro nemico; pertanto, di te non ci possiamo fidare, e non ti riconosciamo come arbitro imparziale nella controversia».
La settimana scorsa sono trapelate voci secondo cui il presidente Trump sta lavorando ad un piano di pace organico in Medio Oriente. Ignoti sono al momento i dettagli del piano. Tuttavia, è certo che il progetto non accoglie tutte le richieste palestinese. D'altro canto, nessun piano di pace lo potrebbe.
Le richieste palestinesi sono quanto mai irrealistiche: includendo, tra l'altro, la richiesta che milioni di "rifugiati" palestinesi (in realtà i superstiti fra coloro che lasciarono Israele nel 1948 sono oggi circa 30 mila, NdT) siano accolti in Israele, e che lo stato ebraico rinunci a territori a favore di un futuro stato palestinese, arroccandosi all'interno di confini indifendibili, che collocherebbero Tel Aviv nel mirino di Hamas.
L'autorità palestinese e il suo leader, l'82enne Mahmoud Abbas, ora giunto al dodicesimo anno di presidenza del suo mandato quadriennale; continua ad insistere che non accetteranno nulla che non contempli uno stato palestinese, sovrano ed indipendente, con i quartieri orientali di Gerusalemme adibiti a capitale, e con i territori strappati da Israele alla Giordania dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, che rientrino nella giurisdizione palestinese. Anche nell'improbabile ipotesi che Abbas firmi un qualche accordo, sussiste la concreta possibilità che un domani non troppo lontano un altro capo gli subentri, stracciando l'accordo e dichiarandone la nullità; poiché sottoscritto da un presidente irregolare.

martedì 21 novembre 2017

Che fine ha fatto la legge italiana "anti BDS"?

Giace in Commissione Giustizia del Senato un disegno di legge, originariamente depositato ad agosto 2015, che porrebbe l'Italia all'avanguardia e in prima linea nella lotta al moderno antisemitismo: quello goffamente mascherato da «innocuo e pacifico» antisionismo. Il DDL, dal titolo "Norme contro le discriminazioni" - primo firmatario Luigi Compagna - si compone di tre articoli, e vede fra i promotori autorevoli legislatori del calibro di Emma Fattorini, senatrice PD, membro della Commissione per la protezione e promozione dei diritti umani; nonché Paolo Corsini, già relatore della legge di ratifica dell'Accordo tra Italia e Israele in materia di pubblica sicurezza.
Il DDL punta il dito contro il movimento definito «Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni» (BDS); che, accantonando il proposito di supportare e incoraggiare il cammino del popolo palestinese verso la democrazia, bersaglia direttamente lo stato ebraico: nelle sue istituzioni scientifiche, accademiche, commerciali ed istituzionali.

lunedì 20 novembre 2017

P come Palestina?


Nell'ansia spasmodica di produrre una narrativa - oggi si suole parlare di "storytelling" - che ingeneri nella distratta opinione pubblica la sensazione che uno stato arabo chiamato "Palestina" sia sempre esistito; i filopalestinesi indulgono in iniziative che sfociano nel grottesco.
È il caso di un abecedario che ha fatto la sua comparsa in alcune librerie di New York. Eloquente il titolo: "P come Palestina"; non tanto per il proposito citato, quanto per un grossolano errore di partenza: la lettera "P" nell'alfabeto arabo non esiste; come d'altro canto l'equivalente della nostra lettera "G".
Le mamme che hanno avuto la sventura di imbattersi in questo atto di propaganda hanno espresso tutto il loro disappunto alla stampa locale: lo stato di Israele non è riconosciuto; in compenso, la lettera "I" celebra l'intifada, che ha seminato orrore nella società israeliana nella prima metà dello scorso decennio.

domenica 19 novembre 2017

I palestinesi non l'hanno presa bene, e ora minacciano gli USA


Non l'hanno presa granché bene.
Come è noto, ieri l'amministrazione Trump ha annunciato il mancato rinnovo della licenza che consente all'OLP di mantenere negli Stati Uniti un ufficio di rappresentanza. Un modo diplomatico per prendere le distanze da un'organizzazione responsabile del rifiuto di tutte le proposte di pace pervenute da Gerusalemme negli ultimi decenni.
In un video pubblicato su Twitter Saab Erekat, capo negoziatore e segretario generale dell'OLP ha adottato toni fermi ma minacciosi, dichiarando «inaccettabile» la decisione americana, e aggiungendo: «se chiuderanno ufficialmente la nostre sede di Washington DC, cesseremo tutti nostri contatti diplomatici con l'amministrazione americana».
Pochi giorni prima, il Congresso USA aveva approvato una legge che vincola le sovvenzioni americane all'eliminazione di ogni forma di supporto a favore delle famiglie dei terroristi palestinesi. Ancora oggi, difatti, malgrado le rassicurazioni di facciata, una larga fetta dei contributi internazionali è impiegata per sussidiare i palestinesi - e relative famiglie - che compiano atti di terrorismo ai danni dei civili israeliani.

giovedì 16 novembre 2017

Gli americani negano i fondi ai terroristi palestinesi? nessun problema: ci penseranno gli europei...

Kristine Luken era una cittadina americana residente nel Regno Unito. Nel 2010 si trovava in Israele, con una sua amica: con cui si stava arrampicando sulle colline alla periferia di Gerusalemme, quando fu avvicinata da due palestinesi, che le chiesero in ebraico dell'acqua. Il sesto senso indusse la sua amica ad esortarla di tornare indietro. Troppo tardi: mentre ripiegavano verso il villaggio di Mata, ad ovest della capitale israeliana, i due palestinesi avvicinarono la coppia, colpendola ripetutamente con dei coltelli. L'amica riuscì a scappare, Kristine Luken perse la vita. I palestinesi in seguito ammisero l'omicidio della donna, profondamente legata allo stato ebraico.
Il sacrificio di Kristine Luken non è stato vano. Il Congresso americano ieri ha approvato in via definitiva il Taylor Force Act, una normativa bipartizan che dispone il congelamento delle sovvenzioni americane all'Autorità Palestinese, fin quando l'AP si impegnerà ad abrogare il sistema di sussidi e premi in denaro a favore dei terroristi palestinesi e delle loro famiglie. Il provvedimento è stato approvato grazie anche all'appoggio della minoranza democratica, inizialmente persuasa da Abu Mazen che ciò avrebbe danneggiato i palestinesi più indigenti. Nulla di più falso, evidentemente.

sabato 28 ottobre 2017

Fedez e J Ax inventano l'Intifada romantica


Gli spettatori di X Factor l'altra sera hanno trasalito. Due rapper sono saliti sul palco e hanno intonato (meglio: stonato) i versi di una canzone che sta per essere spietatamente propagata da media e radio commerciali. Sarebbe un'opera dedicata alla fidanzata di uno dei due, la nota fashon blogger Chiara Ferragni.
Non sapremmo giudicare a fondo né se l'impegno sarà ricambiato, e la coppia convolerà a giuste nozze; né se il disco andrà incontro a travolgente successo. Speriamo di no - non ce ne vogliano i dirigenti di SKY - perché il brano contiene una dedica che suona dolorosamente beffarda per migliaia di famiglie che hanno perso i propri cari per mano del terrorismo palestinese.

venerdì 6 ottobre 2017

Belli, i tempi dell'occupazione israeliana


L'UNCTAD (la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo, NdR) ha rilasciato il mese scorso un rapporto, intitolato "Assistenza al popolo palestinese: lo sviluppo economico nei territori palestinesi occupati", con cui si tenta febbrilmente di distorcere le statistiche in modo da far ricadere sugli israeliani i mali dell'economia palestinese. A ben vedere, però, i dati mostrano una realtà diversa.
Quando West Bank e Gaza erano sotto il pieno controllo israeliano, la disoccupazione fra i palestinesi era virtualmente inesistente: il 2.8% della forza lavoro (NdR: a titolo di riferimento, il tasso di disoccupazione è oggi del 3.0% in Svizzera, del 3.6% in Germania, del 4.1% in Israele e del 4.4% negli Stati Uniti. Paesi senza dubbio in boom economico, o comunque dal ciclo economico solidissimo). Ma dopo l'approvazione degli Accordi di Oslo del 1993 la disoccupazione nei territori palestinesi montò, in concomitanza con la decisione dell'OLP di dichiarare guerra ad Israele.

giovedì 28 settembre 2017

Un palestinese denuncia all'ONU la corruzione del regime di Abu Mazen


È stata una giornata memorabile, quella di lunedì a Ginevra. Dove si è tenuta la 36esima sessione del Consiglio ONU per i Diritti Umani (OHCHR), un organismo composto da 47 nazioni, che con i diritti umani sovente non hanno alcuna confidenza: Qatar, Venezuela, Cina, Cuba, Egitto, Iraq, Arabia Saudita vi dicono qualcosa?
Un organismo autoreferenziale, corrotto e degno di fare la stessa fine della omologa Commissione ONU per i Diritti Umani, cancellata nel 2006 per manifesta incapacità di perseguire l'obiettivo originario della «promozione ed incoraggiamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali». Di fatto, questo costosi carrozzoni servono per fornire a stati canaglieschi una ribalta mediante la quale scagliarsi contro l'unico stato che in Medio Oriente garantisce da sempre democrazia, tutela delle minoranze, pluralità e libertà di pensiero, di culto e di espressione.
Anche questa sessione dell'OHCHR ha seguito il copione abituale: il tema all'ordine del giorno, manco a dirlo, era la situazione dei diritti umani in "Palestina". Erano iscritti a parlare il delegato dell'OLP: «Israele continua la sua politica coloniale e le sue violazioni»; quello siriano: «Israele persegue la giudeizzazione di Gerusalemme; il Qatar: «le violazioni razziste perpetuate da Israele...»; la Nord Corea: «Israele continua a commettere violazioni dei diritti umani in palestina». Di analogo tenore i deliri profferiti dai delegati di Pakistan, Venezuela e Iran: solita solfa, che ormai annoia anche chi odia a morte lo stato ebraico. Non se ne può più.
Ma quando il presidente dell'assemblea concede la parola al palestinese Mosab Hassan Yousef, il palazzo trema.

domenica 17 settembre 2017

L'inferno delle carceri palestinesi


Era come in un film dell'orrore. Legato al soffitto. Il suo inquisitore, palestinese, lo percuoteva sulle gambe. Gli hanno negato il cibo per un lungo arco di tempo, e quando gliel'hanno concesso, era a mala pena mangiabile.
Quando Sami, un palestinese di Nablus (nome e origine sono di fantasia per motivi di sicurezza) si addormentava o impiegava più di un minuto in bagno, i carcerieri gli gettavano acqua in faccia. Ed era acqua "buona".
Quando volevano fare sul serio, gli gettavano acqua bollente sul petto.
I segni sul corpo degli interrogatori subiti sono ora meno evidenti rispetto a quindici anni fa. Ma molte cicatrici sono ancora visibili.
Prossimo ai 40 anni, Sami di recente ha rivelato la sua storia al Jerusalem Post. Oscilla fra la depressione e un inquietante distacco del corpo dagli eventi: residui evidenti di sopravvivenza ad un trauma estremo.
Quando cinque agenti dei servizi segreti palestinesi lo prelevarono a forza dalla sua abitazione, in un pomeriggio ai tempi della seconda intifada, circa quindici anni fa, Sami era un giovane. Fu l'ultimo dei suoi giorni normali.

domenica 10 settembre 2017

Da quale pulpito scese la predica...

Danske Bank è il più grande istituto di credito di Danimarca. Nel 2014 la banca danese assecondò le istigazioni del movimento internazionale di boicottaggio di Israele, inserendo Bank Hapoalim nell'elenco di compagnie con cui non avrebbe più avuto relazioni di ogni sorta. La decisione, fu reso noto tre anni fa, era dettata dall'attività di finanziamento degli insediamenti ebraici in West Bank da parte della banca israeliana. Coerentemente, in precedenza Danske Bank aveva troncato ogni rapporto con Elbit Systems e Danya Cebus: rinomate aziende dello stato ebraico.
Quale nobiltà d'animo! quale profonda adesione ai genuini principi del politicamente corretto. Un campione di moralità, esemplare per il resto del mondo...

sabato 9 settembre 2017

La bufala dei cristiani minacciati in Israele

Un articolo fuorviante su Newsweek afferma: «Israele condannata per la minaccia apportata al futuro della cristianità in Terra Santa». E aggiunge: «il leader della Chiesa (cattolica, NdT) a Gerusalemme accusano Israele di minare la cristianità in Terra Santa, indebolendo la fede sullo sfondo di vistose tensioni in Medio Oriente».
Di sicuro l'accusa fa effetto, ma in Israele è pacifico per tutti che l'affermazione è relativa ad una specifica obiezione ad una complessa operazione immobiliare. Tuttavia, astraendo dal contesto, un lettore della versione internazionale di Newsweek può essere indotto a pensare che Israele magari massacri i cristiani, distruggendo la storia della cristianità come d'altro canto accade in tutto il Medio Oriente, per mani dello Stato Islamico o di altri.
Al contrario del titolo sensazionalistico di Newsweek, invece, Israele è di fatto l'unico stato in Medio Oriente ove la popolazione cristiana è non solo sicur, ma anche fiorente e in crescita.

venerdì 8 settembre 2017

Quando ONG e media si voltano dall'altra parte...

Issa Amro è un giovane palestinese. Un attivista per i diritti umani, che si batte contro gli "insediamenti" ebraici nel West Bank. Residente ad Hebron, è più volta balzato agli onori della cronaca, grazie alla totale e tempestiva disponibilità dei media internazionali; sempre pronti a glissare sullo spirito tollerante e democratico di Israele, e viceversa a fornire microfono e taccuino a chi abbia qualcosa da recriminare nei confronti dello stato ebraico. Fosse l'accusa fondata o anche solo vagamente credibile (dopotutto, viviamo nell'epoca della post-verità, no?). Insomma, in poche parole Issa Amro da Hebron è per Gerusalemme un autentico rompicoglioni, oltre che un personaggio tutt'altro che non violento, come ama definirsi.
È per questo motivo che non si comprende come mai, nelle ultime ore, proprio non riesca a fare notizia l'arresto di Amro, pur denunciato da Amnesty International (mai tenera con Israele, per usare un eufemismo). I media arabi che hanno riportato la circostanza, tendono ad ingentilire l'accaduto, tentando grottescamente di rovesciarne le responsabilità - al solito - su Gerusalemme.

mercoledì 6 settembre 2017

L'occupazione illegale di Gerusalemme Est

Sentenza storica - è il caso di dire - quella pronunciata ieri da un tribunale israeliano. Dopo una lunghissima battaglia legale, gli eredi di una famiglia vissuta in una abitazione di Sheikh Jarrah, sobborgo a nord-est di Gerusalemme, hanno ottenuto lo sfratto nei confronti della famiglia Shamasneh, che quella casa ha occupato dal 1964.
I quartieri orientali di Gerusalemme furono occupati all'indomani della guerra scatenata nel 1948 dagli stati arabi nei confronti del neonato stato ebraico. Il conflitto si concluse nel giro di pochi mesi; ma la Giordania occupò illegalmente "Gerusalemme Est" per 19 lunghi anni, disponendo la distruzione di sinagoghe e luoghi di culto, e praticando una dolorosa pulizia etnica nei confronti della popolazione ivi residente da secoli. L'abitazione in questione, di proprietà di una famiglia ebrea fino al 1948, fu assegnata dalla potenza occupante ad una famiglia araba, che vi si insediò senza alcun titolo legale.

martedì 5 settembre 2017

I Carabinieri hanno addestrato i filonazisti palestinesi?

Al termine di un'operazione coordinata fra Shin Bet, i servizi segreti israeliani, e l'IDF; è stato tratto in arresto e in seguito giuicato dal tribunale militare di Giudea Muhammad Al-Sawiti. L'agente, palestinese, membro dei servizi di sicurezza dell'ANP (quelli addestrati negli anni passati dalle missioni dei Carabinieri italiani nel West Bank), è stato accusato di apologia del nazismo e incitamento alla violenza nei confronti degli ebrei.
In effetti la pagina Facebook di chi è stato addestrato per garantire sicurezza e ordine pubblico, pullula di immagini raffiguranti Adolf Hitler e Adolf Eichmann, corredate da attestazioni di stima della guardia palestinese. L'esaltazione del nazismo era finalizzata ad incoraggiare atti di terrorismo nei confronti degli israeliani e delle comunità ebraiche residenti in Giudea e Samaria.

lunedì 4 settembre 2017

Premiata ditta antisemita Tamimi

Che cosa induce Al Jazeera a definire questa donna una "supermamma", e adirittura le Nazioni Unite ad incoronarla come "difensore dei diritti umani"?
A quanto pare la signora, residente a Nabi Saleh (non lontana da Ramallah) e madre di quattro figli, è assurta agli onori della cronaca per aver giurato che gli ebrei «bevano il sangue dei palestinesi».
Da più di sette anni, ogni venerdì, la supermamma palestinese si dirige verso il vicino villaggio ebraico di Halamish, per invocarne la distruzione. È il villaggio tristemente noto per aver fatto da cornice alla barbara uccisione, lo scorso luglio, di tre membri della famiglia Salomon, mentre questa era riunita per celebrare la cena dello Shabbat. Un villaggio teatro di scontri ogni settimana fra i membri di questo clan, sempre ben attenti ad essere a favore di telecamera, e le forze di sicurezza che prontamente intervengono per proteggere i residenti.

martedì 29 agosto 2017

You don't mess with Israel (brutto colpo per il BDS)

Non è bizzarro? Due anni fa, qui sul Borghesino, si segnalava una serie di iniziative ostili nei confronti di Israele da parte del piccolo stato artico, improntate ad una patetica ottusità: dal bando di tutti i prodotti israeliani, al voto favorevole all'esposizione della bandiera palestinese davanti al Palazzo di Vetro. Un acuto osservatore faceva facilmente rilevare che quell'iniziativa, tanto clamorosa quanto velleitaria, avrebbe dovuto essere accompagnata per essere credibile, dal boicottaggio di telefoni cellulari e personal computer: tutti alimentati da tecnologia Made in Israel.
Non è stato necessario attendere molto per ottenere una comprova di quelle riflessioni. In questi giorni in Islanda fa notizia il lancio del primo servizio commerciale al mondo di consegna di generi alimentari, realizzato esclusivamente mediante droni (UAV). Flytrex, è il nome della società, rifornirà i quattro angoli della capitale, di prodotti provenienti da AHA (strana assonanza con la Ahava israeliana...), il più grande e noto marketplace di Reykjavík. Data l'orografia del territorio islandese, i tempi di consegna saranno drasticamente abbattuti: da 20-25 minuti, a non più di quattro minuti, per una riduzione fino al 60% dei costi di consegna. E con il completo abbattimento delle emissioni tossiche: i droni sono elettrici al 100%.

lunedì 28 agosto 2017

Il Fronte popolare per la liberazione della palestina si presenta alle elezioni tedesche


Per fortuna le elezioni politiche calendarizzate in Germania per il prossimo 24 settembre, di tanto in tanto producono qualche scossone che risveglia dall'apatia che ci condurrà ad un prevedibilissimo quarto mandato di Cancellierato per la signora Merkel.
Il Jerusalem Post riporta oggi - e non sembra trattarsi di un Pesce d'Aprile tardivo - che il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP), una organizzazione terroristica classificata come tale in tutta Europa e negli Stati Uniti, responsabile dell'assassinio di diverse diecine di civili; punta addirittura a fare il suo ingresso nel Bundestag, la Camera bassa di Berlino. Il cavallo di Troia sarà prestato dal partito marxista-leninista tedesco, un'organizzazione di estrema sinistra che in questo modo punterebbe ad aggirare la soglia di sbarramento prevista dalla legge elettorale tedesca, e che ha rigettato oggi la richiesta di chiarimenti della stampa.

venerdì 25 agosto 2017

Clamoroso: la Casa Bianca accantona la "soluzione dei due stati"

Clamorosa dichiarazione del Dipartimento di Stato USA.
Senza mezzi termini o giri di parole, il portavoce della diplomazia USA, Heather Nauert, ha dichiarato che la "soluzione dei due stati per due popoli" non è l'obiettivo della corrente amministrazione della Casa Bianca. Frustrata e indisposta dalle menzogne seriali di Abu Mazen, dal continuo incoraggiamento del terrorismo palestinese, dall'impiego di ingenti fondi internazionali per sovvenzionare gli attentatori suicidi; la presidenza Trump ha compreso che il massimo obiettivo correntemente conseguibile, è un accordo di pace fra le parti (israeliani e palestinesi, NdR), che non necessariamente conduca ad un riconoscimento statuale.
Abu Mazen a Washington ha fatto una pessima impressione, non fornendo mai la sensazione che fosse vagamente disposto a mettere da parte l'incitamento alla violenza. Nella capitale americana hanno realizzato che l'obiettivo dei "due stati" non è condiviso nemmeno da Ramallah, che nei fatti, nelle dichiarazioni e persino nei documenti ufficiali, persegue un solo obiettivo: uno stato unico, palestinese, a danno dell'esistente stato ebraico, di cui persino si disconosce l'esistenza e la legittimità. Ha colpito gli osservatori la sconsolata affermazione della Nauert, secondo cui il perseguimento della soluzione dei "due stati", «dopo diversi decenni, è fallito».

mercoledì 23 agosto 2017

In Europa il terrorismo si combatte con le barzellette

Qualcuno perfidamente ha commentato: «Europa, un gigante economico, un nano politico, un verme militare». Ciò non toglie che nel Vecchio Continente gli umoristi non difettino. Si vive la vita alla leggera, malgrado le crescenti minacce del terrorismo islamico, che ha appreso egregiamente la lezioni degli omologhi palestinesi degli ultimi due anni. Colpito dal terrorismo palestinese, incitato dalle quotidiane esortazioni di Abu Mazen - e incoraggiato dalle generose disponibilità delle casse palestinesi, alimentate con contributi occidentali - Israele ha affrontato l'emergenza con lucido pragmatismo: rafforzando l'intelligence, prevedendo il crimine e salvaguardando le fermate dei bus, le aree pedonali e gli accessi a negozi e centri commerciali. L'Europa ha inizialmente stigmatizzato la decisione di Gerusalemme di non lasciare che i propri cittadini si immolassero ad Eurabia, in nome del politicamente corretto. Non a casa la sindaca di Barcellona è stata fra la più entusiasta sostenitrice di un patrocinio in Catalogna del BDS, lo sfortunato movimento di boicottaggio dello stato ebraico.

lunedì 5 giugno 2017

Pallywood è sbarcata a Londra. Presto in tutta Europa...

 
 
Hanno un bel coraggio a dire che il terrorismo islamista che sta insanguinando le strade delle città europee, sia diverso dal terrorismo palestinista che da anni tenta di colpire a morte Gerusalemme, Tel Aviv e le altre città israeliane.
I metodi adottati dai terroristi sono gli stessi, e non manca il contorno di mistificazioni della realtà, ad uso e consumo dell'ignaro osservatore occidentale.
In Medio Oriente è ormai consolidato il termine "Pallywood" per definire quel mondo fittizio, basato sull'operato di fotoreporter, cineoperatori, giornalisti complici o consenzienti, attori dilettanti, comparse e figuranti; finalizzato a simulare aggressioni subite dai palestinesi ad opera naturalmente dei perfidi israeliani. La realtà ridicolizza sempre queste grottesche messinscene.
Pallywood è anch'essa sbarcata in Europa. Guardate qua: la CNN è stata beccata in flagrante, mentre organizza una messinscena, nei pressi del London Bridge ove è avvenuto l'ultimo attentato terroristico nel Regno Unito. La giornalista e i producer dispongono un gruppetto di donne, dotate di cartelli e vestite in modo tale da chiarire immediatamente la loro origine. Alcune a quanto pare non sono alla loro prima esperienza simile. I poliziotti britannici bianchi sono allontanati, mentre agenti di pubblica sicurezza di origine asiatica - pakistana, o cingalese, si direbbe - sono introdotti al centro della scena per rafforzarne il messaggio.
Nelle intenzioni del reporter della CNN questo video artefatto doveva ingenerare nell'opinione pubblica il convincimento che c'è un Islam moderato che si oppone, si ribella all'estremismo islamico, e solidarizza con le vittime occidentali. Vorremmo crederlo tutti. Purtroppo il servizio è stato creato ad arte, è una patacca, è un set cinematografico al servizio di una retorica fragile e ripugnante. Una presa in giro che ci offende, e che ci fa realizzare quanto parziali siano stati i resoconti della CNN (e della BBC) dal Medio Oriente, quando è stato affrontato il conflitto arabo-israeliano. A poco sono servite le precisazioni della CNN delle ultime ore.
Possiamo soltanto augurare a questi "giornalisti" di andare a lavorare in Corea del Nord: là la propaganda di regime è apprezzata e ben remunerata.

martedì 28 marzo 2017

Uno stato palestinese esiste già

Tralasciando di fatto la Striscia di Gaza, de facto stato palestinese, se non fosse per la natura violenta del potere assunto da Hamas con il colpo di Stato del 2007 (la Conferenza di Montevideo nega il riconoscimento statuale alle entità bellicose nei confronti degli stati confinanti); esiste già uno stato palestinese: Abu Mazen si dia pace.
Tutti sanno che l'80% dei sudditi di Giordania si professano "palestinesi". Facciamo però un passo indietro: Rania Al-Yassin è la moglie dell'attuale re di Giordania, Abdullah. È nata in Kuwait, ma i suoi genitori sono nati a Tulkarm, nell'odierno Israele. Questo la porta a definirsi palestinese. Facciamo finta che sia così.
Ciò vuol dire che suo figlio, il principe ereditario Hussein bin Abdullah, è per metà palestinese. A meno che si accetti la definizione originale fornita dall'UNRWA, secondo cui la discendenza si trasmette al 100%: nel qual caso il figlio di Abdullah sarebbe del tutto palestinese.

venerdì 24 marzo 2017

Il Walled Off Hotel conferma che la "Palestina" è una patacca

Continua la buffa vicenda dell'albergo voluto e finanziato da Bansky a Betlemme, fra l'entusiasmo iniziale e la cautela successiva dei filopalestinesi. Su Facebook e qui su Blogspot abbiamo immediatamente segnalato come il costoso albergo dell'eccentrico artista, costituiva un clamoroso autogol per la "causa". Non a caso nei forum antiisraeliani si leggono parole di fuoco all'indirizzo della struttura ricettiva; l'ennesima, peraltro, nei territori palestinesi. Il recente resoconto fotografico di Daily Beast aggiunge ulteriore benzina sul fuoco, rivelando testimonianze visive che abbiamo già avuto modo di apprezzare negli anni passati; è solo che non era mai capitato di scorgere, nel museo di una istituzione sulla carta filopalestinese, una chiara prova della presenza millenaria del popolo ebraico in quella che oggi i benpensanti chiamano "Palestina".
La Palestina è sempre esistita: perlomeno da quando Adriano così ribattezzò ("Syria Palaestina"), in spregio agli ebrei che la popolavano, nel 135 dopo Cristo, le province giudaiche dell'impero romano. Le stesse disposizioni cambiarono il nome di Gerusalemme in Aelia Capitolina, sancendo il divieto per il popolo ebraico di risiedere nella Capitale Eterna.
Ma torniamo al nostro simpatico alberghetto, e lasciamo la parola all'imprescindibile
Elder of Ziyon, del cui resoconto ci prendiamo la licenza di tradurre.

Diamo dunque un'occhiata a questi famosi poster ospitati nel Museo Bansky palestinese.

lunedì 13 marzo 2017

Gaza adesso esporta le kippah: agli israeliani!

Cosa c'è di più gustoso di un fallimento epico del movimento internazionale che cerca in tutti i modi di screditare, danneggiare e colpire lo stato ebraico?
Uno delle consuetudini più simpatiche, per chi visita per la prima volta Israele, consiste nell'acquistare una kippah, il famoso copricapo ebraico. Le kippot sono disponibili ovunque e per tutte le tasche. Nei luoghi sacri, come il Muro Occidentale di Gerusalemme, sono prestate gratuitamente in occasione della visita; ma vale la pena di comprarne una nei tanti negozietti dei vicoli della capitale per portarla a casa come ricordo di questa straordinaria esperienza.
Succede talvolta che la produzione domestica è insufficiente a soddisfare la domanda; sicché Gerusalemme si rivolge all'estero, da cui importa una parte considerevole delle kippah. Fin qui nulla di strano, se non fosse che una parte di esse proviene dalla vicina Striscia di Gaza. Proprio così: in un campo profughi di al-Shati, assurto due anni fa agli onori della cronaca, le macchine lavorano incessantemente per produrre kippot che saranno vendute al vicino Israele.

venerdì 10 marzo 2017

Perché le compagnie aeree ignorano Israele?


È quello che si chiede una volta tanto il settimanale britannico The Economist, nell'ultimo numero. In una riflessione firmata da "Gulliver", datata 8 marzo, il periodico rileva una consuetudine radicata fra le compagnie aeree mondiali: alcune mostrano sulla mappa delle rotte praticate tutti gli stati, anche i più microscopici ed ignoti; altre, soltanto gli stati raggiunti come destinazione dei voli. C'è poi, ignorata dai più, una terza tipologia di vettori aerei: quelli che ignorano deliberatamente uno Stato, prescindendo dal fatto che esso sia sorvolato quando non addirittura toccato dalle rotte. Si tratta, manco a dirlo, di Israele.
L'Economist attinge da un nuovo studio, dal titolo Discriminatory Product Differentiation: The Case of Israel’s Omission from Airline Route Maps, pubblicato a febbraio dall'Università del Minnesota, e basato su un campione di ben 111 compagnie aree. Escludendo quelle del Medio Oriente, le compagnie aeree si muovono come indicato in precedenza: o menzionano sulle mappe Israele o, se non lo fanno, è perché lo scalo internazionale Ben Gurion di Tel Aviv non è raggiunto.

mercoledì 8 marzo 2017

L'autogol del Walled Off Hotel

Sapete perché la faccenda del Walled Off Hotel di Betlemme è stata frettolosamente accantonata dai filopalestinesi?
perché è spuntata una targa, apposta nei pressi dell'ingresso dell'albergo, che chiarisce la filosofia della struttura ricettiva, di cui godranno nei mesi a venire i suoi facoltosi clienti.
Si chiarisce che «non è il momento opportuno per prendere posizione», che i palestinesi «vivono in condizioni disagiate» (un bel passo in avanti rispetto alla retorica pelosa della «prigione a cielo aperto», a cui evidentemente non crede più nessuno), non vi è cenno ad alcuna occupazione.
Si parla di West Bank, suscitando l'indifferenza dei giordani, che quella sponda del fiume l'hanno abbandonata nel 1967 e non intendono più rioccuparla; la perplessità degli ebrei, che da millenni sono abituati a leggere sulle mappe i nomi di Giudea e Samaria, in luogo di una definizione adottata per 19 anni; e l'ostilità degli israelofobi, che non leggono il magico ma vuoto nome di "Palestina".

lunedì 6 marzo 2017

La tragedia del BDS: dilaga la disoccupazione fra i palestinesi


di Eden Gorodischer*

Sul volto di Haytam lo sconcerto è evidente. Si capisce benissimo che sta cercando di metabolizzare ciò che ha appena appreso. Per Haytam l'occupazione è tutto: gli consente di vivere e di sostenere i suoi bambini. Senza di esso, non riesce ad immaginare che ne sarebbe della sua famiglia. Haytam è palestinese, e gli sono stati appena comunicati gli sforzi profusi per sabotare fino alla chiusura la fabbrica in cui lavora, situata nella cittadina israeliana di Ariel.
A minacciare di chiusura questa azienda non sono i proprietari. Ne' tantomeno le autorità. L'incitamento in tal senso giunge dagli Stati Uniti, dove da una diecina d'anni in alcuni università studenti e docenti antiisraeliani fanno pressione affinché sia sospesa la collaborazione con gli atenei israeliani. Dicono che lo fanno per assecondare le richieste della società palestinese. Mentre lo rivelo ad Haytam, scorgo dallo sgomento nei suoi occhi che la rivendicazione è grottesca.
Gli sforzi protesi all'isolamento culturale e soprattutto economico dello Stato di Israele non hanno fatto proseliti, negli Stati Uniti. Malgrado quanto si affanni a precisare la Palestine Solidarity Alliance (PSA) e la Students for Justice in Palestine (SJP), queste iniziative hanno lasciato indifferenti i campus americani. A dirla tutta, nessuna facoltà si è mai sognata di interrompere gli investimenti nelle aziende israeliane. Nel frattempo, qui all'Hunter College di New York il consiglio studentesco riceve pressioni affinché voti a favore di una normativa che metterebbe al bando Israele nelle aule dell'università. Se il provvedimento passasse, l'Hunter sarebbe un luogo poco sicuro per chiunque sostenga Israele e spero che un giorno arabi e israeliani possano lavorare fianco a fianco: nelle industrie di Ariel, come in tutta l'area.

Il boicottaggio di Israele non giova infatti ai palestinesi. quando mariti e padri restano a casa, senza lavoro, le famiglie palestinesi come quella di Haytam ne risentono enormemente. Si tratta di un caso tutt'altro che isolato: ci sono molte aziende israeliane che impiegano palestinesi in lavori qualificati, assicurando a tutti eque condizioni a prescindere dal credo religioso o dall'orientamento politico. In media, i palestinesi che lavorano per aziende israeliane portano a casa una remunerazione pari al doppio rispetto ai più sfortunati che lavorano per aziende arabe. Spesso i salari sono persino superiori a quelli dei colleghi israeliani della medesima azienda. Si stima che 120 mila palestinesi lavorano per aziende israeliana, e il governo di Gerusalemme è impegnato affinché la forza lavoro cresca fino a 300 mila unità.
Se gli atti di boicottaggio economico posti in essere dal movimento BDS avessero successo, tutta questa gente resterebbe senza lavoro, gettando sul lastrico centinaia di migliaia di famiglie. Per molti, inclusi gli studenti qui dell'Hunter College, Israele non è soltanto un puntino sull'atlante. È la propria casa. È un luogo che ospita pacificamente cristiani e musulmani che godono di diritti civili come in nessun altro posto del Medio Oriente.
Gli sforzi di queste organizzazioni studentesche non arrecano giustizia alla società palestinese: colpire Israele danneggia soltanto i palestinesi. Non c'è nulla di filopalestinese in questi movimenti.
Io mi batto per i diritti umani qui e in tutto il mondo. Mi impegno a fondo affinché tutti abbiano le stesse opportunità. E sono perfettamente consapevole che questo tipo di provvedimenti non risolverà il conflitto in Medio Oriente: creerà soltanto ulteriori tensioni nelle aule universitarie.

* Studentessa di Psicologia all'Huter College
Fonte: The Observer.

venerdì 3 marzo 2017

Fermate quel genocidio!

La popolazione ebraica è scomparsa in tutti gli stati arabi. In Iran nel 1948 c'erano 120.000 ebrei; sono rimasti in poche migliaia. In Marocco, che pur prima dell'avvento nel nazismo ostentava la Stella di David sulla sua bandiera, la popolazione ebraica è stata decimata a 1.500 anime, dalle 260 mila del Dopoguerra. Azzerata la popolazione in Tunisia, in Libia e in tutta l'Africa settentrionale: assoggettata a pulizia etnica dopo la fondazione del moderno Stato di Israele. E dire che si trattava di una minoranza operosa, laboriosa, ben integrata nella società; che di punto in bianco ha dovuto rinunciare ad una nazione, a proprietà, mestieri e professioni, vincoli parentali e affettivi, andando incontro ad un futuro da profugo per cui nessuno ha avvertito l'esigenza umana di creare un'agenzia ad hoc; sulla falsariga di quanto fatto con l'UNRWA per i palestinesi.

mercoledì 1 marzo 2017

Gerusalemme è ebraica da sempre

Il 1917 è un anno cruciale nella travagliata storia di Gerusalemme: appena meno di un secolo fa, la capitale eterna del popolo ebraico era liberata dalle truppe inglesi, che il 10 dicembre 1917 scacciavano l’esercito turco da Gerusalemme, portando la metà meridionale della Palestina sotto il controllo britannico. Alla fuga dei turchi, il generale Allenby, comandante delle forze inglesi, entrava a Gerusalemme e rilasciava una proclamazione in inglese, ebraico ed arabo: l’Inghilterra avrebbe rispettato i diritti di tutti i cittadini, incluse le minoranze.
Ma qual'era la scomposizione della popolazione residente a Gerusalemme, un secolo fa? Ci viene in gradito aiuto un quotidiano dell'epoca, il l'Irish Standard che, nell'edizione del 22 dicembre 1917, così riportava ai suoi lettori: «Gerusalemme ha una popolazione di circa 70.000 persone, di cui i due terzi sono ebrei; il resto della popolazione è composta da cristiani e musulmani, in ragione approssimativamente di due ad uno».

lunedì 27 febbraio 2017

Aiuto: da quando denigro Israele il mio iPhone non funziona più!

Quora è una piattaforma di condivisione di informazioni, del tutto simile al popolare servizio Yahoo! Answers: un utente, a digiuno di una tematica, si rivolge ad un pool di esperti o sedicenti tali, alla ricerca di una soluzione al suo problema. Che si tratti del conto corrente bancario, di una disputa condominiale, di come sbloccare il tappo a vite della conserva o di come gestire una imbarazzante verginità; queste piattaforme hanno reilluminato la vita di molte persone; e scatenato l'ilarità di altre, per la natura grottesca dei quesiti talvolta proposti, e delle risposte sovente inoltrate.
Ieri ad esempio ha suscitato attenzione il post di un utente - tale Chuck Rogers, piuttosto seguito, e attivo nel fornire risposte - che si è rivolto in termini perentori alla platea degli esperti, chiedendo: «come mai, da quando passo il tempo online a parlar male di Israele, il mio iPhone ha visibilmente rallentato?»
Mobilitazione dei cospiratori: gli informatici sionisti, fra un sabotaggio delle centrali nucleari iraniane e un depistaggio degli squali verso gli altrimenti tranquilli lidi islamici, hanno trovato tempo e modo di disturbare questo pacifico ex dipendente Apple (che ce ne vuole, a farsi sbattere fuori dalla Mela). Congiura!!!

venerdì 24 febbraio 2017

Il mondo accademico strizza l'occhio ad Israele (ma l'Italia si astiene)

Dal 2000 la spesa in R&D si attesta in Israele a non meno del 4% del prodotto interno lordo
L'impegno israeliano per l'istruzione, la ricerca post-universitaria, l'innovazione e lo sviluppo, sono noti in tutto il mondo, e tutto il mondo beneficia della ricerca applicata prodotto nel piccolo stato ebraico. L'ecosistema realizzato in questo lembo di Medio Oriente fa sì che qui si registri la maggior concentrazione di società tecnologiche al mondo, dietro la Silicon Valley americana. La società di ricerca e consulenza KPMG calcola in nove le società israeliane inclusa nel ranking delle 100 FinTech più promettenti al mondo; erano otto nel 2015.
In termini omogenei di "parità dei poteri d'acquisto", Israele impiega in ricerca e sviluppo il 4.1% del PIL; è il secondo stato al mondo, dietro alla Corea del Sud (4.3% del PIL) e davanti a Giappone, Singapore, Finlandia, Svezia e Danimarca. L'Italia, in questo classifica cruciale per la crescita economica di lungo periodo, si attesta 28esimo posto. Come è stato ampiamente dimostrato, un impegno costante su questo fronte garantisce opportunità di impiego qualificato alla popolazione, e crescita economica e benessere generalizzati.

giovedì 23 febbraio 2017

Dura la vita degli oppositori al regime palestinese


Non tutti sanno che i territori palestinesi possono rivelarsi una prigione per chi vi abita; specie per chi professa orientamento e opinioni difformi da quelli del regime di Abu Mazen.
Lo ha scoperto, sulla sua pelle, Najat Abu Bakr, parlamentare a Ramallah in rappresentanza del distretto di Nablus. Già un anno fa la coraggiosa deputata avviò un sit-in davanti al Palestinian Legislative Council (PLC), con cui intendeva protestare per il tentativo di arresto da parte delle forze di polizia palestinesi, che in questo modo si facevano beffe dell'immunità di cui teoricamente gode. La Abu Bakr è da tempo nota per la determinazione con cui denuncia la corruzione del regime di Abu Mazen.
Ad un anno di distanza, la parlamentare palestinese gode nuovamente delle attenzioni del regime. L'Autorità Palestinese le ha negato mercoledì il visto, mentre si accingeva a dirigersi in Libano - sponda giordana - per ritirare un premio. Alle rimostranze nei confronti delle guardie di confine, Najat Abu Bakr ha appreso che la decisione è provenuta dalle «alte sfere del regime».

sabato 11 febbraio 2017

Ruspe in azione: nuove demolizioni di case palestinesi!

La polizia sta procedendo all'abbattimento di 50 case di altrettante famiglie di profughi palestinesi. Lo riferisce l'agenzia di stampa Palestine News Network, con sede a Betlemme, che denuncia il proposito di spazzare via le abitazioni regolarmente costruite, per far posto ad un'autostrada che collegherà i principali centri urbani. Le case sono lì addirittura dal 1948, e si trovano in un'area dove vivono circa 6.000 palestinesi, dediti perlopiù all'agricoltura.
Millantando misure di sicurezza, le autorità hanno iniziato già a novembre a costruire la prima frazione di un muro dell'apartheid, che isolerebbe la comunità locale, residente nei pressi di Ein Al-Hilweh. Noncuranti delle opposizioni locali, le autorità garantiscono che il muro sarà completato entro 15 mesi.
Secondo diverse organizzazioni per i diritti umani, l'iniziativa minaccia di sprofondare la comunità palestinese locale in una nuova crisi umanitaria. La Thabet Organization for the Right of Return invoca la mobilitazione internazionale.

martedì 7 febbraio 2017

Gli "insegnanti" dell'UNRWA ricascano nella celebrazione dell'antisemitismo

In Occidente ancora oggi c'é chi crede che l'UNRWA, l'agenzia ONU creata appositamente per i "profughi" palestinesi (sarebbero 30.000 oggi i superstiti del 1948; ma per una norma ad personam il numero è stato inflazionato a diversi milioni), serva ad alleviare le sofferenze di un popolo che ha pagato prima la persuasione perfida e strumentale delle nazioni arabe; e oggi l'indifferenza e il disprezzo delle medesime. Nella migliore delle ipotesi, insomma, l'UNRWA -  United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East - è un carrozzone tanto inutile quanto faraonicamente costoso. Nella peggiore delle ipotesi, è l'organizzazione tristemente nota per aver offerto ospitalità nel 2014 agli sgherri di Hamas e al loro arsenale bellico; per ammissione ufficiale quanto tardiva delle stesse Nazioni Unite.
Nel mezzo, fra una guerra e l'altra, l'UNRWA si diletta nella propaganda antisemita. Eroga lauti compensi al personale assunto, sulla carta per prestare insegnamento ai bambini palestinesi; nella realtà non di rado per fornire odiosi precetti antisemiti. È la denuncia scaturita da UN Watch, un "cane da guardia" che monitora minuziosamente l'operato delle agenzie collegate al Palazzo di Vetro, e che domenica ha pubblicato un nuovo, desolante rapporto.

domenica 5 febbraio 2017

La BBC continua a diffondere statistiche taroccate contro Israele

La settimana scorsa il giornalista israeliano Ben Dror Yemini ha pubblicato un articolo che svela un nuovo capitolo nella campagna diffamatoria anti-israeliana: «Il Consiglio Europeo, un organismo composto da tutti gli stati europei, più ampio pertanto dell'Unione Europea; ha adottato un rapporto redatto da Eva-Lena Jansson, membro del partito socialdemocratico svedese (SDP) che accusa Israele di essere coinvolto in un "terrificante schema di esecuzioni extragiudiziali apparentemente sistematiche" di civili innocenti. Il documento è basato sulle accuse della NGO Al-Mezan, sostenuta da Svezia, Svizzera, Danimarca, Norvegia e Olanda. La stessa NGO risulta sostenitrice del BDS, e parte della campagna di delegittimazione di Israele e di negazione del suo diritto all'esistenza.
Al solito, ci sono stati in Europa che finanziano organismi dediti in questa attività: all'apparenza di tutela dei "diritti umani", quando di fatto sono attivamente impegnati in una campagna di odio nei confronti di Israele».

venerdì 3 febbraio 2017

I calunniatori senza scrupoli si servono dei bambini per la loro bieca propaganda

Kris L. Doyle è una attivista palestinese. Sul suo profilo Twitter si vanta di «esporre i crimini disumani dell'Israele sionista nei confronti della popolazione palestinese, al fine di mantenere la loro brutale occupazione». Soltanto antisionismo, insomma: l'antisemitismo non c'entra.
Peccato però che il suo profilo sociale sia zeppo di manifestazioni di disprezzo e odio razziale, che con lo Stato di Israele non hanno nulla a che vedere: in una immagine gli ebrei (n.b.: non Israele...) sono raffigurati come serpi diaboliche, in un altra l'ebreo è raffigurato con il classico stereotipo dell'ortodosso con tanto di nasone e lineamenti sgraziati, altrove si minimizza l'Olocausto, o si compiono ripugnanti paralleli fra il nazismo e l'attuale governo di Gerusalemme. Ce n'é abbastanza per vomitare per il disgusto.

giovedì 2 febbraio 2017

Stavamo scherzando: nuovi insediamenti ebraici non si costruiscono da 25 anni!

Coloni ebrei sgomberati con la forza da una sinagoga di Amona
Si apprende dalla stampa una verità che sconvolgerà chi per anni ha accusato il governo di Gerusalemme (tutti i governi: a prescindere dal colore politico...) di costituire un ostacolo alla pace a causa dell'espansione degli insediamenti nei territori contesi di Giudea e Samaria (West Bank, per usare la definizione sorta all'indomani dell'occupazione militare giordana del 1948). Come forma di ristoro per la demolizione degli insediamenti illegali di Amona - illegali perché stabiliti su terreno di proprietà privata palestinese e non demaniale - il governo Netanyahu ha proposto la costruzione di residenze in un nuovo insediamento: il primo, dopo 25 anni.

lunedì 2 gennaio 2017

La Risoluzione 2334 affossa le prospettive di uno stato palestinese

di Moshe Dann*

Aspramente criticata da Israele e da più parti, la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU (UNSC) 2334 è stata giudicata una pugnalata alla schiena. È una pugnalata; ma al petto. Oltretutto, vista l'ostilità dell'amministrazione Obama e dei membri del Consiglio di Sicurezza, era prevedibile e inevitabile. Ironia della sorte, però, la risoluzione getta le basi per una legittima annessione di Giudea e Samaria da parte di Gerusalemme.
La risoluzione infatti stravolge le regole del gioco: di fatto, abroga il Trattato di Oslo del 1993 e gli accordi interinali del 1995, che divisero Giudea e Samaria in area A e B, sotto il controllo dell'Autorità Palestinese; e area C, in cui sotto il controllo israeliano era prevista la possibilità di insediamento di comunità ebraiche. La questione degli insediamenti era demandata ad accordi fra le parti contendenti, assieme alla questione del "ritorno" dei discendenti dei profughi arabi che lasciarono Israele nel 1948, nonché allo status di Gerusalemme. Ma imponendo uno stato arabo palestinese senza precedenti negoziati bilaterali come fatto compiuto, e dichiarando unilateralmente gli insediamenti illegali, la Risoluzione 2334 ha spazzato via tutte le precedenti intese formali.