venerdì 3 giugno 2016

Il BDS è stato un fallimento economico

di Sangwon Yoon*

Il fisico Stephen Hawking che annulla la partecipazione ad una conferenza a Gerusalemme dove avrebbe incontrato il presidente israeliano; la cantante Lauryn Hill che cancella un concerto previsto a Tel Aviv, e un fondo pensione olandese che include in una black list cinque banche dello stato ebraico. Tutte in apparenza prove che dimostrano il successo delle iniziative internazionali finalizzate ad isolare Israele.
Tuttavia, un esame dei flussi di investimento internazionali in entrata provano l'opposto: gli investimenti stranieri in Israele l'anno scorso hanno raggiunto un nuovo massimo storico a 285 miliardi di dollari. Il triplo rispetto al 2005, quando un gruppo di palestinesi fondò il movimento noto come "Boycott, Divestment and Sanctions" (BDS).
Il movimento include chi nega l'esistenza dello stato ebraico, al pari di chi pretende un cambiamento di politica nei confronti dei palestinesi in Giudea e Samaria, nonché nel West Bank. Ma anche l'obiettivo minimale di penalizzare le compagnie israeliane operanti nel West Bank ha conseguito risultati discutibili: negli ultimi tre anni il valore degli azionisti non residenti i nove fra banche e società israeliane quotate in borsa, è cresciuto vistosamente. «Non abbiamo un problema di investimenti stranieri in Israele; tutto il contrario», gongola in un'intervista Yoel Naveh, capo economista del Ministero della Finanze di Gerusalemme.
Gestori di fondi, economisti ed esponenti del governo sottolineano come le attività israeliane costituiscano un richiamo irresistibile, specie tenuto conto delle performance deludenti conseguibili altrove. L'economia israeliana segna il passo ma cresce ben più di quelle di Stati Uniti ed Europa, e la remunerazione del denaro è sensibilmente superiore (sui bond governativi a 10 anni si spunta attualmente poco meno del 2% all'anno, NdT). Senza considerare che molti confutano i principi alla base del tentativo di boicottaggio: per cui investire nell'innovazione israeliana danneggi i diritti dei palestinesi.


L'economia israeliana è attesa quest'anno ad una crescita del 2.8%, rispetto al +1.8% previsto per Stati Uniti ed Unione Europea. Lo scorso anno l'Export ad alto contenuto di innovazione è schizzato del 13% rispetto all'anno precedente. E il BlueStar Israel Global Index, che raggruppa alcune aziende israeliane quotate all'estero, ha raddoppiato negli ultimi dieci anni, sovraperformando di 21 punti percentuali il MSCI ACWI Index, riferimento per i gestori di tutto il mondo.
Malgrado il continuo apprezzamento dello shekel, favorito dalla fiducia degli investitori stranieri, le start-up israeliane hanno raccolto lo scorso anno 3,76 miliardi di dollari da investitori stranieri: si tratta dell'ammontare più elevato degli ultimi dieci anni. I non residenti, che rappresentano almeno il 50% degli investimenti complessivi in start-up israeliane, hanno impiegato ulteriori 5,89 miliardi di dollari per acquisti di partecipazioni dirette. Le operazioni di fusione e acquisizione sono capeggiate dalla cinese XIO Group, che ha rilevato la Lumenis Ltd; segue un fondo americano di private equity, che per 438 milioni di dollari ha acquistato la ClickSoftware Technologies Ltd.


Il BDS si dichiara non preoccupato, garantendo che l'impatto delle manovre adottate supera anche le loro aspettative, e che il seguito economico si manifesterà a tempo debito: «non solo il BDS sta avendo successo», sottolinea Omar Barghouti, co-fondatore del movimento; «ma si sta affermando sui mezzi di comunicazione prima di quanto avessimo messo in conto». Il mese scorso a Barghouti è stato negato l'ingresso nello stato ebraico.
Alcune compagnie, come la Veolia Environnement SA, la Orange SA e la SodaStream International Ltd., hanno dovuto rilocalizzare i propri impianti dal WestBank ad altre aree israeliane. Il ministro delle Finanze Naveh ha riconosciuto che alcuni investitori istituzionali hanno ritirato i loro capitali. Ma, ha aggiunto «non abbiamo bisogno del loro denaro».
Fino ad ora, ha avuto ragione. L'esame di nove società israeliane attive negli insediamenti ebraici evidenzia come le quote di partecipazione straniere siano aumentate, o al peggio siano rimaste immutate negli ultimi tre anni.


Negli ultimi quattro anni la proprietà straniere di queste azioni, specialmente da parte di gestori di fondi o ETF come Vanguard e BlackRock, è cresciuta. Su 30 gestori investiti nelle compagnie summenzionate, soltanto due hanno accettato di commentare i loro investimenti, riconoscendo che il BDS non ha influenzato il loro operato. Uno dei due ha rilevato come, mentre alcuni fondi pensione statali scandinavi hanno disinvestito dalle compagnie israeliane operanti in Giudea e Samaria, altri investitori in Cina e nel resto del mondo apprezzano le compagnie ben gestite, con solidi bilanci e con una allettante remunerazione per i soci. Gli investitori sono interessati a guadagnare, restando sempre nella legalità, ha aggiunto.
Barghouti sostiene che l'obiettivo del movimento è quello di impattare psicologicamente sulla psiche degli israeliani, ingenerando la sensazione di isolamento internazionale. Ma Sheldon Adelson, un attivista ebreo americano che combatte da tempo il BDS, avverte che non prova alcuna preoccupazione per eventuali contraccolpi economici; e anzi, è confortato dalla decisione di venti stati americani di promuovere una legislazione che mette al bando la condotta del BDS.

* The Boycott Israel Movement May be Failing
su Bloomberg.com.

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