mercoledì 9 settembre 2015

L’Accademia Tamimi presenta: lezioni di manipolazione dei media

In un recente articolo che si soffermava sullo sfruttamento cinico da parte di Bassem e Nariman Tamimi dei propri figli, come provocatori di scontri con l’esercito israeliano allo scopo di accendere una “terza intifada”, ho notato come i Tamimi possono sempre contare su una copertura mediatica delle loro scorribande quanto mai acritica e in effetti platealmente favorevole. L’esempio più plateale di questa relazione amichevole coltivata negli anni è forse il tributo servile fornito dall’articolo di copertina di marzo 2013 del New York Times Magazine, curata dallo scrittore americano Ben Ehrenreich, reduce da un soggiorno di tre settimane presso l’abitazione degli stessi Tamimi.
Per questo sorprende poco, al momento, che i Tamimi sono liberi di raccontare ai media qualunque storia che ritengano confacente alle proprie aspirazioni. L’assoluta assenza di connessione con i fatti e la facilità con cui fabbricano queste finzioni che rafforzino l’immagine di difensori di una causa nobile, è risultata evidente alla luce dell’arcinoto tentativo di un soldato israeliano di mettere in stato di fermo il dodicenne “Mohammad”, figlio di Bassem Tamimi, responsabile del lancio di pietre. Come hanno mostrato i video riproposti da più parti, il soldato è stato strattonato e colpito da un gruppo di donne e ragazze – fra cui spicca la presenza della figlia Ahed – con il malcapitato soldato che alla fine ha rilasciato il ragazzo e ha fatto marcia indietro.
Qualunque genitore avrebbe rabbrividito, alla visione di quel video, immaginando il loro bambino al posto di Mohammad Tamimi. Ma secondo un resoconto della CNN, Bassem Tamimi è rimasto impassibile a riprendere la sequenza in cui si vedeva il tentativo di arresto del figlio; prima di spiegare placidamente che la sua famiglia è abituata a riprendere «tutte le proteste per mantenere traccia del conflitto e collezionare l’evidenza degli abusi israeliani».
Un aspetto che indubbiamente contribuisce all’impatto emotivo del video è il fatto che Mohammad Tamimi presenta un’ingessatura al braccio sinistro. Le varie spiegazioni offerte dai coniugi Tamimi a proposito delle modalità con cui Mohammed si è procurato l’infortunio rivelano le modalità senza scrupoli dei loro comportamento, e la fiducia nell’atteggiamento servile e complice dei media.
Prima di entrare nel merito della fabbrica delle macchinazioni di Bassem e Nariman Tamimi, vale la pena di notare come non solo il braccio ingessato del figlio abbia aggiunto pathos al video, ma abbia anche accresciuto il senso di affermazione avvertito in seguito dalla famiglia e dai suoi sostenitori. Come ricorda quel vecchio adagio: «una figura val più di mille parole», e la vignetta con cui i Tamimi hanno celebrato la loro affermazione, trasforma un ragazzino impaurito e infortunato, esibito al mondo come vittima di un assalto brutale ad opera di un soldato armato fino ai denti, in un piccolo supereroe a cui basta un braccio per far volare in aria uno sventurato soldato.

Per quanto concerne i Tamimi, l’obiettivo era quello di scuotere il mito dell’esercito israeliano. Inutile dire che se “l’esercito sionista” fosse brutale e reattivo come argomentato i Tamimi, il loro eroico figlio si ritroverebbe con un altro braccio ingessato, nella migliore delle ipotesi.
Ma come si è procurato Mohammad Tamimi quell’infortunio? Un giornalista, che ha quanto pare ha posto la domanda al padre, ha così riportato: «secondo il padre, il bambino nel video si è fratturato il polso mentre fuggiva da un carro armato israeliano entrato nel suo villaggio».
Apparentemente, il giornalista non rileva che sarebbe alquanto bizzarro assistere ad un carro armato che penetra in un villaggio, inducendo i bambini a fuggire a gambe levate. A quanto pare il giornalista non ha chiesto chiarimenti, e nessuno glieli ha forniti.
Le cause dell’infortunio al braccio di Mohammad Tamimi sono tornate alla ribalta in un’intervista chiesta a Nariman Tamimi: la madre. La quale non solo ha fornito una versione completamente differente; ma rivela quella che appare chiaramente una bufala, atta a giustificare la partecipazione del figlio ad una provocazione ben organizzata ai danni dei soldati.


Ancora una volta, nessuna prova di queste deliranti accuse è fornita.
Il dubbio resta: Mohamed si è fratturato un polso mentre fuggiva dai tank israeliani, come sostiene il padre; o si è rotto il braccio mentre era a casa, quando è stato colpito da un candelotto di gas lacrimogeno, come argomenta la madre?
La risposta che emerge leggendo i post su Facebook da parte dei genitori è: nessuna della precedenti.
La storia fornita da Nariman Tamimi appare inventata di sana pianta per giustificare non solo l’autorizzazione concessa al figlio, ma anche l’incoraggiamento a partecipare alle proteste finalizzati a provocare scontri con il soldati dell’IDF.
Il 25 agosto, alle 7.40 – ora israeliana - Nariman Tamimi annunciava in un post su Facebook che suo figlio Abu Yazan (il vero nome di Mohammed, NdT) si era appena rotto un braccio; la traduzione letterale del post recita: «Abu Yazan è ferito, il suo braccio è rotto, mille auguri che si riprenda presto!».
Un’ora dopo, alle 8.46. Nariman Tamimi aggiornava da cellulare lo stato, aggiungendo una foto:


Stranamente, la foto pubblicata appare piuttosto datata. La si riscontra ad esempio in un post di novembre 2012 sul blog della filiale francese del famigerato International Solidarity Movement (questo post include un video che raffigura un gruppetto di bambini – inclusa Ahed Tamimi e suo fratello Mohammed – che urlano all’indirizzo di un soldato impassibile, cercando in tutti i modi di suscitarne la reazione).


Perché mai abbia deciso di pubblicare una vecchia foto resta da stabilirsi, ma il testo che l’accompagna è piuttosto chiaro: ancora una volta, cercando una traduzione quanto più fedele all’originale, sarebbe: «quanto sei ferito, quando hai la mano fratturata, indossi qualcosa e combatti l’occupazione a mani nude. Eccoti qua, figlio mio, Abu Yazan! che Allah possa farti tornare sano da me, tua madre!»
Il messaggio è chiaro: non importa che ti sia rotto un braccio nel tirare pietre ad una jeep militare, tirati su e continua ad aggredire. Questa è una prova davvero agghiacciante dell’indottrinamento cinico che i Tamimi esercitano sui propri figli.
Entrambi i post di Nariman Tamimi hanno stimolato diverse repliche, con la maggior parte delle persone che augura una pronta guarigione. In risposta ad una domanda su cosa sia esattamente successo, postata dall’utente Sheerin Al Araj alle 8.56 PM, Nariman Tamimi replica poco più di mezz’ora dopo, alle 9.35: «è caduto mentre tirava pietre verso una jeep, e si è rotto la mano».


Due minuti dopo, alle 9.37, Nariman Tamimi chiarisce il concetto in un altro post: «che Allah sia benedetto, è caduto dopo aver colpito una jeep. Si è rotto la mano, ed è possibile che venga operato. Con l’aiuto di Allah, la frattura si risanerà, e tornerà a casa».


Di lì a breve, un’altra discussione suggerisce che anche gli ammiratori più sfrenati dei Tamimi cominciano ad averne abbastanza. Alle 9.46 Sheerin Al Araj scrive: «che Allah vi protegga, ma adesso basta!». La risposta impressionante di Nariman non si fa attendere: «o la vittoria, o il martirio; ma tutto andrà bene», replicherà due minuti dopo.


Alle 10.24, Bassem Tamimi condivide su Facebook la sua versione dell’incidente, pubblicando una foto del figlio con il gesso, aggiungendo commenti in inglese e arabo. Il testo arabo recita: «Che Allah si prenda cura di te, Muhammad/Abu Yazan. In un confronto con le forze di occupazione, i candelotti di lacrimogeno l’hanno bersagliato, è caduto e si è rotta una mano. Che possa tornare in salute, mio eroe!». Tamimi aggiunge in inglese: «oggi l’esercito israeliano ha attaccato il villaggio di Nabi Saleh, e durante gli scontri mio figlio Mohammed è stato colpito, ferendosi un braccio. Free Palestine».
Nariman Tamimi ha condiviso questo post sulla sua bacheca alle 11.13.


La versione di Bassem Tamimi è evidentemente abbastanza vaga da consentire ad entrambi di fornire i dettagli in un secondo momento, drammatizzando il necessario, quando qualche giorno dopo è stato chiesto loro come mai il figlio si sia rotto il braccio. Bassem Tamimi ha optato per una versione strappalacrime del carro armato che piomba nel villaggio, costringendo il figlio a darsi alla fuga; laddove la moglie ha manifestato l’esigenza di partorire una differente versione rispetto all’attacco della casa, perché lo scopo era quello di rimarcare che la cosa migliore per il figlio, è mandarlo allo sbaraglio contro un esercito.
Entrambi ovviamente confidano nell’ingenuità e nella credulità dei giornalisti, e non si aspettano certo che qualcuno chieda ulteriori chiarimenti: il figlio ha un briaccio ingessato, chi mai mettere in dubbio la veridicità di quell’infortunio, «certamente cagionato dall’esercito israeliano»? quante volte i Tamimi l’hanno fatta franca inventandosi una storiella prontamente accettata?...

Ma peggio delle loro menzogne e della manipolazione spudorata dei media – che, dopotutto, adorano il tipo di storielle che i Tamimi sono ansiosi di raccontare – è lo sfruttamento senza scrupoli dei loro bambini. Ciò emerge chiaramente dai commenti in replica al post della madre, secondo cui quella era già la seconda volta in cui Mohammed si era procurato la frattura dell’arto, presumibilmente in circostanze analoghe. Quando un amico preoccupato ha rilevato che era tempo di finirla, Nariman Tamimi ha risposto piccata: o il martirio, o la vittoria. È raccapricciante, ma visto come i Tamimi sfruttano i loro figli, ci si chiede se alla fine non reputeranno una vittoria il  martirio di uno di essi.
Che sia chiaro: la “vittoria” per cui i Tamimi stanno combattendo non è la coesistenza pacifica fra lo stato ebraico di Israele e uno stato arabo-musulmano di Palestina. In diverse interviste pubblicate sui siti che negano ad Israele il diritto di esistere, Bassem Tamimi ha chiarito che è un sostenitore della soluzione di “un solo stato”: che assorbirebbe l’unico stato ebraico esistente al mondo, in un altro stato, più grande, arabo-musulmano, che lo fagociterebbe fatalmente.

Fonte: The Tamimi masterclass on media manipulation
di Petra Marquardt-Bigman
su The Warped Mirror.

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