sabato 18 aprile 2015

Parla chi filmò gli orrori dell'Olocausto

di Roberto Loiederman*

Ad inizio aprile del 1945 Arthur Mainzer, appena 22enne, era un cameraman dell'aviazione degli Stati Uniti a cui venne assegnato il compito di filmare il conflitto in Europa; era nell'esercito da tre anni, e fino a quel momento la Seconda Guerra Mondiale non era stata per egli un'esperienza atroce. Al contrario, era stata elettrizzante: non aveva riportato alcuna ferita e si era persino innamorato. Così, mentre gli Alleati già pregustavano la vittoria, i nazisti rantolavano, e Mainzer non vedeva l'ora che finisse la guerra per poter sposare la sua Germaine, la donna francese di cui si era innamorato, e che sperava di portare negli Stati Uniti.
Mainzer, cattolico nato in Canada, si era trasferito assieme alla sua famiglia da giovane a Chicago, dove crebbe in un quartiere popolato da persone di diverse razze e religioni, ebrei inclusi. Nel 1942, subito dopo l'attacco di Pearl Harbor, si arruolò nell'aviazione degli Stati Uniti.

Al liceo aveva l'hobby della cinepresa, per cui le Forze Armate lo spedirono ad un istituto tecnico di Denver, dove apprese tutti i segreti della pellicola. In seguito fu assegnato ad un'unità di Culver City, dove fu impiegato nelle riprese a scopo militare, in compagnia di un giovane attore dal nome di Ronald Reagan.
A novembre 1943 Mainzer fu assegnato alla divisione dei cameraman da guerra in Europa. Lì, assieme ad un'unità capitanata da Elliss Carter, partecipò a diverse missioni: filmando le incursioni della sua unità, sia quelle riuscite, che quelle fallite.
A giugno 1944, subito dopo il D-Day, l'unità di Mainzer filmò i bombardamenti in Normandia e altrove. Nella primavera del 1945, tre settimane prima della Vittoria finale, Mainzer fu assegnato ad una missione speciale: egli e il suo superiore avrebbero dovuto recarsi a Weimar, in Germania, nelle cui vicinanze era appena stato liberato un campo di lavoro. Il Generale Dwight D. Eisenhower aveva appena ordinato ai soldati della Terza Armata del Generale Patton, appena entrato in quel campo, di non toccare nulla fino a quando l'area fosse stata ripresa: un compito assegnato a Mainzer e a Carter.
Sicché i due, in jeep, viaggiarono per sei ore fino a destinazione. Mentre guidavano, discutevano di aspetti tecnici: come utilizzare al meglio la telecamera Kodachrome da 16 millimetri, l'indisponibilità di un treppiedi, che avrebbe costretto ad effettuare riprese sorreggendo la telecamera e le pesanti "bobine" di pellicola.
Il 15 aprile 1945, i due cameraman giunsero a Buchenwald. Nessuno avrebbe potuto prepararli a quello a cui stavano per assistere, una volta raggiunto il lager. Appena dentro, furono accolti da un grande cartello con su scritto "JEDEM DAS SEINE", una frase in tedesco che letteralmente voleva dire "a ciascuno il suo"; ma che nella realtà ammoniva: "ciascuno ha ciò che si merita".
Nel film "Shooting War", Mainzer rivela al pubblico: «come soldato dell'esercito americano, non avevo idea dell'esistenza di questi campi di concentramento. Non ne avevo mai sentito parlare. Era orribile. C'erano corpi accatastati come legna da ardere».

Mainzer ora ha 92 anni e vive ad Agoura Hills, a nord di Los Angeles, e le riprese strazianti del campo di concentramento in quel giorno di aprile sono state usate come prova schiacciante al Processo di Norimberga. Il documento filmato è stato depositato al Holocaust Memorial Museum e al Veterans History Project negli Stati Uniti, ed è apparso in almeno due documentari: "Night Will Fall", trasmesso di recente, e "Shooting War", del 2000. Un video sugli orrori dei Campi di 20 minuti, disponibile su YouTube, è stato visto più di 25.000 volte.
Oggi Mainzer è un garbato, divertente ed elegante uomo. È amichevole e disponibile, sebbene soffra dei primi sintomi del morbo di Alzheimer. Per fortuna ha concesso diverse interviste negli anni passati, fornendo una visione personale delle drammatiche immagini catturate.
«C'era un tanfo tremendo», rivela al giornalista che l'ha intervistato a proposito della prima sensazione colta una volta giunti a Buchenwald. «Mi sono incaricato di quasi tutte le riprese, dal momento che Carter non se la sentiva per niente. Neanche io mi sentivo molto bene, in special modo in occasione dei primi piani».


Le riprese di Mainzer mostrano un impressionante numero di corpi privi di vita, tutti pelle e ossa, accatastati alla rinfusa sul pianale di un camion, o giacenti per terra. Ogni singolo corpo è ripreso, per un arco di tempo che sembra interminabile. In alcuni casi, le immagini propongono uno zoom. Ancora oggi, a 70 anni di distanza, rivedere quelle immagini da' il voltastomaco.
Mentre Meinzer effettuava le sue riprese, Eisenhower ordinava alla Terza Armata di dirigersi a Weimar e raccogliere tutti i residenti adulti. In un'intervista prodotta dalla USC-Shoah Foundation, Leo Hymes, un soldato americano che contribuì a liberare i campi, descrive lo sforzo di condurre i residenti tedeschi al campo di Buchenwald onde renderli edotti di ciò che lì era avvenuto.
Mainzer filmò anche quell'evento, a colori: «i civili tedeschi di Weimar furono condotti in una visita nei campi per mostrare loro le atrocità commesse», rivela Mainzer in una sequenza di "Shooting War"; «molti residenti non guardavano i corpi. Alcuni piangevano, altri si coprivano bocca e naso con un fazzoletto. Essi lo facevano solo perché era loro suggerito di far questo; la sensazione era che non fossero granché interessati a scrutare gli orrori».
Rivela Hymes in una sequenza del film: «nella mia mente c'è impressa questa immagine di una donna dalla stazza notevole, in una uniforme delle SS, con le sue comode scarpe, che sorregge sulle spalle questo scheletro nudo e fratturato, con la bocca coperta da un fazzoletto mentre trasporta questo corpo verso una fossa comune, ospitante già migliaia di altri corpi».
Benjamin Ferencz è un avvocato ebreo americano, nato in Ungheria, inviato da Patton per investigare su Buchenwal dopo la sua liberazione. Era presente, quando Mainzer riprese il campo. Nell'intervista per "When Night Falls" afferma: «è stato come andare all'inferno». Come testimone oculare di quegli orrori, Ferencz testimonierà a Norimberga.

Ci sono immagini che, una volta viste, restano per sempre impresse nella mente. All'inizio del filmato pubblicato su YouTube, un uomo dalla barba scura giace disteso per terra, con la testa rivolta da un lato. Le orbite oculari sembrano vuote, le braccia sono disposte sul corpo in modo tale che le dita delle sue scarne mani sono intrecciate, con i palmi appoggiati sul petto. Un primo piano del suo avambraccio rivela la matricola: 126747. Era un lavoratore forzato.
La camera indugia su cataste di corpi emaciati e intrecciati. Evidenti gli effetti delle malattie, delle torture e degli stenti. In un'intervista per Veterans History Project, Mainzer descrive la scena: «c'erano aree dove i corpi erano accatastati: non ebbero tempo a sufficienza per bruciarli o per sotterrarli perché gli Alleati incombevano. I tedeschi erano pronti a cremarne alcuni, ma non fecero in tempo: udivano il fronte di guerra avanzare, per cui le SS che gestivano il campo se ne andarono a gambe levate».
Il video mostra alcune persone in fin di vita, vestite con l'uniforme ora familiare a strisce verticali. Un uomo tiene le mani giunte davanti a se', come in preghiera, ma il gesto appare chiaramente un ringraziamento per la liberazione. Si scorge anche un giovane, le gambe troppo deboli e secche per sostenerlo, appoggiato ad una porta. E si vede un bambino, di quattro anni, che abbozza un sorriso, ma l'unica espressione che gli riesce è un pianto.


«Calcolavamo che questi individui pesavano fra i 30 e i 40 chili», dichiara Mainzer. «Morivano persone ogni giorno, anche dopo che il campo fu liberato. Molti dei prigionieri non parlavano inglese, ma allungavano le mani verso di noi per manifestare la loro gratitudine per averli liberati. Sopravvissero in 20.000, e 8.000 di essi erano bambini».
Il giorno dopo la proclamazione della Vittoria, Arthur e Germaine Mainzer si sposarono in Francia. Arthur si è congedato nel 1946, quando si trasferirà con la moglie nella California meridionale, dove hanno avuto due figlie e dove ha svolto diversi lavori. Germaine morirà nel 1998, dopo 53 anni di matrimonio.

Mainzer oggi vive da solo, ma sua figlia Christiane, che insegna geografia, vive non lontano e lo accudisce. Mentre l'Alzheimer ne offusca la memoria, Mainzer tiene a ricordare non gli orrori a cui ha assistito e che ha documentato, ma quanta gioia e amore ha provato quando per la prima volta incontrò Germaine in Francia: quando condivise un ombrello con lei durante un giorno di pioggia, quando si sposarono il primo giorno in cui le tenebre della guerra e dell'occupazione si diradarono: «è occorso molto tempo prima di metabolizzare tutto quello», ammette Mainzer a proposito della sua esperienza a Buchenwald; «È qualcosa che vorresti non aver mai visto, e che vorresti non vedere più».Mainzer sa bene che il suo documentario ha rivestito un ruolo fondamentale all'indomani del genocidio: il peggiore della storia. «In un'epoca in cui si crede soltanto a ciò che si vede», conclude Mainzer in "Night Will Fall", queste riprese a colori sono testimonianze silenziose. C'è tanta gente scettica circa l'accaduto, ma possiamo provare tutto, grazie a queste riprese».


* He witnessed — and filmed — the horror of the Holocaust
su Jewish Journal.

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