giovedì 5 febbraio 2015

Nessuno solidarizza con i giornalisti palestinesi?

Fa piacere scorgere su Rai News, nelle trasmissioni notturne di Rai Tre e sulle onde radio di Mamma Rai, la presenza di giornalisti che si presentano per "palestinesi". Ieri mattina a "Tutta la città ne parla" è intervenuto Samir al Qariouty, opinionista per la BBC e Al Jazeera, ma soprattutto: giornalista palestinese. Sorvoliamo sulle tesi fantasiose proposte - la sanguinosa guerra civile in Siria, le esecuzioni sommarie in Iran, le lapidazioni in Arabia Saudita, le impiccagioni degli omosessuali a Gaza, le decapitazioni dello Stato Islamico, la crocifissione dei cristiani nel mondo arabo: tutto sono spiegati dalla contesa dei territori ad est del Giordano fra Israele e palestinesi - e soffermiamoci sulla capacità di questo giornalista di manifestare liberamente le proprie opinioni.
Sì, perché tale prerogativa è preclusa ai suoi colleghi che limitano la propria attività professionale nei territori palestinesi amministrati da Hamas e dall'ANP. Secondo una fonte non tacciabile di parzialità come Al Monitor, l'80% dei giornalisti palestinesi subisce intimidazioni e censure dal regime, e non è libero di esprimersi al pubblico. Il risultato di questa costante e costante opera di condizionamento è l'autocensura, l'omissione della denuncia, e la rappresentazione idilliaca di una realtà altrimenti tragica.


A Gaza come a Ramallah, giornalisti e blogger che osano contestare Hamas o Abu Mazen sono "convocati", spesso prelevati con la forza, sottoposti a regime detentivo a tempo indeterminato, e dissuasi dal criticare il regime. Una volta sottoposti a questo trattamento, è difficile mantenere la schiena dritta: il successivo articolo tratta in modo edulcorato la corruzione, le lotte di potere, le spartizioni delle sovvenzioni internazionali, l'illecito a tutti i livelli della sclerotica macchina amministrativa palestinese.
Mohammed Othman, riporta Al Monitor, è stato trascinato con la forza al quartiere generale del Comitato di Resistenza Popolare, organizzazione terroristica piuttosto attiva, nelle retrovie di Hamas, assieme alla Jihad Islamica. La colpa imperdonabile? aver indagato sulle esecuzioni di palestinesi tacciati di collaborazione con Israele. In altri casi, la punizione si manifesta sotto forma di improvvisa aggressione per strada ad opera di sconosciuti. Il risultato è il medesimo: il giornalista, il blogger o il freelance si autoimpone il bavaglio e assume un atteggiamento più collaborativo.
Impercettibile la differenza fra l'atteggiamento censorio di Hamas e quello intimidatorio del Fatah nei confronti della stampa. I metodi spicci praticamente coincidono. Strano che l'opinione pubblica occidentale, pronta a sfilare in massa e ad indossare magliette di solidarietà nei confronti della redazione francese di Charlie Hebdo; non avverta l'urgenza di impegnarsi in questa battaglia civile di liberazione del popolo palestinese dal giogo opprimente del regime di Hamas e di Abu Mazen.
Bisogna tenerne debito conto, quando ci pervengono le testimonianza da Gaza e dal West Bank, e quando i "giornalisti palestinesi" cercano di persuaderci che le responsabilità del caos in Medio Oriente sono sempre, soltanto e comunque occidentali. Specie quando cercano di convincerci che la causa unica delle sofferenze del popolo palestinese, è "l'occupazione dei Territori"...

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