venerdì 6 febbraio 2015

L'Occidente nei confronti dei palestinesi adotta una strategia sciaguratamente sbagliata


Il caso che deflagra nuovamente oggi non è nuovo per i nostri quattro lettori. Ce ne siamo occupati giusto quattro mesi fa: in violazione degli accordi interinali che seguirono la sottoscrizione del Trattato di Oslo del 1993, l'Autorità Palestinese sta costruendo illegalmente nell'area C del West Bank; quella sotto il pieno e legittimo controllo israeliano, sulla base delle intese sottoscritte all'epoca dall'OLP. Aspetto forse ancor più grave, l'attività edilizia beneficia del patrocinio addirittura dell'Unione Europea, che impiega un giorno sì e l'altro pure a puntare il dito contro presunte irregolarità israeliane nei territori contesi.
Siamo a febbraio e l'illecito non è stato sanato; al contrario: come riporta oggi il Jerusalem Post, centinaia di strutture abitative sono state costruite non lontano da Gerusalemme, fra Ma’aleh Adumim e la zona E1. Il governo israeliano è al corrente di questa attività, ma nicchia nel denunciare l'abuso, nel tentativo di non inasprire i già tesi rapporti con Bruxelles.
L'obiettivo strategico dell'Europa è mutato, da un sostegno finanziario e diplomatico discreto e silenzioso, ad un attivo coinvolgimento nell'occupazione abusiva da parte dell'Autorità Palestinese, nel tentativo di creare una situazione di fatto che crei i presupposti per un successivo riconoscimento statuale, sulla base appunto della situazione venutasi nel frattempo a creare sul territorio.
Un gruppo di giornalisti, convocato da una organizzazione non governativa, ha preso atto dell'esistenza di un assembramento di costruzioni sufficientemente solide da non essere considerate temporanee, riportanti oltretutto l'oltraggiosa - per il Diritto, s'intende - presenza del vessillo dell'Unione Europea. Le costruzioni sono state edificate su suolo demaniale e in taluni casi, in aree sottoposte a vincolo naturale.

Come europei, ci duole rilevare le modalità censurabili con cui l'Europa sta combattendo questa battaglia diplomatica nei confronti di Israele. Il tradizionale orientamento filoarabo e di accondiscendenza nei confronti delle pressanti richieste dell'Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI), che si serve dell'Europa per assumere un ruolo egemone a livello internazionale, scade nel grottesco con un endorsement palesemente illegale. Il denaro elargito non produce alcun vantaggio per il popolo palestinese: malgrado un impegno di spesa eccezionale, non un solo dollaro degli oltre 5 miliardi promessi dai donatori internazionali è stato impiegato per comprare un solo mattone per la ricostruzione di Gaza. Tuttavia, lo stato sociale del terrorismo è meccanismo ben oliato e funzionante: il Congresso americano ha appreso con sconcerto lo scorso anno lo stanziamento di diversi milioni di dollari (da 3 a 7) per il finanziamento delle famiglie dei terroristi palestinesi da parte dell'ANP. Sussiste un vero tariffario, con una diaria mensile variabile in funzione degli anni di detenzione comminati e del numero di vittime provocato.
Una denuncia del Times of Israel rivela oggi come la dirigenza palestinese, incluso lo stesso Abu Mazen, vagli attivamente ciascun singolo episodio di terrorismo, i danni provocati e il curriculum di ciascun terrorista, prima di approvare il salario e il bonus da concedere. Lungi dal negare la pratica, il "ministero dei prigionieri" conferma le modalità di premiazione dei terroristi, e annuncia lo scorporo di questa attività, che sarà gestita da una autorità esterna al perimetro del bilancio del governo di Ramallah.
Lo scopo è evidente: occultare ai creditori internazionali l'impiego spregevole del denaro ottenuto. Il budget dell'ANP supera i 4 miliardi di dollari. Di questi, circa 400 milioni sono elargiti annualmente dagli Stati Uniti, e non meno dall'Unione Europea. Ci si chiede se sia questa la strada che condurrà alla pace in Medio Oriente. C'è da dubitarne...



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