sabato 28 febbraio 2015

La questione dei rifugiati palestinesi

Lei è una rifugiata palestinese del campo profughi di Jabalya, nella Striscia di Gaza. Questo foto è stata scattata al funerale di suo zio, membro delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa (braccio armato di Al Fatah, NdT), colpito dall'aviazione israeliana.
Non si può negare la rabbia e la frustrazione che avranno motivato suo zio. Nessuno può negare che i rifugiati palestinesi a Gaza e nel West Bank, in Libano e in Siria stiano soffrendo. Ma chi vuole risolvere la crisi dei rifugiati, deve prima realizzare come questa gente ha conseguito lo stato di profugo, e cosa stia perpetuando oggi le loro sofferenze.
Definiamo anzitutto il termine "rifugiato". Secondo le Nazioni Unite un rifugiato è una persona che «manifestando il fondato timore di essere perseguitato, si trovi al di fuori dello stato di sua nazionalità». Come fa la gente a diventare rifugiato? Diventano rifugiati a causa di guerre e conflitti, in conseguenza dei quali la gente è spostata con la forza, o fugge dal pericolo.


Mia nonna divenne profuga, fuggendo dalla Romania dopo la Seconda Guerra Mondiale. Per tre anni non ebbe alcun domicilio permanente, ma alla fine trovò ospitalità in Israele nel 1948, e al pari di altre centinaia di migliaia di rifugiati ebrei, trovò dimora definitiva nello stato ebraico.
Occupiamoci dunque dei rifugiati palestinesi. Ci sono due orientamenti che intervengono a tal proposito. Il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas ha scritto un editoriale nel 2011 sul New York Times, in cui sosteneva che dopo il voto di partizione delle Nazioni Unite del 1947, con cui si istituiva uno stato ebraico e uno stato arabo, «le forze sioniste espulsero gli arabi palestinesi per garantirsi una maggioranza ebraica decisiva nel futuro stato di Israele, e a quel punto intervennero gli eserciti arabi. Seguirono guerra e ulteriori espulsioni». In parole povere, ciò che afferma è che gli ebrei espulsero i rifugiati palestinesi, gli eserciti arabi intervennero in difesa di essi, e la guerra che seguì è responsabilità di Israele.

mercoledì 25 febbraio 2015

La bufala dell'inondazione di Gaza «per colpa di Israele»

Agence France Presse (AFP), fra le più grandi agenzie di stampa al mondo assieme a Reuters e Associated Press, ha pubblicato un video falso che mostrerebbe l'inondazione della Striscia di Gaza in seguito al diluvio della scorsa settimana, titolando «interi villaggi a Gaza allagati dopo che Israele ha aperto le porte delle dighe». Peccato che Israele non abbia alcuna diga a sud.
L'accusa infondata ha fatto il giro del web e dei media. Più tardi AFP ha ritirato la notizia.
Il video riportava le accuse di Ead Zino, residente a Al-Maghraqa, vicino Gaza: «ogni quattro anni scoppia una guerra, ma qui a Maghraqa ogni anno c'è un'inondazione. L'acqua proviene da Israele. Israele ci vuole distruggere» (in effetti, Ead Zino nell'intervista in arabo si è riferito a «gli ebrei», ma AFP ha tradotto in «Israele»).
Nell'articolo non è stata proposta alcuna replica da parte israeliana, atta a confutare la palese invenzione. L'articolo originario così riportava: «almeno 80 case palestinesi sono state allagate dopo che i livelli di acqua della Gaza Valley sono saliti di quasi tre metri, inducendo le famiglie a cercare altrove riparo, in seguito alla decisione delle autorità israeliane di aprire diverse dighe».

giovedì 19 febbraio 2015

L’esercito dei bambini di Hamas

di Khaled Abu Toameh*

Negli ultimi mesi i capi di Hamas hanno lamentato la mancanza di fondi per la ricostruzione di Gaza, colpita dall’ultima guerra combattuta contro Israele. Tuttavia, sembra che Hamas abbia fondi a sufficienza per addestrare, armare e indottrinare migliaia di ragazzi e persino bambini palestinesi.
Mentre migliaia di famiglie palestinesi che hanno perduto la loro casa continuano a vivere in rifugi di emergenza in tutta la Striscia di Gaza, Hamas di recente ha istituito 18 campi di addestramento militare. L’iniziativa, dal nome “Le avanguardie della liberazione”, ha attirato circa 17.000 ragazzi, di età compresa fra 15 e 21 anni. Le reclute sono state addestrate all’utilizzo di diverse armi: incluse pistole, fucili e mortai. Sono stati “istruiti” circa la necessità di eliminare Israele e «ripristinare i diritti dei palestinesi».
Samir Abu Aitah, un palestinese di 15 anni arruolato nella milizia di Hamas, dichiara: «ora provo una enorme felicità, perché mi hanno insegnato come impiegare un’arma, in modo che possa unirmi nella lotta contro l’occupazione. Gli ebrei hanno ucciso migliaia di persone innocenti, ed è per questo che ho deciso di unirmi al sentiero della guerra santa. Vogliamo espellere gli ebrei dalla nostra terra occupata». Un altro ragazzino di 15 anni, Mahmoud al-Kurd, ammette di essersi divertito a maneggiare le armi ai campi di Hamas: «il nostro nemico conosce una sola lingua: quella delle lame». Un amico di Al-Kurd's friend, Ismail Elayan, anch’egli quindicenne, rivela ai giornalisti che hanno raggiunto il campo: «ho deciso di aderire perché questo spianerà la strada verso la liberazione della nostra terra. È questo il nostro obiettivo principale».

L'ossessione per Israele miete vittime fra i palestinesi

di Evelyn Gordon*

Mi sono dilungato diverse volte su come ossessione occidentale per i rapporti fra israeliani e palestinesi finisca per perpetrare la miseria globale, distogliendo l'attenzione da situazioni umane di ben peggiore gravità: basti pensare al genocidio in Siria o nel Sud Sudan. Inoltre, questa ossessione non migliora le condizioni di vita di un gruppo che si vorrebbe aiutare. Tre articoli apparsi di recente sul Jerusalem Post chiariscono il perché.
Uno denuncia il rischio di chiusura da parte di un importante ospedale palestinesi, a causa di un debito accumulato pari a 30 milioni di dollari. Per anni, l'Autorità Palestinese (AP) ha mancato di versare fondi al Mokassed Hospital, malgrado i numerosi pazienti in cura. E questo non già perché l'AP difetti di liquidità, dal momento che per pagare generose retribuzioni alle migliaia di criminali ospiti delle carceri israeliani, i soldi certo non mancano. È una questione di priorità: nella scala dei valori palestinesi, il pagamento dei terroristi che attentano alla vita degli israeliani risulta evidentemente più importante del pagamento dei medici che cercano di curare i palestinesi.

martedì 17 febbraio 2015

Sei un palestinese siriano? non me ne importa niente!

Si apprende da fonti ufficiose che il terrorista che ha seminato morte, feriti e panico a Copenaghen l'altro giorno, fosse sì cittadino danese ma di origini palestinesi. I genitori difatti, peraltro ben integrati nella società civile scandinava, erano originari di un campo profughi in Giordania. Non essendo politicamente corretto additare al pubblico ludibrio i "poveri" palestinesi, i media ufficiali tacciono, non potendo citare lo stereotipo ormai trito del "cane sciolto" o del "lupo solitario", come fatto in altre analoghe drammatiche circostanze.
Strano destino, quello dei profughi palestinesi. Se in qualche modo le loro sorti possono essere ricondotte alle politiche difensive di Israele, lo stato ebraico è collocato sul banco degli imputati, costretto a difendersi per il tentativo quotidiano di evitare una eliminazione certa da parte dei nemici che lo circondano. Se il profugo palestinese è vessato, ostracizzato, malmenato, privati dei diritti più basilari ad opera di dubbie democrazie mediorientali, tutto scivola nell'oblio, nell'omissione e nelle reticenze.

lunedì 16 febbraio 2015

Svezia: patria occidentale dello stupro

Il governo svedese - nota bene: non il parlamento, le cui esternazioni sono simboliche, essendo questi atti di competenza dell'Esecutivo - ha recentemente riconosciuto lo "stato palestinese; e qualche giorno fa è stata inaugurata a Stoccolma l'ambasciata di questo stato inesistente.
Parallelamente, sono in crescita esponenziale gli episodi di stupro da parte di immigrati di origine islamica, secondo questa ricerca, che colloca la Svezia di gran lunga al primo posto al mondo in questa ripugnante graduatoria. C'è un nesso fra la "sollecitudine" di Stoccolma nel riconoscere uno stato che non esiste, e l'escalation di violenza degli ultimi anni?


Nel 1975 il parlamento svedese approvava all'unanimità la trasformazione in società multiculturale. Quarant'anni dopo emergono le conseguenze drammatiche di quell'esperimento: il crimine violento è aumentato del 300%.
Se ci si sofferma sugli stupri, la crescita è ancora più impressionante: nel 1975 la polizia riportava 421 casi; oggi, sono saliti a 6620, per un incremento del 1472%. La Svezia si colloca al secondo posto al mondo in questa agghiacciante classifica. Secondo un censimento del 2010, con 53.2 stupri ogni 100.000 abitanti, la Svezia è scavalcata soltanto dal piccolo Lesotho nell'Africa meridionale.
Secondo le statistiche pubblicate dal Consiglio Nazionale Svedese per la Prevenzione del Crimine, nel corso del 2011 29.000 donne svedesi hanno subito uno stupro; il che lascia intendere che soltanto una vittima su quattro ha riportato la violenza subita alla polizia.
Anziché prodigarsi per affrontare il problema della violenza carnale, i politici svedesi, le autorità e i media fanno il possibile per minimizzare Eccone alcuni esempi:

giovedì 12 febbraio 2015

L'Europa accusata di colonialismo nel West Bank

di Ari Soffer*

Una nota ONG israeliana ha accusato l'Unione Europea per il suo presunto ruolo nel finanziare la costruzione di insediamenti illegali arabi in Giudea e Samaria, dichiarando che questo tentativo sovverte gli affari interni dello stato ebraico, e rappresenta una forma di colonialismo.
Le argomentazioni giungono sulla scia di un articolo apparso sul britannico Daily Mail, secondo il quale l'UE ha impiegato il denaro dei contribuenti europei per costruire circa 400 abitazioni e altre costruzioni illegalmente nell'area C di Giudea e Samaria.
Alla luce degli Accordi di Oslo del 1993 - sottoscritti non solo da israeliani e palestinesi, ma anche dalla stessa Unione Europea, fra gli altri - mentre l'Autorità Palestinese mantiene il controllo pieno o parziale delle aree "A" e "B" del West Bank (o Giudea e Samaria); Israele detiene il controllo civile e militare esclusivo dell'area C: il che include la possibilità di pianificazione e costruzione edilizia.
Se fossero confermate, le rivelazioni - anticipate alcuni mesi fa dalla ONG Regavim e riportate da Aruyz Sheva - costituirebbero una flagrante violazione del diritto internazionale da parte dell'Unione Europea.
«Non bastava che l'Europa finanziasse le organizzazione di boicottaggio di Israele, che lavorano attivamente all'annichilimento dell'identità ebraica e democratica dello stato dal suo interno; ora l'UE è apertamente schierata per combattere lo stato ebraico, finanziando la costruzione abusiva di abitazioni», dichiara il direttore della ONG Tirzu Matan Peleg ad Arutz Sheva.
«Il sovvertimento degli affari interni dello Stato di Israele da parte dell'Unione Europea è un attentato alla democrazia ed è colonialista», rincara la dose, aggiungendo che questo atteggiamento «mina la legittima integrazione della comunità beduina nella società israeliana», incoraggiando a violare la legge.

martedì 10 febbraio 2015

Abu Mazen, il tiranno "moderato"

di David Keyes*

Quale presidente arabo "moderato" ha abbracciato in pubblico la scorsa settimana il dittatore genocida sudanese? quale "riformatore" mediorientale è appena entrato nel decimo anno di un mandato dalla durata prevista di quattro anni? quale "alleato" dell'Occidente ha appena ordinato un'indagine nei confronti di un vignettista, per aver raffigurato Maometto?
Risposta esatta: si tratta di Mahmoud Abbas (meglio noto in Occidente con il nome di battaglia di Abu Mazen, NdT).
Queste tre notizia a malapena si scorgono sui media occidentali. Perché? semplicemente perché l'asticella è stata collocata talmente in basso, che esse non sono ritenute di interesse generale. Un leader arabo che non concede elezioni? che noia... Un presidente mediorientale che abbraccia uno dei più sanguinari e spietati assassini di massa dell'ultimo secolo? uffa...
Sussiste una tragica disconessione fra la retorica occidentale e la realtà mediorientale. Abbas, a giudicare da come è coccolato dal mondo libero, è un moderato, un riformatore e un alleato. Dopotutto, è sempre meglio di Hamas, no? Non importa che Abbas nel 2013 affermò che «non c'è alcuna differenza fra i nostri obiettivi e quelli di Hamas». Il punto sta proprio qui: essere meno ripugnante di un'organizzazione terroristica che predica il genocidio non fa di te un moderato. Pretendere il contrario è un insulto al genere umano. È atto di accondiscendenza nei confronti dei palestinesi, e insulto nei confronti dei veri moderati.

lunedì 9 febbraio 2015

La radice politica dell'antisemitismo italiano

L'antisemitismo italiano è consistente, crescente, ma soprattutto diverso da quello francese. È il risultato sconvolgente ma neanche troppo sorprendente di un recente sondaggio, condotto dall'Institute for Jewish Policy Research, secondo cui i 2/3 degli ebrei italiani avverte la crescita di sentimenti antisemiti. Siamo soltanto poco distanti dalla percentuale (76%) registrata a livello comunitario.
Italiani brava gente? mica tanto: la differenza sostanziale rispetto ai sentimenti (non solo quelli, purtroppo) antisemiti in Francia sta nel fatto che mentre Oltralpe questo atteggiamento è vivo e generalizzato fra le consistente comunità musulmane, in Italia la popolazione islamica riveste un ruolo marginale nel definire le radici del crescente antisemitismo.

domenica 8 febbraio 2015

Come i media ingannano l'opinione pubblica su Israele

La tecnica è consolidata e collaudata: in tempo di guerra, prima si riporta la reazione israeliana, enfatizzandola, e più avanti, quando l'attenzione del lettore si appanna, si cita frettolosamente la causa scatenante; solitamente, l'aggressione da parte palestinese. Oppure: si tace sulle vittime - spesso civili - israeliane, e si versano lacrime di coccodrillo per i poveri terroristi, rei di agguati, aggressioni e lesioni gravi.
Dopotutto, sotto la prospettiva del jihad questa tecnica è comprensibile: tutto il mondo è waqf, proprietà islamica, e un buon musulmano ha il dovere di esercitare qualunque mezzo per ricondurla al legittimo proprietario; anche se quella terra è stata occupata diversi secoli addietro. Vale per Israele come vale per l'Andalusia spagnola, la Sicilia, l'Armenia, l'India. E chi aggredisce non è mai colpevole; anzi, è meritevole di encomio, perché elemento di una guerra difensiva, giusta e legittima. Mentre chi subisce l'aggressione deve soccombere perché rappresenta un'aggressione nei confronti di Allah.
Comprensibile come la tecnica del jihad venga coniugata quotidianamente dall'Islam più violento. Meno comprensibile che a questa quotidiana aggressione si prestino i media occidentali. Che risultano talmente parziali, con le loro omissioni e con una titolazione costruita ad arte, da risultare spesso grotteschi. Cosa non si fa, per apparire simpatizzanti nei confronti della "causa palestinese"...


1. Il 18 novembre 2014 due palestinesi assaltano una sinagoga a Gerusalemme, uccidendo quattro persone e un ufficiale di polizia, prima di essere neutralizzati dalle forze di sicurezza sopraggiunte. Ma per la CNN, vittime e terroristi vanno collocati sullo stesso piano:

venerdì 6 febbraio 2015

L'Occidente nei confronti dei palestinesi adotta una strategia sciaguratamente sbagliata


Il caso che deflagra nuovamente oggi non è nuovo per i nostri quattro lettori. Ce ne siamo occupati giusto quattro mesi fa: in violazione degli accordi interinali che seguirono la sottoscrizione del Trattato di Oslo del 1993, l'Autorità Palestinese sta costruendo illegalmente nell'area C del West Bank; quella sotto il pieno e legittimo controllo israeliano, sulla base delle intese sottoscritte all'epoca dall'OLP. Aspetto forse ancor più grave, l'attività edilizia beneficia del patrocinio addirittura dell'Unione Europea, che impiega un giorno sì e l'altro pure a puntare il dito contro presunte irregolarità israeliane nei territori contesi.
Siamo a febbraio e l'illecito non è stato sanato; al contrario: come riporta oggi il Jerusalem Post, centinaia di strutture abitative sono state costruite non lontano da Gerusalemme, fra Ma’aleh Adumim e la zona E1. Il governo israeliano è al corrente di questa attività, ma nicchia nel denunciare l'abuso, nel tentativo di non inasprire i già tesi rapporti con Bruxelles.

giovedì 5 febbraio 2015

Nessuno solidarizza con i giornalisti palestinesi?

Fa piacere scorgere su Rai News, nelle trasmissioni notturne di Rai Tre e sulle onde radio di Mamma Rai, la presenza di giornalisti che si presentano per "palestinesi". Ieri mattina a "Tutta la città ne parla" è intervenuto Samir al Qariouty, opinionista per la BBC e Al Jazeera, ma soprattutto: giornalista palestinese. Sorvoliamo sulle tesi fantasiose proposte - la sanguinosa guerra civile in Siria, le esecuzioni sommarie in Iran, le lapidazioni in Arabia Saudita, le impiccagioni degli omosessuali a Gaza, le decapitazioni dello Stato Islamico, la crocifissione dei cristiani nel mondo arabo: tutto sono spiegati dalla contesa dei territori ad est del Giordano fra Israele e palestinesi - e soffermiamoci sulla capacità di questo giornalista di manifestare liberamente le proprie opinioni.
Sì, perché tale prerogativa è preclusa ai suoi colleghi che limitano la propria attività professionale nei territori palestinesi amministrati da Hamas e dall'ANP. Secondo una fonte non tacciabile di parzialità come Al Monitor, l'80% dei giornalisti palestinesi subisce intimidazioni e censure dal regime, e non è libero di esprimersi al pubblico. Il risultato di questa costante e costante opera di condizionamento è l'autocensura, l'omissione della denuncia, e la rappresentazione idilliaca di una realtà altrimenti tragica.

martedì 3 febbraio 2015

A.A.A.: Cercasi comparse per prossimo film di Pallywood

L'inverno si sta rivelando particolarmente rigido a Gaza, quest'anno. Al solito, se Hamas, che governa la Striscia dal 2007, si fosse preoccupata di impiegare i miliardi di dollari piovuti da tutto il mondo per costruire case e infrastrutture, anziché rampe di lancio e tunnel del terrore; a quest'ora nessuno avrebbe sofferto il freddo e la fame nell'enclave palestinese. Ma il tempo delle recriminazioni è passato: con i 5 miliardi di dollari in arrivo per la ricostruzione a Gaza le condizioni di vita miglioreranno. O forse no.
Sta di fatto che Chris Gunness, il portavoce dell'UNRWA - l'agenzia ONU specializzata nel (non) risolvere la questione dei rifugiati palestinesi - che sul sul profilo Twitter riporta subdolamente la gigantografia della desolazione del campo profughi di Yarmouk, in Siria, spacciandolo implicitamente per oggetto di responsabilità israeliane; è all'opera per produrre una nuova spettacolare bufala made in Hollywood.

domenica 1 febbraio 2015

Ecco come i terroristi islamici entrano in Italia


di Mike Giglio*

Antakya, Turchia. Alla fine dello scorso anno un esponente dello Stato Islamico ha attraversato il confine siriano, si è installato in una città portuale della Turchia, e lì ha avviato una missione di infiltrazione di jihadisti in Europa. Dice che sta riuscendo nell'impresa, nel corso di un'intervista nei pressi del confine fra Siria e Turchia.
L'esponente, un siriano barbuto sulla trentina, afferma che l'ISIS sta inviando combattenti sotto copertura in Europa. Li fa entrare illegalmente dalla Turchia a gruppetti, nascosti in navi da carico fra centinaia di rifugiati. Afferma che i combattenti intendono porre in pratica le minacce dell'ISIS di attaccare l'Occidente, in rappresaglia per gli attacchi subiti da parte degli Stati Uniti a partire dalla scorsa estate in Iraq, e dall'autunno i Siria: «se qualcuno mi attacca», dichiara a BuzzFeed News in condizioni di anonimato, «può star certo che risponderò all'attacco».

Ancor prima dei bombardamenti aerei i governi occidentali temevano che l'ISIS avrebbe trovato il modo per inflitrare i propri jihadisti attraversi i confini comunitari. L'esponente dell'ISIS intervistato è il primo che discute apertamente con la stampa di questo proposito. Descrive il piano che sfrutta la peggiore crisi umanitaria degli ultimi decenni, che ha disperso 3.8 milioni di profughi in fuga dalla guerra civile in Siria; dei quali, un milione e mezzo hanno trovato ospitalità nella sola Turchia.
Dalle città portuali di Turchia, come Izmir e Mersin, molte migliaia di questi rifugiati si sono imbarcati, in special modo verso l'Italia. Da lì' si dirigono verso stati più ospitali, come Svezia e Germania, rivolgendosi alle autorità locali per ottenere asilo politico: «i terroristi entrano in Europa come rifugiati», abbozza l'esponente dell'ISIS.