mercoledì 9 dicembre 2015

Facebook contro Golda Meir


di Yarden Frankl*

Un anno fa, alla vigilia del conflitto di Gaza, abbiamo pubblicato una immagina di Golda Meir riportante una delle sue citazioni più note: «la pace sopraggiungerà quando gli arabi ameranno i loro bambini, più di quanto odiano noi».
A fronte del plateale indottrinamento dei loro bambini all'odio nei confronti degli israeliani, sentivamo che quel messaggio era contemporaneo come non mai. Dopotutto, sia Hamas che l'Autorità Palestinese fanno regolarmente impiego dei mezzi di informazione per glorificare gli atti di terrorismo. Quest'anno abbiamo assistito quasi ogni giorno ad attacchi nei confronti di innocenti uomini, donne e bambini israeliani da parte di giovani palestinesi.
Alcuni di questi attacchi si sono risolti nella morte degli aggressori da parte degli israeliani intenti a tentare di difendersi. Una volta intervistati, i genitori di questi aspiranti criminali hanno manifestato orgoglio per l'azione dei loro ragazzi, mentre cercavano di uccidere gli ebrei.
Si può ben dire che l'odio dei palestinesi verso gli ebrei superi persino il loro amore verso i loro stessi figli?

giovedì 3 dicembre 2015

Triste Natale per i cattolici che vivono sotto Abu Mazen

Il gigantesco albero di Natale piazzato davanti alla Chiesta della Natività a Betlemme
Ma perché quest'anno ce l'hanno tutti con le rappresentazioni iconiche del Natale cristiano?
Persino nell'Autorità Palestinese (ANP) di quell'Abu Mazen tanto adorato dai salotti europei, i cattolici non se la passano tanto bene. Violenze e persecuzioni sono cresciute esponenzialmente, e non pochi - fra quelli che hanno potuto - hanno deciso di fare le valigie e trovare riparo altrove: segnatamente nel vicino Israele, dopo la minoranza cristiana è in continuo aumento; unico caso in tutto il Medio Oriente.
In tutto il West Bank i cristiani ormai costituiscono meno del 2% della popolazione complessiva. A Nablus 40 anni fa vivevano più di tremila cristiani; oggi sono meno di 700. A Betlemme la popolazione cattolica è scesa sotto al 20% del totale, decimata da vessazioni, violenze e minacce dopo il passaggio all'amministrazione dell'ANP. Proprio la cittadina indicata dalla tradizione cristiana come luogo di nascita di Gesù Cristo, è stata suo malgrado protagonista di uno spiacevole episodio, che la dice lunga circa il clima di ostilità respirato dalle minoranze sotto il dominio dell'ANP.

martedì 24 novembre 2015

La schizofrenia dei (filo)palestinesi e del mondo arabo

Un esame neanche troppo approfondito delle farneticazioni del mondo arabo e dei sostenitori della cosiddetta "causa palestinese", rivela incongruenze palesi e contraddizioni stridenti, fatte scivolare via dai media ufficiali per non turbare il sonno dei filopalestinesi, e non agevolare (quando mai!) la controparte ebraica. Esemplare il chiacchiericcio seguito alla strage di Parigi: da un lato i cospiratori hanno puntato il dito contro l'onnipresente Mossad; dall'altro hanno denunciato come l'assassinio perpetrato sia stata la conseguenza inevitabile delle "sofferenze" patite dai musulmani ad opera dell'Occidente "colonialista" e di Israele "occupante".
Il blogger Edgar Davidson ha realizzato una tabella che evidenzia le affermazioni più ricorrenti nel mondo arabo. Ciascuna di esse rivela opinioni diffuse e ricorrenti, sullo stesso tema. Peccato che l'una escluderebbe l'altra. Ma non importa: evidenziarlo farebbe correre il rischio di essere tacciato di islamofobia...

11 Settembre
- «L'attentato alle Torri Gemelle è stato organizzato dal Mossad»
- «L'11 Settembre è stata una grande affermazione dell'Islam»

Osama Bin Laden
- «Osama Bin Laden era una spia sionista»
- «Osama Bin Laden è stato un grande eroe dell'Islam»

Olocausto
- «L'Olocausto non è mai avvenuto»
- «Hitler è stato un grande uomo che ha punito gli ebrei»

mercoledì 18 novembre 2015

Abu Mazen confessa: «così ho abortito lo stato palestinese»

Il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas per la prima volta ha ammesso in pubblico che nel 2008 ha respinto una proposta di pace che avrebbe dato luogo alla nascita di uno stato palestinese che avrebbe incluso tutta la Striscia di Gaza, quasi tutto il West Bank (mediante scambi territoriali) e un corridoio che avrebbe collegato i due territori.
Abbas lo ha riconosciuto nell'ambito di un'intervista concessa al canale televisivo israeliano Channel 10, che ha mandato in onda un documentario in tre puntate sui negoziati di pace del 2000 e del 2008 (la mission della TV pubblica è evidentemente ben diversa in Israele rispetto ai territori palestinesi, NdT). Secondo Abu Mazen e Ehud Olmert, primo ministro di Gerusalemme nel 2008, Israele presentò al leader palestinese una mappa dettagliata che definiva i confini del futuro stato di Palestina. Abbas affermò che la respinse, perché sosteneva di non essere un esperto di mappe, e perché gli scandali che lo coinvolsero promettevano una fine prematura del mandato di Olmert. In passato l'ex Primo Ministro israeliano e diversi dirigenti palestinesi hanno dichiarato che Abbas all'epoca respinse il piano di pace, ma questa è la prima volta che il presidente dell'ANP lo ammette esplicitamente.
Al minuto 24'05" del filmato, il giornalista di Channel 10 Raviv Drucker chiede ad Abbas: «nella mappa che Olmert sottopose alla Sua attenzione, Israele avrebbe annesso il 6.3% del West Bank, offrendo in cambio il 5.8% dei territori israeliani al di qua della Linea Verde: cosa rispose a questa proposta?». «Non ero interessato», ha replicato Abbas; al che l'intervistatore lo incalza: «seriamente, perché non ha accettato l'offerta di Olmert?»

martedì 10 novembre 2015

Quelle volte in cui siamo andati vicini alla nascita di uno stato palestinese...

Come una volta ebbe a dire il leggendario negoziatore israeliano Abba Eban a proposito delle relazioni fra lo stato ebraico e il mondo arabo: «gli arabi non perdono mai l'opportunità di perdere un'opportunità»; e in effetti si contano diverse occasioni in cui la leadership palestinese ha dato un calcio all'opportunità di pervenire finalmente ad uno stato.
Perché i palestinesi si rifiutano di intavolare negoziati di pace? perché una pace concordata implicherebbe la fine del conflitto. I palestinesi invece vogliono uno stato che comporti la continuazione del conflitto, ma da posizioni di forza: ecco perché insistono in questo preteso "diritto al ritorno".
Al margine dovrebbe essere notato come una eventuale dichiarazione statuale unilaterale da parte dei palestinesi, o il portare la questione alle Nazioni Unite, costituirebbe una grave violazione degli Accordi di Oslo sottoscritti fra OLP e Israele; che esplicitamente escludono questa scappatoia, nonché il ricorso a terze parti. Questi accordi fra l'altro sono stati sottoscritti con il patrocinio di Stati Uniti, Russia, Norvegia e Unione Europea; per cui se qualcuno di questi stati dovesse contravvenire agli accordi supremamente controfirmati, solleverebbero forti dubbi circa la credibilità della loro firma.
Si contano almeno tre volte in cui i palestinesi hanno respinto la prospettiva di pervenire ad uno stato; in due casi in tempi recenti.

mercoledì 4 novembre 2015

Tesoro, mi si sono ristretti gli insediamenti!

Il profilo minaccioso di un insediamento ebraico.
Per qualche istante abbiamo temuto che Haaretz, il quotidiano arabo stampato in Israele in lingua ebraica ed inglese, avesse cambiato mission, sotto i colpi degli hacker che ieri hanno preso possesso del suo profilo Twitter. Ma una rapida occhiata ha confermato il mantenimento dello status quo: permane l'atmosfera di acredine, di sentimenti antisionisti, di manipolazione della verità, di vagheggiamenti elitari e proliferano le ospitate di odiatori di Israele.
Non c'era bisogno che un gruppo di buontemponi alterasse la home page di Twitter: bastava lasciarvi le considerazioni di Lara Friedman e Hagit Ofran, attiviste di Peace Now, che ivi riversavano tutta la loro frustrazione per le recenti dichiarazioni del primo ministro israeliano il quale, dati alla mano, ha dimostrato come l'attività edilizia nei territori contesi del West Bank non possa essere la causa delle violenze palestinesi, poiché la costruzione degli insediamenti in realtà si è ridotta durante il mandato di Netanyahu, rispetto a quello dei sui predecessori (laburisti inclusi).

martedì 3 novembre 2015

Come investire sulla StartUp Nation

Importante novità per gli investitori che desiderano puntare sul boom della tecnologia Israele.
Grazie ad un accordo fra il NASDAQ, la borsa di Tel Aviv e la BlueStar Indexes, presto sul tabellone di Times Square comparirà il primo ETF (Exchange Traded Fund) che replica l'andamento di un paniere di società tecnologiche israeliane, o collegate ad Israele. Lo strumento sarà denominato "BlueStar TA-BIGITech Israeli Technology exchange traded fund (ETF)", e sarà scambiato sul Nasdaq con il ticker symbol "ITEQ".
Ma che cos'é un ETF e quali saranno in vantaggi per gli investitori?
Un ETF è una popolare forma di investimento, a metà strada fra un fondo di investimento e un'azione. Come il primo, rappresenta un paniere diversificato di società, selezionato da uno o più gestori. Come un'azione, non necessita dell'intermediazione di un promotore finanziario per essere acquistato: è sufficiente inserire la denominazione o il simbolo nel motore di ricerca della propria piattaforma di trading online per essere acquistato.

I 36 stati che non riconoscono Israele


Ostentando una abbondante dose di ingenuità, l'opinione pubblica generalmente ritiene che sarebbe sufficiente sottoscrivere un accordo definitivo fra israeliani e palestinesi per conseguire addirittura la pace in Medio Oriente. Obiettivo tanto ambizioso quanto irrealistico, in un'area martoriata da guerre civili ed estremismo islamico in cui il piccolo stato ebraico non c'entra per nulla. Ma tant'é: si indicano gli accordi con l'Egitto (1979) e con la Giordania (1994) come testimonianze della possibilità di voltare pagina in quest'area.
Ma c'è un "ma": gli accordi di pace sottoscritti fra Gerusalemme e Il Cairo e poi Amman, presupponevano una condizione preliminare cogente: il mutuo riconoscimento. E questo è uno degli aspetti tuttora latitanti: sia il governo di Ramallah di Abu Mazen, sia il governo di Hamas a Gaza, si rifiutano di riconoscere la legittimità dello stato di Israele. Fino a spingersi in enunciazioni grottesche: come quando l'altro giorno "Abu Mazen" ha sostenuto che la presunta occupazione israeliana perdura dal 1948; sottintendendo che non di West Bank si tratti, ma di tutto il territorio compreso fra il Giordano e il Mediterraneo. Allineandosi così' alle ambizioni più estremiste, che vorrebbero cancellare Israele con un tratto di penna, e con la complicità occidentale.

lunedì 2 novembre 2015

Clamoroso all'ONU: l'Egitto vota a favore di Israele!


È passato un po' inosservato l'ingresso di Israele nella prestigiosa agenzia ONU incaricata di promuovere la cooperazione internazionale per l'impiego pacifico dello spazio extraterrestre: la United Nations Office for Outer Space Affairs (UNOOSA). Al di là dei compiti di questa agenzia del Palazzo di Vetro, e del significativo apporto tecnologico che il piccolo stato ebraico potrà ora fornire, ciò che colpisce di questa cooptazione è il voto con cui è stata approvata alle Nazioni Unite: dove diversi stati arabi e musulmani - Qatar, Tunisia, Siria, Arabia Saudita, Yemen, Kuwait, Iraq e Algeria - si sono astenuti; e dove addirittura l'Egitto ha votato a favore dell'ingresso di Gerusalemme nell'organismo internazionale.
Il voto di venerdì da parte del Cairo costituisce un precedente assoluto, sin dalla creazione del moderno stato di Israele del 1948. Prima del voto, il portavoce del ministro degli Esteri egiziano si è rifiutato di rilasciare dichiarazioni. In seguito all'ingresso di Israele nell'UNOOSA, ha minimizzato rilevando che la decisione si rendeva necessaria per favorire il contestuale ingresso di altri stati arabi nell'Agenzia. Diversi politici in Egitto hanno aspramente contestato la decisione, presumibilmente benedetta invece dal presidente al-Sisi.

venerdì 30 ottobre 2015

Poveri palestinesi, vittime dei filopalestinesi

Alcuni anni fa un imprenditore, di nome Daniel Birnbaum, ebbe una folgorazione: volle creare opportunità e posti di lavoro per i palestinesi. Così acquisto uno stabilimento nel West Bank, dove la disoccupazione superava il 30%, e assunse ben 500 palestinesi; oltre a 350 arabi israeliani e 300 ebrei israeliani. Riconobbe loro una paga pari a quattro volte quella vigente nei territori palestinesi. E siccome i palestinesi non sono cittadini israeliani, e pertanto non godono della sanità pubblica, stipulò una copertura sanitaria privata, che consentì ai dipendenti palestinesi di garantire copertura e serenità a tutti i numerosi familiari. Nella sua fabbrica il culto delle diverse religioni sarebbe stato consentito dall'istituzione di cappelle, moschee e sinagoghe.
Diede a questa fabbrica il nome di SodaStream.
Birnbaum ha creato dal nulla una azienda che ha generato profitti per gli azionisti ed entrate fiscali. Ha creato posti di lavoro. Ha dimostrato che è possibile la convivenza fra arabi, palestinesi ed ebrei. Ha persuaso una celebrità mondiale come Scarlett Johansson a prestare il proprio volto per la campagna pubblicitaria di SodaStream.

domenica 18 ottobre 2015

Le Nazioni Unite alleate del terrorismo palestinese?

Secondo un rapporto pubblicato da UN Watch di Ginevra, almeno dieci diversi dipendenti dell'ONU stanno usando la legittimazione della loro posizione ufficiale per incoraggiare i palestinesi ad accoltellare e colpire gli ebrei israeliani; uno di essi sulla sua pagina Facebook incita a «pugnalare i cani sionisti». UN Watch è un'organizzazione internazionale il cui mandato conferitole dal Palazzo di Vetro, consiste nel monitorare il rispetto dello statuto istitutivo da parte dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.
UN Watch ha sottoposto il documento all'attenzione del segretario generale Ban Ki-moon, del direttore dell'UNRWA Pierre Krähenbühl e dell'ambasciatore americano all'ONU Samantha Power. Gli Stati Uniti, con 400 milioni di dollari annui, sono il principale finanziatore dell'UNRWA.
Dichiara Hillel Neuer, direttore esecutivo di UN Watch: «L'ONU e i finanziatori principali dell'UNRWA come gli Stati Uniti, dovrebbero porre immediatamente fine al rapporto con i propri impiegati che incitano ad attività delittuose e criminali, e che si abbandonano ad atti di antisemitismo, incoraggiando gli attacchi palestinesi contro gli israeliani, che hanno tolto la vita a uomini, donne e bambini innocenti».

giovedì 15 ottobre 2015

Chi sono i nuovi terroristi palestinesi


di Bassam Tawil*

Negli ultimi giorni ho avuto modo di visitare le abitazioni di alcune persone coinvolte nella recente ondata di terrorismo nei confronti degli israeliani: una violenza che alcuni definiscono "intifada". Ciò che ho visto - e che chiunque al mio posto avrebbe scorto - è che nessuno di questi palestinesi vive in condizioni di disagio: le loro condizioni di vita sono tutt'altro che misere. Questi assassini lasciano una vita fatta di agi, con un pieno accesso ad istruzione e lavoro.
Quattro dei terroristi provenivano da Gerusalemme e, come residenti permanenti che non hanno fatto richiesta di cittadinanza, possedevano una carta d'identità israeliana. Godevano di pieni diritti, al pari di tutti gli altri israeliani, eccezion fatta per l'elettorato passivo; ma si fa fatica a credere che gli arabi di Gerusalemme ammazzano e muoiono perché non possono votare per il parlamento israeliano.
Questi giovani hanno tratto beneficio dalla loro condizione di residenti permanenti per andare ad uccidere gli ebrei. Possedevano documenti di identità che hanno consentito loro di circolare liberamente in tutto Israele, e di guidare auto con regolare carta di circolazione. Godevano anche dei benefici previdenziali e sanitari riconosciuti a tutti i cittadini israeliani, a prescindere dalla loro fede, dal colore della pelle o dall'etnia.

lunedì 12 ottobre 2015

Il solito strabismo dell'opinione pubblica internazionale

Che la si chiami o meno "intifada", la recente ondata di violenze e di azioni terroristiche da parte dei palestinesi è stata da alcuni ricondotta alle recriminazioni circa lo status quo relativo al Monte del Tempio di Gerusalemme, che ospita anche due moschee. Non entriamo nel merito delle recriminazioni strumentali del re di Giordania, che ha denunciato il mancato rispetto degli accordi sottoscritti dopo la fine dell'occupazione giordana del 1967; salvo essere contraddetto dal leader dell'opposizione di Amman, che denuncia l'attivo sostegno di Abd Allah II a favore dei facinorosi che nei giorni passati hanno messo a ferro e fuoco la Città Vecchia di Gerusalemme, inducendo l'intervento delle forze di sicurezza, e l'inevitabile intensificarsi della tensione. E non discutiamo la reale fondatezza delle argomentazioni di Gerusalemme, che non avrebbe alcun motivo a modificare la destinazione dei luoghi sacri; incluso il Muro Occidentale, che prima del 1967 era sistematicamente dissacrato e di fatto ridotto ad un orinatoio.

domenica 11 ottobre 2015

Cinque miti storici su Israele da sfatare

di Ryan Bellerose*

È in atto un tentativo in atto di negare la storia e quasi la stessa esistenza del popolo ebraico. Farebbe ridere se non fosse così condiviso. Oggi mi soffermerò su alcuni di questi miti, apparentemente innocui, ma in realtà molto pernicioso e minaccioso.


MITO NUMERO 1: Israele sarebbe stato creato da colonialisti.

La verità è che gli ebrei hanno combattuto all'ultimo sangue per la terra dei loro avi. Mentre il Regno Unito aprì la porta con gli Accordi di Sanremo, e quindi con la Dichiarazione Balfour, il successivo piano di partizione e il mandato palestinese assegnarono i 3/4 della terra promessa (si perdoni il gioco di parole) al neocostituito regno ascemita, che avrebbe preso il nome di Giordania: il che dimostra che l'appoggio britannico non fu in realtà così amichevole. Se poi si considera l'embargo delle armi che agì soltanto nei confronti del neonato stato israeliano, il fatto che Londra armò e addestrò la legione giordana, e i limiti allora imposti all'immigrazione ebraica, mentre al contempo si incoraggiava l'immigrazione araba, si ottiene un quadro ben preciso del presunto favore britannico.
È piuttosto divertente che le persone che sostengono che Londra abbia "creato" Israele, sono le stesse che indicano il bombardamento del King David (in cui a seguito di attentato perirono 28 inglesi, noncurante dell'allarme lanciato prima dell'esplosione, NdT) come prova della cattiveria degli ebrei. Va detto che, in primo luogo il King David era il quartier generale del governo DI OCCUPAZIONE britannico. Soprattutto, non si chiedono mai come mai gli ebrei combattessero la gente che secondo essi avrebbe dato vita allo stato di Israele. È un perfetto esempio del motivo per cui dobbiamo ridimensionare la retorica colonialista. Naturalmente non mancherà chi giurerà che senza il sostegno coloniale, gli ebrei non sarebbero riusciti nel loro intento, quando nella realtà essi combattevano i colonialisti. Ovviamente gli inglesi maldigeriscono questa vicenda.

giovedì 8 ottobre 2015

Tranquilli: il terrorismo non esiste (lo dicono i giornali)

I giornali occidentali evitano accuraramente di pronunciare la parola "terrorismo", citandola soltanto come espressione del pensiero del primo ministro di Gerusalemme. È colpa degli ebrei, i cui corpi - collo, testa, spalla e organi vitali - si scagliano incontrollati contro coltelli, asce, giraviti e altri corpi laceranti di incolpevoli palestinesi; se si contano morti e feriti. È colpa delle strade la cui manutenzione pur spetta, secondo gli Accordi di Oslo, agli israeliani; se le pietre che su esse poggiano sono involontariamente colte da giovanotti palestinesi, specializzatisi in questa tecnica del tiro al bersaglio, che ha prodotto di recente più di una dozzina di vittime; fatalmente tutte da parte israeliana.
Non sia mai pronunciare la parola che incomincia con la lettera "T": si rischierebbe di legittimare la reazione israeliana. Dopotutto, come ha chiarito oggi il primo ministro del governo palestinese - sì, a quanto pare ne esiste uno; anzi, due - sussiste un "diritto alla difesa": esercitato prima lanciando pietre di diverse dimensioni (non i sassolini amorevolmente mostrati dalle pagine di Repubblica; quelli lo sappiamo benissimo che non farebbero male a nessuno; tranne magari ad una qualche giornalista palestinese in cerca di notorietà e celebrazione); poi dotandosi di tutto ciò che possa lacerare i corpi dei colpevoli a prescindere.

mercoledì 7 ottobre 2015

Anche "The Economist" punta il dito contro Abu Mazen

C'è una notevole discrepanza fra l'enorme mole di donazioni internazionali che raggiungono i territori palestinesi amministrati dall'ANP e da Hamas, e il benessere della popolazione. Secondo il Global Humanitarian Assistance Report, nello scorso decennio i palestinesi hanno ricevuto sovvenzione pro-capite di gran lunga superiori agli spiccoli elargiti a Libano, Somalia, Liberia, Sudan, Chad, Angola e via discorrendo; malgrado in questi stati martoriati da carestie, guerre civili e crisi umanitarie, il benessere sia ben inferiore.
La retorica pacifista inaugurata dagli Accordi di Oslo ha generato aspettative rivelatesi ben presto infondate: gli svariati miliardi di dollari che la comunità internazionale ha destinato alla "questione palestinese" non hanno migliorato sostanzialmente le condizioni medie di vita. La maggiore prossimità alle gerarchie del Fatah e di Hamas ha generato migliaia di nuovi milionari, mentre la massa è stata alimentata ad odio e violenza: si incoraggia più facilmente ad impugnare un coltello, quando la pancia è vuota.

lunedì 5 ottobre 2015

Da uno spettacolare Action movie ad un grottesco P-movie...

Spettacolare e audace impresa delle forze di sicurezza israeliane, che ieri sono penetrate all'interno dell'ospedale di Nablus, travestite da arabi, per prelevare Karam al-Masri, 23 anni, coinvolto nei disordini dello scorso fine settimana, e ricoverato per una frattura ad un braccio. Basandosi sulle immagini della TV a circuito chiuso rilasciate ai media locali, il direttore dell'ospedale ha rivelato come il commando sia salito di primo mattino fino al terzo piano del nosocomio, non prima di aver sabotato le telecamere di sorveglianza.
Le immagini diffuse sono state ottenute da telecamere rimaste intoccate.

lunedì 28 settembre 2015

Perché gli israeliani sono felici più che mai?


di Ben Caspit*

Le varie classifiche sulla felicità e sull'ottimismo stilate da varie organizzazioni internazionali, incluse le Nazioni Unite, mostrano Israele praticamente sempre in cima. Malgrado lo stato ebraico sia l'unico al mondo la cui stessa esistenza è messa in discussione, essendo l'intera popolazione di continuo minacciata da centinaia se non migliaia di missili e razzi; Israele vanta una plateale vitalità secondo queste stime, scavalcando diversi stati europei e potenze mondiali come Stati Uniti e Russia.
Si tratta di un paradosso ben noto agli studiosi, che fa di questa sottile nazione, circondata da nemici e in costante stato di guerra, un paradiso confinante con l'inferno. Questa combinazione impossibile di volta in volta produce autentici miracoli. Un recente sondaggio sulla qualità di vita condotto dalla pubblicazione InterNations classifica Israele quarto al mondo fra le nazioni ove tirar su famiglia, dietro Austria, Finlandia e Svezia. Israele si colloca ben prima di Regno Unito, Germania, Stati Uniti e altre potenze economiche. Se si interrogasse l'israeliano medio, vi rivelerebbe che teme le minacce al proprio stato, è preoccupato per l'economia, risente delle tensioni costanti; ma ciò non toglie che sia felice. Proprio così.

sabato 26 settembre 2015

Palestinesi picchiati, arrestati e colpiti con arma da fuoco: ma (chissà perché) non fa notizia...


Malgrado l'aspetto bonario e la persistenza al potere da più di dieci anni, Abu Mazen - come è affettuosamente chiamato in Europa Mahmoud Abbas, il responsabile logistico e organizzativo della Strage di Monaco del 1972 - non gode di grande fama in "patria". È opinione diffusa che si guardi bene dall'indire nuove elezioni, malgrado il suo mandato presidenziale sia scaduto da più di sei anni, nel fondato timore di perderle a favore di esponenti appartenenti agli odiati nemici di Hamas, con cui peraltro condividono formalmente responsabilità governative nella Striscia di Gaza; tanto per accontentare la poco esigente "comunità internazionale" (che non può mica addossare sempre le responsabilità ad Israele, no?)
È pacifico che le rimostranze si farebbero veementi nei confronti dell'OLP, che detiene i posti chiave nell'autorità palestinese, se le manifestazioni di protesta non fossero soffocate. Di tanto in tanto trapelano arresti indiscriminati, detenzioni arbitrarie e metodi persuasivi non proprio rispondenti alle convenzioni internazionali, ai danni di chi suo malgrado è ospitato nelle carceri di Ramallah. Le autorità minimizzano, i giornali glissano, i media internazionali tacciono: «no jews, no news». Atteggiamento bieco e se vogliamo anche un po' razzista («che ci importa di questi palestinesi, se non possiamo accusare gli israeliani?»).

martedì 22 settembre 2015

10 cose che non sai sugli ultimi 10 anni a Gaza


Nel 2005, Israele si è disimpegnato unilateralmente dalla Striscia di Gaza. Nel 2006 il "Quartetto" (Nazioni Unite, Unione Europea, Stati Uniti e Russia) ha offerto il riconoscimento di Hamas, a condizione che esso accettasse tre condizioni: il riconoscimento di Israele, la rinuncia all'azione violento e il rispetto degli accordi precedentemente sottoscritti fra Gerusalemme e OLP. Hamas ha sistematicamente rigettato queste condizioni, e rimane determinata nella sua intenzione di distruggere Israele, come riportato nel suo statuto.
Nel 2007, Gaza è caduta sotto il controllo di Hamas. Dopo la conquista violenta della Striscia, Hamas ha iniziato a lanciare missili, razzi e colpi di mortaio all'indirizzo di Israele. Ciò ha costretto lo stato ebraico ad imporre il blocco dei rifornimenti di munizioni onde prevenire il tentativo dell'organizzazione terroristica di munirsi di nuove armi.
Al contempo, in collaborazione con l'ONU, Israele ha continuato a garantire la continua fornitura di generi di prima necessità alla popolazione residente nella Striscia. Nel Palmer Report, l'ONU ha confermato che il blocco navale della Striscia da parte di Israele è un modo legittimo per impedire che gli armamenti raggiungano Hamas; tuttora considerata un'organizzazione terroristica in buona parte del mondo, fra cui gli Stati Uniti, il Canada e l'Unione Europea.
Dal disimpegno di Israele, sotto il dominio di Hamas Gaza ha cessato di prosperare socialmente o economicamente.

lunedì 21 settembre 2015

25 cose che forse non sapete di Corbyn


di David Hirsh*

Stiamo discutendo di un leader del Labor Party che:

1) afferma che l'attentato del 7 luglio 2005 sia il risultato dell'insicurezza generata nel mondo dal Regno Unito;
2) ha presentato un programma su Press TV, il canale propagandistico iraniano;
3) loda e presenzia su Russia Today, il canale propagandistico di Putin;
4) è il responsabile nazionale di "Stop the War";
5) patrocina la "Palestine Solidarity Campaign”, che promuove il boicottaggio di Israele;
6) afferma che Hamas ed Hezbollah si battono per il bene dei palestinesi, e per la giustizia sociale e politica;
7) dichiara che è la NATO l'aggressore in Europa Orientale, e che la Russia vanta legittime aspirazioni sull'Ucraina;
8) si schiera a difesa degli antisemiti: come Raed Salah, che indulge nella medievale accusa del sangue; o Stephen Sizer, che farnetica di un coinvolgimento di Israele nell'11 settembre;

domenica 20 settembre 2015

L'Islanda erutta una colata di ottuso antisemitismo

La mite, fredda e lontana Islanda continua ancora a far parlare di se' in questi giorni. Come riportato su Facebook giovedì mattina, il Consiglio comunale di Reykjavik ha approvato una mozione che bandisce dal territorio cittadino tutti i prodotti israeliani. Tutti, senza alcuna esclusione: sia quelli realizzati nei Territori Contesi (al di là della "Linea Verde"), sia quelli prodotti a Tel Aviv, o ad Haifa, o a Gerusalemme. L'obiettivo, neanche tanto velato, è quello di fare del remoto stato artico la prima nazione europea "Israel Free". Immediata la condanna e l'indignazione per questo deprecabile atto, che ricorda un passato che si sperava non tornasse più. Giulio Meotti, sulle colonne de Il Foglio, ha suggerito all'establishment islandese - che mette sullo stesso piano Israele, Siria, Iran, Sudan e Corea del Nord - di «apporre anche una stella di Davide sulla merce».
Il gesto apparentemente scomposto ma in realtà ben ponderato della consigliera Björk Vilhelmsdóttir, è stato talmente eclatante da indurre ad una marcia indietro: parziale. Sabato mattina il sindaco della capitale islandese ha precisato che la mozione sarà ritirata; con esclusivo riferimento alle produzioni israeliane realizzate al di qua della Linea Verde. Si apprende che la mozione sarà ripresentata con riferimento alle merci prodotte nei "territori occupati", per adottare l'espressione riportata da Iceland Monitor.

sabato 19 settembre 2015

Boicottare l'economia israeliana è stupido e controproducente

Il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto al rialzo le stime di crescita per l'economia israeliana: al 2.5% per l'anno corrente, e al 3.3% nel 2016. In un recente rapporto, gli economisti del FMI hanno evidenziato come l'economia dello stato ebraico sia stata intoccata dalla Grande Recessione, grazie all'apertura agli scambi internazionali e alla consistente presenza del settore tecnologico, che costituisce più del 40% delle esportazioni industriali.
La robusta crescita economica consentirà ulteriori progressi sul fronte dell'occupazione, con il tasso di disoccupazione destinato a permanere sui minimi storici. Secondo gli studiosi del Fondo, si tratta di un autentico miracolo: negli ultimi 25 anni, gli occupati sono cresciuti del 3.5%; all'anno. Non a caso, non solo Israele ha realizzato la migliore performance economica del mondo occidentale dal 2007 ad oggi; ma allo stesso tempo, è l'unico membro OCSE ad aver battuto le previsioni di crescita complessive formulate dal Fondo otto anni fa.

venerdì 18 settembre 2015

Le concessioni ipocrite dell'ONU ai palestinesi

di Khaled Abu Toameh

Il voto con cui le Nazioni Unite hanno concesso di issare la bandiera palestinese davanti al Palazzo di Vetro non porterà con se' democrazia, libertà di espressione e trasparenza. Il voto all'ONU è sopraggiunto nell'ambito di crescenti violazioni dei diritti umani sia da parte dei palestinesi di Hamas, che di quelli dell'Autorità palestinese. D'altro canto, quando mai l'ONU si è preoccupata delle violazioni dei diritti umani perpetrata dall'ANP e da Hamas nei confronti del loro stesso popolo?
Chi si cura del fatto che Hamas arresta elettori e candidati del Fatah, nel momento in cui la bandiera palestinese è issata di fronte alle Nazioni Unite? Evidentemente l'ONU ritiene questo atto formale più rilevante del chiedere la cessazione delle violazioni dei diritti umani da parte di AP e Hamas. Nessuno stato membro si è preso la briga di denunciare la repressione di Hamas e il diniego di elezioni da parte del Fatah.
I paesi che hanno votato a favore della mozione non hanno alcun interesse per i bisogni e le aspettative dei palestinesi. Il voto era soprattutto una forma di attacco diplomatico nei confronti di Israele - uno scherno nei confronti dello stato ebraico, piuttosto che un concreto aiuto a favore dei palestinesi, e della prospettiva di un futuro stato indipendente.

lunedì 14 settembre 2015

Davvero gli insediamenti israeliani sono un ostacolo alla pace?


di Alan Dershowitz*

Davvero la politica israeliana finalizzata alla costruzione di edifici ad uso residenziale in un'area nota come West Bank, è il motivo principale per cui non si raggiunge una pace definitiva fra Gerusalemme e palestinesi? la risposta a questa domanda, nonostante tutto il clamore sollevato a proposito dei cosiddetti "insediamenti" è: NO. Gli insediamenti israeliani nel West Bank non sono il principale ostacolo ad un accordo di pace. Il collocare la questione in un contesto storico lo chiarirà appieno.
Per due decenni prima del giugno 1967, il West Bank - inclusa parte di Gerusalemme - è ricaduto sotto il controllo della Giordania. Durante questo arco di tempo, durante il quale Israele non ha detenuto alcun insediamento, si sono consumati diversi attentati terroristici contro lo stato nazione del popolo ebraico. In altre parole, i palestinesi hanno compiuto attacchi terroristici nei confronti di Israele, quando non esisteva alcun insediamento; e hanno continuato su questa strada, quando ci sono stati gli insediamenti. Se domani Israele si ritirasse da tutti gli insediamenti nel West Bank, è molto improbabile che le cose cambierebbero. Infatti, se la storia è maestra, il terrorismo ai danni di Israele aumenterebbe.

domenica 13 settembre 2015

Chi è Jeremy Corbyn, il nuovo leader del Labor UK

La sinistra britannica ha scelto il suo nuovo leader: è Jeremy Corbyn, l'anziano socialista specializzato in equilibrismo fra istanze pacifiste e simpatie per i terroristi di Hamas ed Hezbollah; soprattutto, il politico britannico tanto ossessionato da Israele, da farne oggetto delle sue attenzioni più delle problematiche relative al collegio di cui è espressione.
Corbyn, che ha appena conquistato la poltrona di segretario del Labor Party con quasi il 60% di preferenze della "base" (a cui evidentemente non corrisponde geometricamente alcuna altezza), ha messo sullo stesso piano gli Stati Uniti e lo Stato Islamico. E non solo:
- ha presenziato agli eventi e ha elargito donazioni all'organizzazione di Paul Eisen, noto negazionista dell'Olocausto;
- ha definito la scomparsa di Bin Laden una «tragedia»;
- ha preso pubblicamente le difese del vicario Stephen Sizer, che distribuisce materiale complottista sull'11 settembre, e che è stato diffidato dal pubblicare sui social media da parte della Chiesa Anglicana, che lo accusava di diffondere materiale antisemita;
- ha tessuto le lodi di Raed Salah, invitandolo a testimoniare alla Camera dei Comuni. Salah è convinto che gli ebrei impastino le azzime con il sangue dei gentili, che gli ebrei fossero a conoscenza dei piani per l'11 settembre, ed è stato espulso dal Regno Unito per il suo incitamento all'antisemitismo;

mercoledì 9 settembre 2015

L’Accademia Tamimi presenta: lezioni di manipolazione dei media

In un recente articolo che si soffermava sullo sfruttamento cinico da parte di Bassem e Nariman Tamimi dei propri figli, come provocatori di scontri con l’esercito israeliano allo scopo di accendere una “terza intifada”, ho notato come i Tamimi possono sempre contare su una copertura mediatica delle loro scorribande quanto mai acritica e in effetti platealmente favorevole. L’esempio più plateale di questa relazione amichevole coltivata negli anni è forse il tributo servile fornito dall’articolo di copertina di marzo 2013 del New York Times Magazine, curata dallo scrittore americano Ben Ehrenreich, reduce da un soggiorno di tre settimane presso l’abitazione degli stessi Tamimi.
Per questo sorprende poco, al momento, che i Tamimi sono liberi di raccontare ai media qualunque storia che ritengano confacente alle proprie aspirazioni. L’assoluta assenza di connessione con i fatti e la facilità con cui fabbricano queste finzioni che rafforzino l’immagine di difensori di una causa nobile, è risultata evidente alla luce dell’arcinoto tentativo di un soldato israeliano di mettere in stato di fermo il dodicenne “Mohammad”, figlio di Bassem Tamimi, responsabile del lancio di pietre. Come hanno mostrato i video riproposti da più parti, il soldato è stato strattonato e colpito da un gruppo di donne e ragazze – fra cui spicca la presenza della figlia Ahed – con il malcapitato soldato che alla fine ha rilasciato il ragazzo e ha fatto marcia indietro.

domenica 6 settembre 2015

Europa pronta a misure punitive nei confronti di Israele: «applichiamo soltanto la legge»

È in dirittura d'arrivo il complesso di misure penalizzanti che l'Europa sta adottando, dietro l'impulso della signora Mogherini - reduce dalle radiose strette di mano con gli esponenti del regime iraniano - nei confronti delle produzioni israeliane. I provvedimenti per ora riguarderanno soltanto le merci prodotte dalle aziende israeliane nei territori contesi del West Bank: sono le aree dove prima operavano le aziende come Sodastream, ora trasferitasi nel deserto del Negev, dopo aver chiuso un efficiente stabilimento che dava occupazione e reddito a 900 famiglie palestinesi.
Jean Asselborn, presidente di turno dell'Unione Europea, si è schermito osservando «dobbiamo assicurarci che i consumatori europei sappiano distiguere i prodotti provenienti dai territori "occupati" (sic!) da Israele. Stiamo soltanto applicando il diritto internazionale».
In effetti l'uomo della strada non si capacita di come, in tempi di crisi economica internazionale e con il genocidio siriano che bussa alle nostre porte, i burocrati di Bruxelles abbiano come massima priorità quella di sanzionare le aziende israeliane che operano in territori (Area C) che per ultimo gli Accordi di Oslo del 1993 - sottoscritto sotto il patrocinio dell'UE - assegnano alla piena giurisdizione civile e militare di Gerusalemme.

domenica 30 agosto 2015

Telegraph and Daily Mail ritrattano (Guardian e Times neanche ne parlano)

L'osservatorio britannico UK Media Watch ha qualcosa di interessante da aggiungere all'arcinota vicenda che ha scatenato gli antisionisti nostrani, complice l'orgasmo provocato nel fine settimana dalla masturbazione mentale delle versioni online dei principali giornali italiani. Il sito rileva come la città palestinese di Nabi Saleh, situata nei pressi della comunità ebraica di Neveh Tzuf, sia meta ogni settimana di giornalisti e fotoreporter, ansiosi di "documentare" gli scontri che puntualmente scoppiano fra palestinesi e attivisti internazionali, da una parte; e i soldati israeliani, dall'altra.
Star indiscussa della località è Ahed Tamimi, nota ormai a tutti come Shirley Temper, per le sue qualità recitative e di provocazione. Ahed è la figlia di Narimen e Bassem Tamimi, membri del Comitato di Resistenza Popolare, organizzazione terroristica attiva nel West Bank, e felici di esporre i propri figli a rischi derivanti dagli scontri alimentati ad arte.
A fronte dell'attivismo delle varie Repubblica, Il Fatto, Huffington Post; come stanno coprendo i media britannici l'evento? con grande scrollata di spalle: si conoscono bene i personaggi di questo circo mediatico e riportare questi fatti, senza un minimo di fact checking, esporrebbe per sempre al pubblico ludibrio, con grave nocumento per reputazione ed autorevolezza.

La Pallywood della famiglia Tamimi

di Thomas Wictor*


È chiarissimo ciò che è avvenuto: i palestinesi hanno spedito i loro bambini e le rispettive mamme per fabbricare una propaganda antiisraeliana. Hanno lanciato pietre contro un soldato israeliano, l'hanno privato della maschera antigas, e l'hanno assalito.
Quando questi ha intercettato un lanciatore di pietre, la massa lo ha assaltato, l'ha morso e immobilizzato.

Chi finanzia le ONG israeliane "filopalestinesi"?

di Evelyn Gordon*

È pacifico che tutti si preoccupino giustamente di stigmatizzare in questo momento l'intesa con l'Iran. Ma non si può fare a meno di rilevare come la seguente notizia abbia ricevuto scarsa attenzione: durante il conflitto della scorsa estate a Gaza, due organizzazioni israeliane "per i diritti umani" - B’Tselem and Breaking the Silence hanno chiesto e ottenuto consistenti coperture finanziarie da parte dei palestinesi per finanziare la stesura di rapporti che accusano Israele di crimini di guerra.
In circostanze normali, accettare denaro dal nemico in tempi di guerra per realizzare propaganda avversa alla propria parte, sarebbe considerato un tradimento. In questo caso, dal punto di vista strettamente legale, non lo è. Ma moralmente, non è che siamo al limite: quel limite l'abbiamo abbondantemente superato.
Questa notizia è stata riportata per primo dal sito informativo in ebraico "NRG", curato da Gidon Dokow. Ma non è necessario prendere per buone le parole di Dokow: che ha opportunamente reso disponibile il bilancio annuale sulle fonti di finanziamento dell'organizzazione.
Questa organizzazione vanta il nome un po' ingombrante di Human Rights and International Humanitarian Law Secretariat. Secondo il suo bilancio, è «un progetto implementato da NIRAS NATURA AB, Svezia, e dall'Institute of Law, Università di Birzeit, "Palestina", con il generoso sostegno dei governi di Svezia, Danimarca, Olanda e Svizzera».
In altre parole, il denaro proviene dall'Europa. Ma chi decide cosa farne è la Niras Natura, che si definisce una società internazionale di consulenza nel campo dello sviluppo sostenibile, e la facoltà di Birzeit. E dal momento che la gente di Birzeit è quella effettivamente sul campo, si presume che essi abbiano l'ultima parola sulla destinazione del denaro.

giovedì 27 agosto 2015

La Spagna dietro l'ostilità del BDS nei confronti di Israele?

Il governo di Madrid di centro-destra guidato da Mariano Rajoy continua a promuovere politiche ostili nei confronti di Israele: politiche ereditate dal precedente governo socialista di José Luis Rodríguez Zapatero, che in buona misura coincidono con gli obiettivi del movimento "BDS".
Sebbene il ministro degli Esteri spagnolo abbia più volte affermato che il governo non approva il boicottaggio di Israele, sotto la sua giurisdizione l'Agenzia spagnola per la cooperazione degli aiuti internazionali (AECID) - braccio operativo del Ministero degli Esteri iberico - ha continuato a sussidiare le organizzazioni al lavoro per la delegittimazione di Israele.
Fra il 2009 e il 2011, il governo Zapatero ha veicolato più di 15 milioni di euro di denaro dei contribuenti spagnoli verso le organizzazione non governative palestinesi e spagnole che conducono la campagna di delegittimazione e demonizzazione di Israele, stando ad una dettagliata inchiesta realizzata dalla NGO Monitor di Gerusalemme.

sabato 22 agosto 2015

Corbyn: tanto amico di Hamas, quanto nemico di Israele

Israellycool riporta una interessante osservazione compiuta dal blog britannico Harry's Place, a proposito del famigerato Jeremy Corbyn, che il mese prossimo si candida ad assumere la guida dello sventurato Labour Party, e nel 2020 addirittura potenzialmente la leadership del Regno Unito. Il blog citato ha effettuato una ricerca per parola chiave sul sito personale dell'attuale deputato laburista del distretto di Islington Nord, ottenendo 149 menzioni di "Israele", e soltanto 140 menzioni del collegio in di Corbyn è da sempre espressione.
Capito? l'aspirante guida della sinistra britannica è talmente ossessionata dal piccolo stato ebraico, da citarlo più spesso del territorio dove svolge attualmente la sua attività politica. Per chi non lo sapesse, al di là delle sue strampalate idee in materia di politica economica e internazionale, il più autorevole successore alla guida del partito retto finora da Miliband, vanta una ferrea amicizia con i terroristi di Hamas ed Hezbollah, che dichiaratamente adora, e da cui ha ottenuto cospicui finanziamenti per le sue campagne elettorali; e ha partecipato più volte a cicli di conferenze tenute da negazionisti dell'Olocausto e da movimenti antisemiti e di appoggio alla causa del terrorismo palestinese.

venerdì 21 agosto 2015

Del boom economico israeliano possono beneficiare tutti

L'economia israeliana continua a presentare segni di estrema vitalità e stabilità. Il Credit Default Swap, che misura il grado di rischiosità finanziaria di un governo, è sceso a meno di 70 punti base: è il costo che occorre sostenere per assicurarsi dal rischio di insolvenza sovrana. A titolo di riferimento, tre anni fa il CDS di Gerusalemme sfiorava i 200 punti base. In Italia oggi il CDS è pari a 115 punti base.
L'elevata solvibilità del piccolo stato ebraico è testimoniata dai "parametri di Maastricht": il deficit di bilancio è inferiore al 3% del PIL, mentre il debito pubblico, in continuo calo in termini relativi grazie alla crescita economica, quest'anno si attesterà al 67.5% del prodotto interno lordo. Israele avrebbe tutti i requisiti per chiedere di entrare a far parte dell'Unione Monetaria Europea.
Si parlava dei prodigi dell'economia israeliana. Dopo il boom nel primo trimestre, il PIL è cresciuto dello 0.5% nel secondo quarto del 2015 (più della Germania, per intenderci). Negli ultimi vent'anni il PIL ha ostentato un'espansione annualizzata del 3.8%: un boom su cui non si è scritto a sufficienza.

mercoledì 19 agosto 2015

Che uso hanno fatto i palestinesi del denaro americano?

di Khaled Abu Toameh*

Negli ultimi vent'anni gli Stati Uniti hanno impiegato 4.5 miliardi di dollari nel tentativo di promuovere la democrazia fra i palestinesi di West Bank e Gaza, incoraggiando il processo di pace con gli israeliani. È quanto rivelato dal primo ministro palestinese Rami Hamdallah durante un incontro a Ramallah con il deputato Kevin McCarthy, leader della maggioranza al Congresso americano. Hamdallah ha affermato che il denaro è stato investito in diversi progetti. I 4 miliardi e mezzo di cui Hamdallah ha parlato non includono i miliardi di dollari versati all'Autorità Palestinese sin dalla sua costituzione nel 1994: analisti economici stimano che l'AP ha ricevuto un totale di 25 miliardi di dollari da Stati Uniti e altri paesi negli ultimi vent'anni.
Non bisogna essere esperti di questione palestinese per riconoscere come tutti questi miliardi non abbiano ne' generato una democrazia palestinese, ne' migliorato le relazioni con gli israeliani. Tanto per incominciare, l'AP - nata in seguito agli Accordi di Oslo sottoscritti nel 1993 fra Israele e OLP - si è rivelato un regime tutt'altro che democratico. Al contrario: sin dall'inizio si è rivelata una specie di dittatura amministrata prima da Yasser Arafat e poi dai suoi sodali. Un regime corrotto, finanziato ed equipaggiato direttamente da Stati Uniti, Europa e altri stati. Chi ha sostenuto il regime autocratico di Arafat non si è mai curato di verificare la crescita della democrazia e la trasparenza dell'amministrazione palestinese. Sono stati versati svariati miliardi di dollari, senza neanche chiedere conto del loro impiego.
Il risultato per i palestinesi è stato quello di disporre di un regime che non solo ha progressivamente tagliato loro fuori dagli aiuti internazionali, ma che ha anche stroncato l'opposizione politica e la libertà di parola. L'AP alla fine si è rivelato un "one man show", finanziato dalle tasche dei contribuenti europei e americani.

mercoledì 5 agosto 2015

Obama parteggia per i palestinesi (sai che notizia...)

L'amministrazione USA tranquillizza sbrigativamente gli israeliani: l'accordo sottoscritto con l'Iran non costituirà il prologo di un Olocausto nucleare. Facile a dirsi, con l'ayatollah Khamenei che un giorno sì e l'altro pure si affanna a caldeggiare la rimozione dello stato ebraico dalla mappa geografica; e nel momento in cui un alto esponente del Pentagono precisa che è virtualmente impossibile assicurare che Gerusalemme non sia bersaglio di attacco atomico: a meno che si schierino sul territorio diecine di migliaia di soldati americani.
La triste verità è che la presidenza Obama si è schierata a favore del mondo arabo: un po' confusamente, avendo prima sostenuto la confessione sunnita (Fratelli Musulmani; ma ci si è messo di mezzo il generale al-Sisi), e ora quella sciita. Ma i palestinesi devono essergli rimasti nel cuore, se è vero che il presidente americano - la cui boria arriva al punto di pronosticare un nuovo successo nelle urne, qualora si presentasse clamorosamente per un terzo mandato - sacrifica i suoi stessi concittadini.

giovedì 30 luglio 2015

La truffa delle "due" Gerusalemme

I governi occidentali dovrebbero smetterla di incoraggiare gli arabi a credere che un giorno Israele abbandonerà mezza Gerusalemme, a favore di un futuro stato palestinese. Non succederà mai. E più i nostri politici condannano Israele quando costruisce nella periferia della capitale, più mantengono le ambasciate a Tel Aviv; e più gli arabi si persuadono di poter rovesciare la creazione del moderno stato di Israele.
Ecco cosa ha da dire sul tema Eli E Hertz, presidente di "Myths and Facts", una organizzazione dedicata alla ricerca e alla divulgazione di informazioni sul Medio Oriente.

I palestinesi hanno maturato la convinzione che storicamente sono esistite due Gerusalemme: una "Gerusalemme Est", araba; e una "Gerusalemme Ovest", ebraica. Ma Gerusalemme non è mai stata una città araba: gli ebrei vi costituiscono la maggioranza dal 1870, e la scomposizione fra Est e Ovest è prettamente geografica; non politica.

mercoledì 29 luglio 2015

L'unico luogo in Medio Oriente dove i cristiani aumentano

di Adam Levick*

Lunedì 27 luglio il Guardian ha pubblicato tre inchieste sulle persecuzioni nel mondo ai danni dei cristiani. Due inchieste - inclusa "Morire di Cristianità", scritta dall'ex corrispondente da Gerusalemme Harriet Sherwood - non fanno menzione di Israele. Tuttavia il terzo reportage, curato da diversi giornalisti fra cui l'attuale corrispondente del Guardian da Gerusalemme Peter Beaumont, include una sezione sulle persecuzioni dei cristiani (sotto forma di vandalismo e attentati incendiari ai danni di chiese e moschee) nello stato ebraico.
Il rapporto include Israele malgrado lo stato non sia incluso nell'elenco dei primi 25 stati dall'atteggiamento anti-cristiano.

domenica 26 luglio 2015

E poi dicono che la "Palestina" è un'invenzione...

Buon compleanno alla Anglo-Palestine Bank! È il 26 luglio 1903 e l'istituto di credito apre la prima filiale a Jaffa: la targa in alto ne attesta con certezza la data di costituzione di quella che sarebbe in seguito stata ribattezzata in Leumi Bank. In realtà la banca aprirà i battenti al pubblico il successivo 2 agosto, ma ci sono due problemi, che fanno venire il mal di pancia a chi con un po' di leggerezza crede che i "palestinesi" esistessero prima del 1968.
Intanto la targa è bilingue, ma una delle due lingue è incontestabilmente ebraico.
Soprattutto, la Anglo-Palestine Bank fu costituita dal movimento sionista: il Jewish Colonial Trust, di fatto la prima banca sionista, fu costituita nel 1899, con l'obiettivo di raccogliere capitali ed erogare credito alle iniziative che si andavano costituendo in "Palestina". Tre anni dopo fu costituita una società controllata, la APB, appunto, con un capitale iniziale di 50.000 sterline, impiegato per l'acquisto di terre e il finanziamento di attività produttive da parte degli insediati.

giovedì 23 luglio 2015

L'UE si oppone alla demolizione dell'insediamento illegale di Susya


Khirbet Susiya (Susya), originariamente antico villaggio ebraico a sud delle montagne della Giudea, sede di una antica sinagoga; è oggi situato nella zona C del West Bank, che gli Accordi di Oslo sottoscritti nel 1993 fra israeliani e palestinesi assegnano alla piena giurisdizione di Gerusalemme. Che è pertanto responsabile della pubblica sicurezza e dell'amministrazione civile; che include la possibilità di edificarvi, in virtù delle esigenze della popolazione.
Susya ospita oggi circa 1000 individui: 250 palestinesi e circa 750 coloni ebraici, ivi insediativisi nel 1983. Nel tempo parte del villaggio ha conosciuto un'espansione caotica ed incontrollata, a causa della componente araba della popolazione che ha edificato senza disporre dei necessari permessi. Il governo israeliano ha disposto la demolizione delle costruzioni abusive, malgrado l'opposizione di diversi governi, fra cui quelli di Stati Uniti ed Unione Europea; e il trasferimento della popolazione nell'insediamento di Yatta, vicino Hebron. Il mese scorso una delegazione europea ha visitato Susya, accompagnata dal capo del governo di Ramallah.

mercoledì 22 luglio 2015

Una breve storia dello Shekel israeliano


Danny Ayalon, già viceministro degli Esteri di Gerusalemme, ha avviato un interessante progetto divulgativo, basato su aspetti quotidiani della vita economia e sociale di Israele. La prima puntata si sofferma sulla moneta dello stato ebraico: lo shekel; o, come più correttamente dovrebbe essere chiamato, il "nuovo shekel israeliano" (NIS).

Immaginate di ritrovarvi d'improvviso a passeggiare per la Mesopotamia, 5000 anni fa, e vi venisse voglia di comprare un cornetto, strada facendo. Il rivenditore vi chiederebbe un pagamento di "Shiklu kaspum". Non è difficile da comprendere, vero? Il significato originario era traducibile in "un ammontare di argento del peso di circa 11 grammi". Questa locuzione si evolse nella versione biblica "Shekel Hakesef", o "Shekel d'argento".
Il fiordaliso è a noi familiare, per essere presente sulla moneta da uno shekel; ma appare sulle monete ebraiche sin dalla dominazione persiana di Israele. I simboli in basso a sinistra non sono stelle: sono le lettere "Y", "H" e "D"; "Yehud" nell'ebraico antico. Come sulle monete rinvenute, e risalenti al IV Secolo a.C.

lunedì 20 luglio 2015

Qualcuno consoli Roger Waters e il BDS

Gli sforzi febbrili del movimento BDS risultano sempre più vani. Nonostante il tentativo incessante di boicottaggio dello stato ebraico, si apprende oggi di una nuova acquisizione di Facebook Inc. in Israele: è la volta di Pebbles Interfaces, una società che ha sviluppato una tecnologia che consente l'impiego di personal computer mediante il semplice movimento delle mani. Senza adoperare la tastiera, senza il contatto con alcun device. La società, pagata 60 milioni di dollari, rappresenta la quarta acquisizione israeliana per Zuckerberg e soci.
I boicottatori dovranno dunque coerentemente impiegare un altro social network per diffondere le loro farneticazioni, visto l'alto tasso di sionismo vantato ora da Facebook. Una impresa sempre più disperata, malgrado i consistenti sforzi finanziari messi in campo, e l'infruttuoso coinvolgimento di personaggi dello spettacolo (i quali, malgrado i contatti con l'universo degli odiatori di Israele, sono sempre più felici di toccare con le loro tournee Tel Aviv e dintorni).

sabato 18 luglio 2015

AAA: Cercasi odiatori di Israele (si offre buona paga)

Un'offerta di lavoro che non passa inosservata. Il datore è la "Jewish Voice for Peace" (JVP), un'organizzazione le cui finalità, se non fosse sufficientemente chiaro, sono enfatizzate dalle foglie di ulivo che ne accompagnano il logo. Dunque la JVP assume un "Artist Council Organizer", e offre in cambio di 20 ore di lavoro a settimana, una sontuosa retribuzione: 25.000 dollari all'anno, più «generosi benefici» ed esenzioni fiscali.
Cosa dovrebbe fare il candidato? è semplice: «sollecitare e mobilitare i personaggi dello spettacolo e della cultura nella lotta per la giustizia in Palestina». Sfruttando la loro presa sul pubblico e la rete di relazioni per conseguire gli obiettivi del JVP: spostare l'orientamento dell'opinione pubblica a vantaggio della propaganda filopalestinese (ora è più chiaro per cosa stia la "P" di JVP).
Il generatore professionale di diffamazione nei confronti di Israele non lavora isolato. Al contrario, potrà beneficare del coordinamento di un Consiglio all'uopo istituito, che si occupa delle questioni amministrative, logistiche e di comunicazione con le star dello spettacolo, nonché di organizzare le campagne di boicottaggio culturale ai danni dello stato ebraico.

giovedì 16 luglio 2015

Come se la passa la libertà di stampa per i palestinesi?

Che fulgido esempio di tolleranza e di libertà i territori palestinesi di West Bank e Gaza, dove si registra negli ultimi giorni un'escalation di arresti, maltrattamenti, intimidazioni e detenzioni ai danni di giornalisti. La denuncia di Palestinian Center for Development and Media Freedoms (MADA) è stata raccolta da Ma'an News, agenzia di stampa palestinese.
Gli esempi di abusi subiti dagli operatori della stampa sono copiosi. Un corrispondente da Gaza dell'agenzia Internews denuncia: «i servizi segreti di Hamas mi hanno costretto in una sala d'attesa, bendandomi, e intimandomi di non sedermi per nessuna ragione. Mi hanno colpito alla schiena e sulle natiche durante l'interrogatorio». Il giornalista era stato prelevato dagli uomini di Hamas dopo aver postato su Facebook commenti al vetriolo sulla decisione di Hamas di smantellare a Gaza gli uffici della compagnia telefonica Jawwal.

mercoledì 24 giugno 2015

Messaggio per i palestinesi: tranquilli, il vostro amico terrorista sta bene

Il Ramadan si macchia ancora di sangue. Qualche giorno fa un giovane terrorista palestinese, proveniente da Hebron, ha tentato di uccidere un militare israeliano, che stazionava nei pressi della Porta di Shchem (Porta di Damasco secondo la toponomastica araba), attraversata da migliaia di fedeli musulmani; ferendolo gravemente al collo con un grosso coltello. Fortunatamente il malcapitato, prontamente soccorso, è fuori pericolo di vita. Immediato l'intervento delle forze di sicurezza, che hanno neutralizzato il palestinese, protagonista dell'ennesimo episodio di criminalità a Gerusalemme. L'ONU, con il suo fragoroso silenzio, evidentemente approva.
Immediata la sequenza di contumelie sui siti simpatizzanti per la causa terroristica: «maledetti sionisti», «razza umana schifosa», «bastardi» gli epiteti più facilmente riportabili. Le foto divulgate riportano alcune stranezze - una vistosa ferita sulla coscia sinistra, evidente dalla lacerazione del jeans; ma lo strappo sulla maglia non evidenzia alcuna perdita di sangue, che appare invece più in alto; ma soprassediamo: lasciamo l'investigazione agli amici specializzati nello smascheramento delle bufale di Pallywood.

martedì 23 giugno 2015

Mal di pancia per i boicottatori...

...di Israele, ovviamente. Perché non si ha notizia di analogo orientamento nei confronti di stati che impiccano i dissidenti e gli oppositori (Iran), che macellano e decimano la propria popolazione (Siria), che lapidano le donne presunte adultere o semplicemente sorprese a guidare l'auto (Arabia Saudita), che incarcerano i giornalisti accusati di rivelare al mondo la verità sulla barbarie del regime (Gaza e Territori palestinesi), o che addirittura ospitano ufficialmente nel governo una riconosciuta fazione terroristica (Libano).
Purtroppo per i fanatici del BDS non sono stati ancora scoperti in Israele rimedi contro le contrazioni dolorose dell'addome. Si terrano il mal di pancia, provocato dalla rabbia indotta dalle scoperte mediche e scientifiche che si susseguono a ritmo costante nel piccolo stato ebraico. E sebbene non saranno prodigiosamente risolutive nella cura del cancro e dell'AIDS, come sbandierato dal caro Kim Jong-un, miliardi di abitanti della Terra ne godono quotidianamente. Qualche esempio?

domenica 21 giugno 2015

Nazioni Unite: mentitori seriali

Il Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU ha emesso venerdì un comunicato stampa, dal quale si apprende che «Makarim Wibisono, relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi "occupati" dal 1967, ha espresso oggi profonda preoccupazione per la situazione dei diritti umani dei palestinesi che vivono sotto un'occupazione che perdura da 48 anni. I dati dimostrano che le politiche dell'occupazione condizionano la vita dei palestinesi, costringendo loro ad abbandonare terreni e case, in special modo nell'area C del West Bank e a Gerusalemme Est», dichiara l'esperto dopo aver concluso la sua seconda missione nell'area.

mercoledì 17 giugno 2015

Non fate sapere a Bruxelles che i palestinesi comprano israeliano...

L'offensiva del BDS rischia di afflosciarsi in tempi brevi. Il governo di Gerusalemme sta studiano azioni legali finalizzate al riconoscimento di congrui risarcimenti in denaro da parte dei boicottatori dello stato ebraico. Il neoministro della Giustizia sta approvando una serie di provvedimenti che inchioderà i militanti del BDS alle loro responsabilità civili e penali. Ma forse non sarà necessario adottare questa determinazione.
Il fatto è che il movimento di boicottaggio sovente si annulla da se', con iniziative che finiscono per penalizzare la parte che si presume voglia essere tutelata: basti pensare alle manifestazioni che hanno indotto la chiusura della fabbrica SodaStream di Maale Adumin, con conseguente perdita di impiego da parte di diverse centinaia di palestinesi. O agli innumerevoli esempi di innovazione scientifica e tecnologica di cui godono gli stessi odiatori di Israele. Presi da soli, i militanti del BDS sono sterili se non grotteschi; è quando ci si mette di mezzo la politica e l'ideologia, che i danni si avvertono.

martedì 16 giugno 2015

I dieci modi con cui Israele è discriminato

di David Harris*

È sconcertante osservare come Israele sia trattato con un metro di paragone assolutamente diverso da quello adottato per altri stati. Ovviamente, lo stato ebraico è sottoponibile a giudizio; come tutti gli altri, d'altro canto. Ma meriterebbe pari trattamento, non diverso.
Tanto per incominciare, Israele è l'unico stato della comunità internazionale di cui è continuamente messa in discussione lo stesso diritto ad esistere.
Malgrado il fatto che Israele impersonifichi un antiche legame con il popolo ebraico, come ripetutamente citato nel libro più letto al mondo: la Bibbia, che sia stato istituito con una risoluzione ONU del 1947, e che sia membro pieno effettivo delle Nazioni Unite dal 1949; persiste un implacabile gruppetto di nazioni, istituzioni e soggetti che ne negano la legittimità politica.
Nessuno oserebbe discutere il diritto ad esistere di tutti gli altri stati, la cui legittimazione storica e legale è decisamente più discutibile: inclusi gli stati istituiti dopo atti di forza, occupazione o creati a tavolino. Diversi stati arabi, per dire, rientrano in almeno una di queste categorie. Perché allora soltanto nei confronti di Israele è continua caccia aperta? non ha niente a che fare con il fatto che trattasi di uno stato con maggioranza ebraica al mondo?

domenica 14 giugno 2015

Scoop: il Mossad ha rubato la mia scarpa!

Svelata un nuovo, sordido complotto dell'onnipresente Mossad, grazie alla rivelazione pubblica di Asghar Bukhari, fondatore e portavoce dell'influente Muslim Public Affairs Committee UK, salito in passato agli "onori" della cronaca per aver preso le difese del negazionista dell'Olocausto David Irving.
Il Mossad si introdurrebbe nottetempo nelle case dei "resistenti", come egli - non si sa bene come, ma senza scassinare porte o finestre, o lasciare segni di effrazione - e compiono un atto di una malvagità inaudita: rubano una scarpa. Si badi bene: non entrambe le scarpe, ma soltanto una scarpa. Da gente che «ruba la terra ai palestinesi», è il minimo che ti possa aspettare, no? Evidente la provocazione: te ne lasciano una per rimuovere il sospetto che ti sia rincoglionito, e che le scarpe le abbia lasciate incustodite magari sul pianerottolo, o sulla spiaggia. No, te ne lasciano una per farti capire che Loro sono stati lì. Inquietante.

venerdì 12 giugno 2015

Israele e la verità sui "500 bambini palestinesi uccisi"

di Thomas Wictor*

A quasi un anno dalla fine dell'operazione Margine Protettivo, gli odiatori di Israele tentano ancora una volta la ridicola accusa secondo cui lo stato ebraico avrebbe ucciso oltre cinquecento bambini durante le ostilità. Il numero effettivo non si conoscerà mai, ma è giunta l'ora una volta e per tutte di mettere a tacere questa frottola.
A tal fine, farò impiego dell'elenco dei nomi reso noto dall'Al-Mezan Center for Human Rights (AMCHR): un conteggio che proviene direttamente dal ministero della salute (MoH) palestinese. E da subito si scorgono le prime incongruenze, come evidenzia la freccia verde:


L'AMCHR afferma che sono stati uccisi 504 bambini, ma ne elenca 317 maschi e 190 femmine. Sono 507, non 504. Si ha la prima evidenza di come la stampa non fa altro che riportare sotto dettatura palestinese. Al Telegraph nonsi sono neanche presi la briga di conteggiare i nomi; ne' l'AMCHR si è curato di farlo. Questa è propaganda, e anche abbastanza sciatta.

giovedì 11 giugno 2015

Che cosa dicono i palestinesi?

A cadenza periodica, il Palestinian Center for Policy and Survey Research (PCPSR) conduce un sondaggio fra la popolazione palestinese. Il questionario riguarda la corruzione della politica, il tenore di vita della popolazione, la disponibilità ad una pace effettiva con Israele, la prospettiva di un governo palestinese unitario e altre questione di politica interna e internazionale. Fra il 4 e il 6 giugno scorso sono stati raggiunti 1200 adulti, ai quali sono stati sottoposti diversi quesiti. Queste le risposte più eloquenti.

Leadership

- Se mai fossero tenute nuove elezioni presidenziali (le ultime risalendo a ben dieci anni fa), sarebbe un testa a testa fra Abu Mazen (47% delle preferenze) e  Ismail Haniyeh (46%). Ma se la contesa elettorale escludesse il leader dell'OLP e includesse il terrorista pluriomicida Marwan Barghouti, ospite delle carceri israeliani; questi godrebbe del 58% dei consensi. Barghouti vincerebbe le elezioni presidenziali anche nel caso di una contesa a tre. La retorica di una maggioranza palestinese moderata e conciliante risulta nettamente ridimensionata.
- A riprova di questa sconsolata conclusione, se si tenessero elezioni legislative, più di un palestinese su tre (35%) voterebbe per Hamas. Il 21% della popolazione dichiara che non ha alcun interesse alla celebrazione di elezioni democratiche.

mercoledì 10 giugno 2015

L'Occidente affila le armi nei confronti di Israele

Mentre si lavora febbrilmente alla concessione dello stato di potenza nucleare all'Iran degli ayatollah, al contempo si prepara l'offensiva diplomatica nei confronti di Israele. Il piccolo stato ebraico deve fronteggiare la minaccia bellica esistenziale del regime di Teheran, ma anche quella non meno minacciosa del regime di Bruxelles.
Fonti diplomatiche hanno reso noto oggi che una volta definito il quadro normativo che in breve tempo consentirà al fondamentalismo islamico sciita di dotarsi di ordigni nucleari, gli sforzi dell'Europa saranno coordinati con quelli delle Nazioni Unite, per costringere Gerusalemme ad una resa diplomatica che si tradurrà in traumatici sacrifici territoriali.

mercoledì 3 giugno 2015

Quel giorno in cui il Muro Occidentale fu liberato


Ricorre il 48° anniversario della liberazione di Gerusalemme Est, occupata illegalmente dall'esercito giordano nel 1948, e ricollegata alla capitale israeliana con la Guerra dei Sei Giorni del 1967.
Quella che segue è la testimonianza del capitano Yoram Zamosh, comandante di compagnia nel 71° Battaglione Paracadutisti di Israele, resa con l'intervista raccolta nel libro ""The Lion's Gate: On the Front Lines of the Six Day War".
Il 7 giugno 1967, terzo giorno del conflitto, Zamosh combatte una battaglia che avrebbe ridisegnato il Medio Oriente dei tempi moderni. Dopo tre giorni di combattimenti a Gerusalemme Est e Ovest, Zamosh è fra i primi soldati a raggiungere il Muro Occidentale: ciò che resta del Secondo Tempio di Gerusalemme.
La sua testimonianza fa luce sul sentimento che lega molti israeliani alla loro antica capitale, si sofferma sul concetto di "confini del 1967", rivendicati dal futuro stato palestinese, e discute delle modalità con cui si potrà conseguire una pace definitiva, se e quando finalmente arriverà.

Quando noi della "Compagnia A" attraversammo la Porta del Leon la mattina del 7 giugno, l'obiettivo principale era quello di raggiungere il Muro Occidentale, malgrado il fuoco incessante e il pericolo dei cecchini nemici. Nel frattempo ci raggiunse Moshe Stempel, mio caro amico e vicecomandante della brigata.
Insieme avevamo ripulito il Monte del Tempio, e avevamo attraversato la Porta dei Marocchini. Eravamo a pochi passi dal Muro, ma non ne avevamo ancora acquisito il possesso.
Stempel mi ordinò di inviare laggiù uno dei miei uomini, mentre gli altri lo avrebbero seguito sopra, alla ricerca di un punto sul Muro ove issare la bandiera che custodivamo scrupolosamente da giorni.
Scelsi un giovane sergente, dal nome di Dov Gruner.
Una volta un giornalista chiese a Moshe Stempel: «perché hai scelto Dov Gruner come primo a dirigersi al Muro?»