giovedì 4 dicembre 2014

Quei "giornalisti" e "politici" al servizio del terrorismo palestinese

Col passare delle settimane si ridimensiona inevitabilmente il conteggio delle vittime civili del conflitto della scorsa estate a Gaza. Il numero complessivo dei moti rimane immutato; si modifica la composizione: prevalgono militari e militanti, si riducono i civili, fra cui purtroppo spiccano gli scudi umani adottati da Hamas in spregio alla Convenzione di Ginevra. Un crimine di guerra che sarà fatto pesare, quando finalmente i territori palestinesi saranno riconosciuti come stato.
Nel frattempo tardano ad asciugarsi le lacrime versate da Irina Bokova, direttore generale dell'UNESCO, che ad agosto denunciava l'uccisione di Abdullah Murtaja, di professione giornalista. L'agenzia ONU sottolineava il ruolo insostituibile della stampa nella società moderna. Il fatto che il reporter in questione fosse dotato di un moderno fucile non ne sminuisce la missione: chi non possiede un'arma da fuoco?

Ma fino ad ora si ignorava il secondo lavoro di Murtaja: e chi nel tempo libero non si dedica ad attività ricreative? si apprende che il nostro solerte giornalista ha lasciato ai posteri un testamento: con le sue ultime volontà da jihadista. Sì, perché oltre a lavorare per Al Aqsa TV, l'emittente dell'Autorità Palestinese, Abdullah Murtaja era un membro delle brigate Ezzedin Al Qassam, braccio armato nientemeno di Hamas, che non a caso si è affrettata a salutarlo come "martire" (H/t: Elder of Ziyon, Israellycool).


Non ci si può fidare di nessuno: i pescatori trasportano armi e munizioni, i muratori costruiscono gallerie del terrore, i giornalisti hanno l'hobby del lanciarazzi. Tutto si fa, affinché il terrorismo prevalga su Israele. Il reclutamento di volontari dilaga su Internet: come ha evidenziato egregiamente un articolo apparso oggi su Rightsreporter, l'istigazione all'odio mediante diffamazione, diffusione di notizie false e campagnie denigratorie montate su bufale più o meno note, si esprime attraverso le pagine di Facebook, di Twitter e di altri social media. Un fenomeno sottovalutato, ma adesso preso di petto dalle autorità competenti.
Si tratta purtroppo dell'azione di menti labili, spesso sempliciotte e culturalmente arretrate. Ma l'istigazione non si manifesta soltanto nei ceti sociali medio-bassi. Capita di scorgere addirittura un membro del parlamento di Svezia, il cui governo di sinistra è caduto dopo appena tre mesi, avendo nel frattempo varato provvedimenti di cogente importanza come il riconoscimento dello "stato palestinese"; ostentare orgoglioso la mappa riportante addirittura i confini di questa Palestina. Hillevi Larsson, questo il nome della deputata, mostra lieta una targa in cui Israele è addirittura cancellato, come farebbe tanto piacere ad Hamas: tutta la terra, dal Mediterraneo al Giordano, è Palestina. Scomparse Tel Aviv, Gerusalemme, Haifa, Ashkelon, il Sinai: niente, sono tutti territori palestinesi, ed Israele - voilà! - non esiste più.
D'accordo che l'Associazione Palestinese di Malmoe, dove è stata tenuta la cerimonia, è nota alle cronache soprattutto per vantare "Mohammed" e varianti come nome più diffuso fra i neonati e per una sistematica caccia agli ebrei tuttora rimasti in città, dopo 250 anni di operosa e pacifica residenza; ma arrivare a cancellare un intero stato, riconosciuto da tutti e membro delle Nazioni Unite dal 1949, non è fanatismo: è insanità mentale da affrontare con adeguato trattamento sanitario obbligatorio. Ovvio che una simile ostilità sia bocciata dagli elettori - il governo svedese dimissionario non godeva della maggioranza in parlamento - ma esaltata dagli antisemiti.

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