giovedì 18 dicembre 2014

Israele deve prendere l'iniziativa alle Nazioni Unite


di Emmanuel Navon*

A quanto pare l'Organizzazione per la liberazione della palestina (OLP) intende proporre una bozza di risoluzione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC), finalizzato ad imporre un pieno e incondizionato ritiro israeliano, dietro le linee armistiziali che hanno separato lo stato ebraico dalla Giordania fra il 1949 e il 1967. Ma anziché fare pressioni sugli Stati Uniti affinché oppongano il veto, e piuttosto che convincere la Francia a proporre una bozza di risoluzione apparentemente più benigna; Israele dovrebbe sottoporre la propria, di risoluzione, all'UNSC.
Una risoluzione da parte di Gerusalemme chiederebbe la rinuncia definitiva da parte dei palestinesi al cosiddetto "diritto al ritorno", e l'impegno da parte dell'ONU a smantellare la United Nations Relief and Works Agency (UNRWA) entro due anni. In questo modo, i membri del Consiglio di Sicurezza dovrebbero esprimersi su due risoluzioni: una, proveniente dall'OLP, che chiede il ritiro incondizionato di Israele; e l'altra, supportata da Israele, che impone la cessazione del cinico perpetrarsi dell'annosa questione dei rifugiati palestinesi. I membri dell'UNSC che supportano la "soluzione dei due stati" dovrebbero chiarire perché intendono proporre un elemento di questa soluzione (la cessazione del controllo parziale di Israele su alcuni territori del West Bank); e non un altro: vale a dire l'assurda pretesa secondo cui sei milioni di persone dovrebbero da un giorno all'altro diventare cittadini israeliani, il che presto risulterebbe incompatibile con la sopravvivenza del secondo stato.
Il rifiuto dell'OLP di accantonare tutte le rivendicazioni - inclusa quella secondo cui tutti i discendenti all'infinito di chi nel 1948 abbandonò Israele, dovrebbero vantare un diritto ad insediarsi nello stato ebraico - è il motivo per cui Yasser Arafat respinse a fine 2000 la proposta di pace avanzata da Clinton, che assicurava allo stato palestinese il 96% del West Bank; e per cui Mahmoud Abbas fece altrettanto a settembre 2008 nei confronti della proposta del PM Olmert, che prevedeva per lo stato palestinese il 99% del West Bank, mediante scambi territoriali. Abbas (noto anche col nome di battaglia di Abu Mazen, NdT) chiarì che non aveva alcuna intenzione di tornare alla sua città natale, ma avrebbe pur potuto cambiare idea; senza però fare altrettanto a proposito dei sei milioni di "rifugiati" palestinesi. Appena un paio di mesi fa, in un'intervista ad un quotidiano egiziano, ha precisato: «non sbatteremo la porta in faccia a chi desidera ritornare».
Sicché la proposta israeliana si tradurrebbe in un preciso messaggio all'UNSC: se volete imporre una soluzione, anziché incoraggiare un negoziato, la cosa deve valere in ambo le direzioni. Non potete ignorare una delle fonti dello stallo, consentendo ai palestinesi di vedere accettate le loro irreali pretese, che si rivelerebbero incompatibili con la soluzione dei due stati.

Quello che i palestinesi cercano di fare, è smantellare la risoluzione 242, eliminando le porzioni che non gradiscono. La risoluzione in questione fu adottata dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, ed è tuttora in vigore. È una decisione ONU rilevante e vincolante, che delinea le linee guida per un accordo di pace negoziato fra Israele e gli stati confinanti. Non c'è alcuna ragione per modificarla; ma c'è un valido motivo per cui i palestinesi la vedano come il fumo negli occhi.
La risoluzione 242 non chiede il ritiro totale e incondizionato di Israele dai territori conquistati al termine della guerra del 1967. La condizione per il ritiro era indicata nella «cessazione di tutte le rivendicazioni o situazioni di belligeranza». Sicché Israele avrebbe potuto ritirarsi soltanto in cambio di pace; come in effetti fece dopo aver sottoscritto un accordo con l'Egitto. Era poi stabilito che questo ritiro era «da territori», e non «dai» territori. Questa risoluzione dunque consentiva ad Israele di ritirarsi a precise condizioni, e non da tutti i territori conquistati. Ecco perché i palestinesi vogliono smantellare questa risoluzione: perché vogliono un ritiro incondizionato - cioé senza preventivamente aver stipulato un accordo di pace - e totale.
E c'é un'altra parte della risoluzione 242 che i palestinesi vogliono cancellare. La risoluzione prescrive una «soluzione equa del problema dei rifugiati». Arthur Goldberg, nel 1967 ambasciatore americano al Palazzo di Vetro, dichiarò che la risoluzione faceva riferimento sia ai rifugiati palestinesi; sia a quelli ebrei, che abbandonarono case e proprietà dopo le diverse guerre subite, in numero non inferiore a quelli dei profughi palestinesi. La risoluzione non riconosce un "diritto al ritorno" dei discendenti dei profughi del 1948; ne' afferma che soltanto agli arabi, anziché gli ebrei, sia riconosciuto un'equa soluzione. Ma adottare la bozza di risoluzione giordano-palestinese, o quella francese, non farebbe altro che cancellare la risoluzione 242 sostituendo la formula "territori in cambio di pace", con quella "territori senza garanzia di pace", perpetrando all'infinito la cinica questione dei rifugiati.
Sottoporre alle Nazioni Unite una proposta di risoluzione israeliana rivelerebbe le reali intenzioni dei palestinesi, e l'irresponsabilità di chi li sostiene.

* Israel should submit its own resolution to the Security Council
su i24 News.

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