giovedì 23 ottobre 2014

Uno stato palestinese?

di Louis René Beres*

Quando il presidente americano Barack Obama annuncia agli Stati Uniti che lavora ad una "soluzione per due stati", e quando il segretario di Stato Kerry ribadisce il concetto - e quando Svezia e Regno Unito (e presto Spagna e Francia) votano a favore di uno stato palestinese - dovrebbero stare attenti a ciò che auspicano.
Sebbene non vi sia una legittimazione formale per la consacrazione statuale, il leader palestinese Mahmoud Abbas, il 26 settembre 2014, ha sentenziato alle Nazioni Unite che «l'ora dell'indipendenza dello "stato di Palestina" è giunta». Due anni prima l'Autorità Palestinese (AP) ha conseguito il riconoscimento di stato non membro dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ma ciò non equivale a piena sovranità.
Potrebbe anche non esserci giustificazione - che sia etica, legale o geopolitica - nel combattere una guerra contro lo Stato Islamico in Siria e Iraq; e allo stesso tempo sollecitare il riconoscimento statuale dell'area che comprende il West Bank (Giudea e Samaria) e la Striscia di Gaza, sotto il controllo dei terroristi dell'AP e di Hamas.
L'approccio al conflitto israelo-palestinese riassunto nella "soluzione dei due stati", sollecitato con forza da Stati Uniti, Svezia e Regno Unito, si basa su una serie di sviste. In primo luogo, sottoscrive la retorica araba della "occupazione" israeliana.
Atti di terrorismo e di violenza da parte degli arabi nei confronti degli ebrei - che vivono in questa area da quasi tremila anni - si sono verificati molti anni prima del riconoscimento formale di Israele come stato indipendente. Il Massacro di Hebron del 1929 è probabilmente l'esempio più noto, ma il terrorismo arabo si è manifestato per tutto il periodo del Mandato Britannico compreso fra il 1920 e il 1948.

Il terrorismo organizzato di matrice araba si manifestò non appena fu proclamato il moderno stato di Israele, a metà maggio 1948. L'Organizzazione per la liberazione della palestina (OLP), progenitrice dell'attuale AP, fu costituita nel 1964, tre anni prima che Israele si trovasse ad avere il controllo non cercato del West Bank (Giudea e Samaria) e di Gaza. Che cosa mai intendeva "liberare" l'OLP dal 1964 al 1967? La risposta è sconsolatamente semplice: tutto Israele. Si tratta esattamente dei "confini del 1967" a cui ha alluso il presidente Obama come punto di partenza dei negoziati di pace, e che gli esperti militari di tutto il mondo - israeliani come anche americani - indicano come gli indifendibili "confini di Auschwitz". E non dimentichiamo che l'OLP è stata dichiarata da diversi tribunali "organizzazione terroristica".
Quasi dieci anni fa, il Primo Ministro israeliano Ariel Sharon, alla ricerca di una pace con le fazioni palestinesi, rimosse con la forza da Gaza e la Samaria settentrionale più di 10.000 ebrei. Subito dopo, questa area etnicamente ripulita, su incessanti e discriminanti pressioni palestinesi, è diventata zona di guerra, piattaforma di lancio di razzi e missili, da area coltivata e residenziale. Da quel momento, Israele ha dovuto più volte difendersi dagli attacchi del terrorismo, fino alla recente operazione Protective Edge.
Perché non si sollecitano i palestinesi a cessare ogni deliberato atto di violenza nei confronti dei civili israeliani, prima di considerare una richiesta di ammissione al riconoscimento di stato fra la comunità mondiali di stati civilizzati? è sin troppo evidente che i palestinesi perseguono qualcosa di diverso dalla "fine dell'occupazione"; sia Fatah che Hamas, nei rispettivi statuti, le dichiarazioni quotidianamente rilasciate, le incitazioni agli assassinii e le mappe ufficiali - note da tempo a Washington - considerano tutto Israele "Palestina". Per Fatah e Hamas l'unica soluzione perseguita è quella di "uno stato": un modo neanche tanto segreto per inondare demograficamente Israele, onde creare uno stato, a maggioranza araba, in cui gli ebrei, che qui vivono ininterrottamente da 3000 anni, possano vivere in condizioni sempre più proibitive, malamente tollerati, ed eventualmente espulsi, a seconda delle varie versioni professate.
Forse non è nemmeno lampante per i governi di Stati Uniti, Svezia e Regno Unito che sia Hamas che Fatah indicano Hitler e Goebbels come i loro mentori ideologici.
Alla base, la posizione americana, svedese e britannica nei confronti della questione israelo-palestinese, rivela dei pericolosi sortilegi del linguaggio. Per quanto infondata, la diffamazione di una "occupazione" israeliana è stata ripetuta così spesso, e da fonti così autorevoli, che è ormai presa per buona come "fatto incontestabile".

Ma il 30 giugno 1922, una risoluzione approvata da entrambi i rami del parlamento americano appoggiava all'unanimità un "mandato per la Palestina", confermando il diritto inalienabile degli ebrei di stabilirsi definitivamente in un'area della Palestina, a loro scelta, fra il Fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questo è il nucleo del sostegno degli USA ad uno stato ebraico, che ora il presidente Obama sembra voler negare.
Oggi, le rivendicazioni palestinesi e le politiche adottate non sono impostate tanto per condurre negoziati diplomatici (dopotutto, l'AP e Hamas stanno già premendo per un riconoscimento statuale al di fuori della cornice degli accordi bilaterali con Israele), quanto come incantesimo letale.
Di governo in governo, Israele ha cercato da sempre di scambiare terre in cambio di pace, ottenendone in cambio soltanto nuovi attacchi terroristici, razzi e guerre. I motivi di questa consolidata mancanza di reciprocità da parte palestinese, generalmente palesi e dogmatici, si rinvengono sulla stampa quotidiana. Sia l'AP che Hamas, ad esempio, chiedono che Israele continui a garantire cittadinanza dello stato ebraico ad 1,8 milioni di arabi, ma allo stesso tempo ribadiscono che non un solo ebreo avrà cittadinanza nel futuro stato palestinese. Questa previsione, secondo cui la futura Palestina sarà "judenrein", contraddice del tutto lo spirito del pronunciamento del parlamento americano, per non parlare del diritto internazionale.
Senza considerare che Egitto, Siria e Giordania furono i principali aggressori nell'attacco arabo deliberatamente genocida avviato il 15 maggio 1948, pochi istanti dopo la proclamazione dello stato di Israele successiva al voto delle Nazioni Unite.
Ma già nel 1918 il leader religioso islamico di Gerusalemme, il Grand Mufti Hajj Amin el-Husseini, affermava senza mezzi termini che «questa è stata e resterà una terra araba. I sionisti saranno massacrati fino all'ultimo. Soltanto la spada deciderà il futuro di questo Paese».
I governi di Stati Uniti, Svezia e Regno Unito trascurano altresì che gli stessi stati arabi scagliarono un altro attacco: quello del 1967, da cui originò la Guerra dei Sei Giorni, da cui scaturì la cosidetta "occupazione" israeliana. Gli israeliani ricacciarono gli aggressori, ma immediatamente tentarono di raggiungere un'intesa, basato sulla restituzione delle terre di cui entrarono in possesso in cambio di negoziati, pace e riconoscimento. Ottennero, dopo la conferenza di Khartoum tenutasi di lì a breve, tre risposte: no, no e poi no.

Uno stato sovrano di Palestina, come concepito dagli arabi, non è mai esistito. Ne' prima del 1948 ne' tantomeno prima del 1967. Inoltre, la Risoluzione ONU 242 non ha mai promesso uno stato palestinese. Anche come entità non statuale, la "Palestina" ha cessato di esistere quando il Regno Unito smantellò il mandato ottenuto dalla Società delle Nazioni.
Durante la Guerra di Indipendenza israeliana del 1948-49, il West Bank (Giudea e Samaria) e Gaza caddero sotto il controllo illegale rispettivamente di Giordania ed Egitto. Nessun riferimento precedente del diritto internazionale, inclusa la risoluzione di partizione adottata dall'ONU nel 1947, ha mai contemplato alcun titolo giordano o egiziano per il controllo di questi territori. West Bank e Gaza furono semplicemente sequestrati; sono queste le occupazioni di cui si dovrebbe parlare: quelle di questi due stati arabi dopo l'aggressione del 1948 nei confronti di Israele.
Le aggressioni arabe del 1948 non hanno posto fine ad uno "stato palestinese" peraltro mai esistito in precedenza. Ironia della sorte, ciò che queste occupazioni provocarono fu la deliberata stroncatura della nascita di uno stato arabo palestinese. Sin dall'inizio è apparso evidente che sono i principali stati arabi - non Israele - a rappresentare il principale impedimento alla sovranità palestinese. La situazione attuale è la conseguenza diretta della mancata accettazione da parte araba del piano di partizione dell'ONU del 1947, quando invece la parte ebraica, seppur con riluttanza, diede la propria piena approvazione.

Dopo la Prima Guerra Mondiale fu riconosciuta una concatenazione di possesso ebraico delle terre in questione, in occasione della Conferenza di Pace tenutasi a Sanremo nel 1920. Conseguentemente, fu firmato il Trattato di Sevres, con il quale alla Gran Bretagna fu conferita autorità mandataria sulla "Palestina", sulla base del convincimento che il Regno Unito avrebbe creato le condizioni per una «patria nazionale per il popolo ebraico». Per citare:
«Il Mandatario sarà responsabile della messa in pratica della dichiarazione emessa l'8 novembre 1917 da parte del governo britannico, e adottata dalle altre potenze alleate, a favore della creazione in Palestina di una patria nazionale per il popolo ebraico».
Tuttavia nel 1922 la Gran Bretagna, unilateralmente, e senza alcuna autorità giuridica, scorporò il 78% delle terre promesse agli ebrei - tutta la "Palestina" ad est del Fiume Giordano - e la consegnò al Re Abdullah. La Palestina dell'est assunse il nome di Transgiordania, che sarà mantenuto fino ad aprile 1949, quando diventerà Giordania.
Dal momento della sua istituzione, la Transgiordania fu bandita all'emigrazione e all'insediamento ebraico: una chiara violazione delle previsioni della Dichiarazione Balfour del 1917, e una grave contravvenzione degli obblighi mandatari nell'ambito del diritto internazionale.


Nel 1947 l'Organizzazione delle Nazioni Unite appena costituita, anziché designare la terra ad occidente del Fiume Giordano come la patria da tempo promessa al popolo ebraico, attuò una seconda partizione. I leader ebrei con riluttanza accettarono questa dolorosa e iniqua partizione. Ironia della sorte, malgrado questa decisione fornisse un enorme vantaggio agli arabi, questi non accettarono.
Il 15 maggio 1948, esattamente 24 ore dopo la proclamazione dello Stato di Israele, Azzam Pasha, segretario generale della Lega Araba, dichiarò ad un esile stato appena costituito sulle ceneri dell'Olocausto: «Questa sarà una guerra di sterminio, e un massacro senza precedenti».
Questa incontestabile dichiarazione di genocidio è stata alla base di tutte le azioni nei confronti di Israele da parte di arabi, musulmani e islamici, inclusi quelli "moderati" - tali ritenuti dagli Stati Uniti - dell'Autorità Palestinese gestita dal Fatah. Anche alla luce degli stringenti requisiti adottati dalla Convenzione del 1948 per la prevenzione e la punizione del crimine del genocidio, le azioni e le attitudini  di arabi e musulmani nei confronti del microscopico stato ebraico, rientrano nella definizione formale di genocidio.
Secondo giurisprudenza, quello che hanno in proposito di sferrare nei confronti di Israele ha un nome: crimine contro l'umanità. Questi crimini, incluso lo sterminio, è stato uno dei tre capi d'accusa al tribunale di Norimberga.

Nel 1967 lo stato ebraico, in seguito ad una insperata vittoria nei confronti degli stati arabi aggressori dopo la Guerra dei Sei Giorni, si trovò a detenere il controllo del West Bank e di Gaza. Sebbene l'acquisizione di territori medianti conflitti sia indicata come inammissibile dallo Statuto delle Nazioni Unite, difettava una autorità sovrana alla quale "restituire" i territori in questione. Era irrealistico pretendere che Israele li riconsegnasse a Giordania ed Egitto, che avevano esercitato un controllo illegittimo e terribilmente spietato sin dalla "guerra di sterminio" del 1948-49, nonché agli arabi che avevano più volte utilizzato quei territori per scatenare attacchi nei confronti dello stato ebraico. Inoltre, l'idea di una "autodeterminazione" palestinese è incominciata ad emergere solamente dopo la Guerra dei Sei Giorni: non se ne parlava minimamente nella Risoluzione ONU 242 adottata il 22 novembre 1967.
Gli stati arabi convennero in un summit tenutosi a Khartoum su tre "no": no alla pace con Israele, no al riconoscimento di Israele, no a negoziati con Israele.
L'OLP si era formata tre anni prima della guerra, nel 1964, prima ancora che si potesse vagamente parlare di una "occupazione" israeliana. Alla luce di quanto candidamente annunciato nel suo statuto, come in quello di Hamas del 1988, tutti i territori - tutto Israele - sono destinati ad essere da essi "liberati".

La proposta di Obama tuttora in piedi di una "soluzione per due stati" nasce da una incomprensione dei fatti basata su ignoranza storica, legale e concettuale. Anche se il governo israeliano dovesse accordare un completo arresto dell'attività negli insediamenti ebraici, non ci sarebbe da aspettarsi alcuna contropartita dalla controparte araba. Non avvenne quando Israele sgomberò dal sud del Libano, ne' quando lasciò Gaza; e non accadrà nulla di benevolo adesso.
Piuttosto, ciò che sembra sperimentarsi, con l'appoggio di Obama, della Svezia e del Regno Unito, è il "piano a fasi" congegnato dall'OLP nel 1974: "prendersi tutto ciò che si può arraffare, e utilizzarlo per prendersi il resto, come passo sulla strada verso una nazione araba omnicomprensiva".
Per Israele, la soluzione dei due stati sarebbe un modo diverso per perseguire la Soluzione Finale; al tempo stesso, creando un nuovo stato basato sul terrorismo e sul jihad.


*  Louis René Beres è docente di Diritto Internazionale al dipartimento di Scienze Politiche della Purdue University.
Tradotto da Gatestone Institute.

Nessun commento:

Posta un commento