lunedì 29 settembre 2014

I palestinesi e le barche della morte

Niente: uno aspetta giorni; poi i giorni diventano settimane, ma dei palestinesi che cercano disperatamente di fuggire con ogni mezzo dal regime brutale di Hamas a Gaza, non compare notizia sui media nazionali.
Succede che dopo l'ultima guerra di Gaza, sempre più palestinesi abbiano deciso di rompere gli indugi. Ce l'hanno con Israele, ma non per lo stesso motivo dei loro aguzzini, che li hanno costretti a lavorare nelle viscere della terra, per scavare i famigerati tunnel della morte in cui hanno perso la vita almeno 160 bambini. No, ce l'hanno con lo stato ebraico perché non ha portato a termine il lavoro, lasciando intatta a Gaza la leadership dei fondamentalisti islamici.
Così, hanno scelto ogni mezzo per lasciare l'enclave palestinese, nel fondato timore che la tregua possa essere rotta in un futuro neanche tanto remoto. Secondo il Gatestone Institute, almeno 500 palestinesi hanno perso la vita in mare, annegati mentre cercavano improbabilmente di guadagnare le coste europee a bordo di gommoni calati miseramente a picco. È un conteggio drammatico: la metà delle presumibili vittime civili del recente conflitto, che tanta eco hanno viceversa suscitato. Secondo alcune testimonianze, le imbarcazioni sarebbero affondate per il deliberato calcolo cinico dei traghettatori. A Gaza si parla ormai, seppur sommessamente, di "barche della morte".
Migliaia di dollari sono pagati per fuggire dalla Striscia di Gaza: praticamente un anno di reddito medio; molto meno, se si eccettuano i quasi duemila milionari palestinesi, che a Gaza vivono nel lusso e nei conforti della vita occidentale. Verosimilmente, il tenore di vita dei gerarchi di Hamas migliorerà ulteriormente, dal momento che il prezzo da pagare per sperare di fuggire dagli orrori del regime, viene intascato direttamente dall'organizzazione terroristica.
Secondo alcune fonti, sono almeno 13.000 i palestinesi riusciti a fuggire; altri 25 mila hanno fatto richiesta di asilo politico ai vari governi europei. Non che Hamas sia ostile: da un lato incassa sontuose provvigioni per imbarcare questi disperati negletti sui gommoni della morte; dall'altro addirittura incoraggia nelle moschee l'esodo: «quelli che qui non sono felici possono sempre emigrare in Europa: noi non costringiamo nessuno a rimanere».
Non è più fortunato chi decide di fuggire in Egitto, servendosi dei tunnel ancora esistenti nel sottosuolo: dopo aver percorso fortunosamente due chilometri di gallerie, ad attenderli ci sono gruppi di banditi armati, che privano i malcapitati di tutti i loro averi, denaro compreso, rispedendoli al mittente.
Ma non tutti i palestinesi si possono lamentare. Buone notizie giungono per le diecine di migliaia di dipendenti pubblici della Striscia, assunti da Hamas e rimasti da mesi senza retribuzioni per la scarsità di fondi dell'organizzazione terroristica ('che le armi, notoriamente, sono fornite gratuitamente...) Il primo ministro dell'ANP ha reso noto sabato di aver ricevuto garanzie da un "organismo internazionale", il quale si impegnerà a versare nelle casse del governo palestinese i fondi necessari per pagare gli stipendi ai civil servant. Si ignora l'identità di questo misterioso benefattore, e i secondi fini perseguiti.

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