martedì 30 settembre 2014

Il piccolo Mohammed e la propaganda palestinese senza pudore

Mohammed Al-Farra è un bambino che sta per compiere 5 anni. Ha due problemi: è nato nella Striscia di Gaza, e tutti sappiamo le difficoltà che ciò comporta. Ma si potrebbe sorvolare sul dominio oppressivo di Hamas, se non fosse che il piccolo è affetto dalla nascita da una malattia genetica che ha reso necessaria l'amputazione di ambo gli arti. Ad un certo punto è stato abbandonato dai genitori, e dalle autorità sanitarie, che a Gaza sono più intente a diffondere statistiche farlocche, che a preoccuparsi della salute del propri cittadini.
Così, Mohammed è stato accolto e adottato dall'ospedale pediatrico di Safra a Ramat Gan, Israele. Il Borghesino ne ha parlato a maggio dell'anno scorso, e anche l'amica Barbara ha riportato sul suo blog la vicenda, rilanciando la notizia pubblicata in Italia dal Messaggero.
Una delle tante storie di amore e dedizione al prossimo, che imbarazza gli odiatori di Israele. Lo stato ebraico cura ogni giorno diecine di palestinesi - bambini, in particolare - dal comune cittadino al parente vicino dell'autorità politica più elevata della Striscia di Gaza. Problematico vomitare sentenze di morte nei confronti degli ebrei, e al tempo stesso sfruttarne le indubbie eccellenze sanitarie; ma gli odiatori a tempo pieno non si fanno scrupoli di contraddizione e schizofrenia: tanto chi mai lo verrà a sapere? chi ne denuncerà il comportamento obbrobrioso?


Bene. Cosa c'è di peggio dell'omissione? la mistificazione. Così, una notizia passata in cavalleria più di un anno fa, è riesumata e violentata e vivisezionata ad uso e consumo degli antisemiti. Il povero Mohammed, che ogni giorno ringrazia gli israeliani per le amorevoli cure che ha ricevuto, è strumentalizzato e presentato come vittima delle "centinaia di bambini di Gaza resi disabili dal conflitto di questa estate". Ci vuole molto pelo sullo stomaco per rovesciare la realtà; ma l'esercizio deve risultare agevole a queste canaglie e gradito ai loro seguaci, se è vero che il sito di propaganda filopalestinese ha beneficiato nella fattispecie di oltre 11.000 gradimenti, ed è stato retwittato 181 volte. Una rapida ricerca sul social network dei 140 caratteri conferma la presenza della foto del fanciullo in diecine di account di sostegno alla "causa palestinese", dove la notizia è ovviamente stravolta e presentata oggi in guisa vergognosamente diversa da quella reale di un anno fa.
A corto di materiale propagandistico proveniente da Siria e Iraq, i fanatici sostenitori di Hamas non si sono fatti scrupoli nel rivolgersi addirittura ad Israele per saccheggiarne le informazioni, deformandole in modo spregiudicato. C'è chi abboccherà a questa calunniosa quanto dettagliata ricostruzione.

lunedì 29 settembre 2014

I palestinesi e le barche della morte

Niente: uno aspetta giorni; poi i giorni diventano settimane, ma dei palestinesi che cercano disperatamente di fuggire con ogni mezzo dal regime brutale di Hamas a Gaza, non compare notizia sui media nazionali.
Succede che dopo l'ultima guerra di Gaza, sempre più palestinesi abbiano deciso di rompere gli indugi. Ce l'hanno con Israele, ma non per lo stesso motivo dei loro aguzzini, che li hanno costretti a lavorare nelle viscere della terra, per scavare i famigerati tunnel della morte in cui hanno perso la vita almeno 160 bambini. No, ce l'hanno con lo stato ebraico perché non ha portato a termine il lavoro, lasciando intatta a Gaza la leadership dei fondamentalisti islamici.
Così, hanno scelto ogni mezzo per lasciare l'enclave palestinese, nel fondato timore che la tregua possa essere rotta in un futuro neanche tanto remoto. Secondo il Gatestone Institute, almeno 500 palestinesi hanno perso la vita in mare, annegati mentre cercavano improbabilmente di guadagnare le coste europee a bordo di gommoni calati miseramente a picco. È un conteggio drammatico: la metà delle presumibili vittime civili del recente conflitto, che tanta eco hanno viceversa suscitato. Secondo alcune testimonianze, le imbarcazioni sarebbero affondate per il deliberato calcolo cinico dei traghettatori. A Gaza si parla ormai, seppur sommessamente, di "barche della morte".

mercoledì 17 settembre 2014

L'elisir di eterna giovinezza palestinese

Nella versione internazionale del New York Times, i rifugiati palestinesi sembrano aver bloccato il processo di invecchiamento. I palestinesi che abbandonarono o furono espulsi da Israele nel 1948 resteranno per sempre giovani. O così sembra, leggendo l'articolo apparso sulla versione in edicola dell'The International New York Times. Questi rifugiati, che oggi avranno non meno di 66 anni, sono gli avi dei bambini che studiano nelle scuole elementari di Gaza. Qui al lato l'articolo contenente lo strafalcione.
Ci sono due evidenti errori nell'affermazione riportata. Anzitutto, l'articolo forse intendeva parlare di «nipoti e pronipoti dei palestinesi che lasciarono Israele o ne furono espulsi». Difatti, in un'altra versione dell'articolo, apparsa precedentemente sul NY Times, si parla correttamente di «discendenti dei palestinesi che furono espulsi o che lasciarono Israele e il West Bank».
È impossibile che i genitori di studenti di età compresa fra 5 e 14 anni abbiano lasciato in qualche modo Israele nel 1948.
Se i genitori fossero vivi nel 1948, oggi avrebbero almeno 66 anni. Evidentemente, i genitori dei bambini che frequentano le scuole dell'obbligo palestinesi non hanno una simile età.

martedì 16 settembre 2014

I prodigi dell'economia palestinese

Ci siamo già occupati in passato dei prodigi dell'economia israeliana: fra le poche realtà in netta espansione fra i paesi occidentali, capace di assicurare ai suoi cittadini - tutti: ebrei, arabi, drusi - un'espansione del benessere senza eguali. Basti pensare che negli ultimi dieci anni il reddito pro-capite si è espanso del 25%; mentre in Italia si è contratto del 7.5% nel medesimo arco di tempo. Persino nella formidabile Germania l'espansione del reddito negli ultimi dieci anni non è andata oltre il 15%.
Noti i motivi di questo boom, per un'economia dalle dimensioni paragonabili a quelle del Cile: un ottimo sistema scolastico, una massiccia spesa per investimenti in ricerca e sviluppo, e una ossessione per l'innovazione, che colloca lo stato ebraico addirittura al terzo posto al mondo, dietro Finlandia e Svizzera. Per non parlare di un pragmatismo, in politica estera e nell'economia internazionale, che sta consentendo ad Israele di violare tabu storici e consolidati: nelle ultime settimane hanno fatto notizia gli accordi di fornitura pluriennale di gas naturale, nei confronti di Egitto e Giordania. Alcun mesi fa il primo ministro della Malesia Najib Razak ha fatto visita ai leader di Hamas a Gaza, enfatizzando la propria contiguità alle posizioni palestinesi; ma ciò non impedisce un boom dell'interscambio, raddoppiato nel 2013 rispetto all'anno precedente (e quest'anno siamo a +27% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno), grazie soprattutto alle  importazioni che Gerusalemme affluiscono a Kuala Lumpur.

domenica 14 settembre 2014

Quanto occupano i Territori "occupati"?

I "Territori occupati". Prima che la guerra civile in Siria producesse il genocidio di oltre 190 mila persone; prima che la Libia conoscesse il caos incontrollabile conseguente alla caduta di Gheddafi, prima che l'Egitto sprofondasse nella breve parantesi nella tirannia dei Fratelli Musulmani, sembrava a non pochi che davvero bastasse risolvere il conflitto fra arabi e israeliani per consegnare al Medio Oriente un futuro di pace. A poco serviva evidenziare che non già alla terra erano interessati, gli arabi, bensì alla distruzione di Israele; che lo stato ebraico si era ritirato spontaneamente dal Libano e da Gaza, ottenendo nuovi e sempre più veementi attacchi; che l'equazione "terra in cambio di pace" esisteva solo nella mente di ingenui esponenti di una sinistra sempre più emarginata politicamente, perché lontana da una drammatica realtà: l'unica opzione possibile essendo "pace, in cambio di pace", come hanno dimostrato gli accordi di pace sottoscritti prima con l'Egitto, e poi con la Giordania. Stati che non nutrono particolari simpatie per Gerusalemme e dintorni, ma con cui si può ragionare e al limite commerciare, come dimostrano gli accordi di fornitura pluriennale da diverse diecine di milioni di dollari, sottoscritti fra Gerusalemme, da una parte; e Amman e Il Cairo, dall'altra.
Ma anche qualora si volesse assumere la decisione di cestinare gli Accordi di Oslo del 1993, e di ritirarsi anche dalla "zona C" del West Bank, di cui Israele detiene il pieno controllo - amministrativo (il che si traduce nella piena e legittima licenza di edificarvi) e militare - di quanta terra stiamo parlando? a quanto ammontano, questi mitici territori "occupati" dagli insediamenti ebraici, che a gran voce reclamano i pacifisti di tutto il mondo?

venerdì 12 settembre 2014

Quanto sono spontanee le dimostrazioni a favore dei palestinesi?

Sono note a tutti le virulente manifestazioni a favore di Hamas o comunque antisemite, sperimentate in Europa e negli Stati Uniti; ma si sa poco del ruolo organizzativo giocato dai Fratelli Musulmani, di cui Hamas è una costola. Ne abbiamo parlato con Steven Merley, investigatore, ricercatore e analista con una vasta esperienza nell'esaminare le reti clandestine e complesse affiliate ai Fratelli Musulman in tutto il mondo occidentale.
Merley è senior analyst presso la Kronos Advisory LLC, dove si occupa di analizzare le reti globali dei Fratelli Musulmani (FM), e pubblica e redige il Global Muslim Brotherhood Daily Watch, una raccolta giornaliera di notizie sugli sviluppi mondiali dei FM.

In che misura le organizzazioni affiliate ai FM sono coinvolte nelle numerose e non di rado violente dimostrazioni anti-israeliane e simpatizzanti nei confronti di Hamas sperimentate in tutto il mondo durante l'ultimo conflitto?

giovedì 11 settembre 2014

Due pesi, due misure

La Norvegia ha espulso nel 2013 un numero record di immigrati, quasi tutti musulmani, a causa del dilagare di fenomeni di delinquenza. Le espulsioni hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 5200 persone, con un incremento del 31% rispetto all'anno precedente. Mettere brutalmente alla porta-frontiera gli immigrati è giudicato dalle forze dell'ordine un modo sbrigativo ma tanto efficace quanto esemplare per scoraggiare le attività criminose delle locali comunità straniere. La maggior parte degli immigrati a cui è stato consegnato il foglio di via proviene dalla Nigeria, Afghanistan e Iraq: stati in cui le condizioni di vita metteranno a repentaglio l'incolumità degli immigrati espulsi da Oslo.


Lo so: è una notizia che non interessa a nessuno. Non per niente non se ne trova traccia sulla stampa del mondo occidentale: bisogna risalire ad un sito israeliano, che cita un blog vicino al mondo musulmano. Ma se non fa notizia uno stato sovrano che per motivi di sicurezza interna e di ordine pubblico espelle con la forza migliaia di immigrati; come mai analoga notizia trova ospitalità sulle pagine dell'ANSA, quando lo stesso provvedimento è adottato da Israele?

martedì 9 settembre 2014

Le notizie che non interessano a nessuno

Hamas non doveva scomodarsi nel dettare ai giornalisti internazionali le linee guida sul corretto comportamento da assumere a Gaza: i media sono già sbilanciati di loro, e non farebbero nulla - salvo poche lodevoli eccezioni - per mettere in cattiva luce i fondamentalisti islamici che dal 2007 detengono il potere a Gaza. Inutile cercare prove della loro condotta riprovevole su stampa e TV, che praticano sistematicamente una sorta di autocensura preventiva.
Così, dopo averci frantumato i benedetti sui danni collaterali provocati dai bombardamenti israeliani a Gaza durante la Guerra dei 50 giorni; si apprende oggi - e la fonte è decisamente credibile: le Nazioni Unite! - che gli strike dell'aviazione israeliana hanno vantato precisione chirurgica nel colpire le installazioni terroristiche; risparmiando le strutture civili circostanti. Meno del 5% del territorio è stato interessato dai bombardamenti dell'IAF, mentre le zone più popolose di Gaza e dintorni sono risultate sorprendentemente intatte o danneggiate in misura trascurabile. Un resoconto asciutto e incontestabile; eppure, non trova menzione sulla stampa ufficiale.

lunedì 8 settembre 2014

L'Europa stacca la spina alla Palestina?

di Donna Rachel Edmunds*

La frustrazione europea per la mancanza di passi in avanti verso la soluzione dei due stati per israeliani e palestinesi ha indotto alcuni commenti da parte delle massime autorità, secondo cui gli aiuti comunitari verso l'Autorità Palestinese potrebbero essere drasticamente ridotti entro 3-4 anni: «È evidente che la nostra politica non è sostenibile nel medio periodo in assenza di progressi sul fronte politico; e certo il denaro non basta per conseguirli», ha ammesso un funzionario dell'Unione ad EurActiv. «Si sperava che (i generosi finanziamenti, NdT) avrebbero incoraggiato un processo sul piano politico; ma così non è stato».
Il provvedimento scaverebbe un profondo solco nelle finanze palestinesi, dal momento che l'Europa risulta attualmente il principale donatore, con circa  milioni di euro erogati ogni anno (a cui si devono
aggiungere le elargizioni nei confronti di ONG che fiancheggiano l'ANP, NdT). Un consistente numero di funzionari di Ramallah sono pagati con fondi europei.

domenica 7 settembre 2014

Cosa pensano i palestinesi dopo la Guerra di Gaza?

Hamas può aver sacrificato una parte considerevole del suo arsenale bellico, ma poco male: Iran e Qatar sono già pronti a nuove forniture, contando sulla maggiore capacità di penetrazione garantita dal raddoppio delle miglie nautiche disponibili e dal maggiore transito garantito dai valichi fra Egitto e Israele, e Striscia di Gaza.
Sebbene non sia uscito vincitore dalla Guerra dei 50 giorni, Hamas risulta ora largamente prevalente fra l'opinione pubblica palestinese: secondo un sondaggio condotto dal Palestinian Center for Policy and Survey Research (PCPSR) di Ramallah, se si tenessero oggi elezioni parlamentari e legislative nel West Bank, l'organizzazione terroristica le vincerebbe a man bassa. Ai palestinesi che abitano a Ramallah e dintorni, piacciono i metodi violenti praticati da Hamas a Gaza: sarà per questo che la polizia dell'ANP sta procedendo in questi giorni a diffusi arresti e perquisizioni fra i simpatizzanti di Hamas residenti ad est del Giordano.

venerdì 5 settembre 2014

Una soluzione interessante per il problema dei profughi palestinesi


«I palestinesi non perdono mai occasione per perdere un'occasione». Il vecchio adagio è sempre tristemente ricorrente; e trova nuova drammatica concretizzazione in questi giorni, quando si è profilata finalmente una soluzione all'annosa questione dei profughi palestinesi. Originariamente in 5-600 mila, gli arabi che lasciarono nel 1948 il neonato stato ebraico, persuasi dalle nazioni belligeranti vicine, sono diventati oggi 5-6 milioni, secondo una deplorevole politica che non ha mai inteso ricollocare questi disperati negli stati dove hanno trovato ospitalità.
Ci furono decine di milioni di profughi in Europa, e tutti vennero reinsediati: i polacchi accettarono i polacchi, i tedeschi accettarono i tedeschi. Nel ’47, con la divisione dell’India, ci furono milioni e milioni di profughi: i musulmani furono condotti dall’India al Pakistan, gli Indù dal Pakistan all’India. Vennero tutti reinsediati. I palestinesi in vita nel 1948 sono diventati oggi non più di 30 mila; i discendenti sarebbero stati cittadini egiziani, o siriani, o libanesi, o iraqeni. Sono rimasti arma demografica nelle mani dei satrapi mediorientali, e materia prima per l'agenzia ONU appositamente creata.

lunedì 1 settembre 2014

Israele "sottrae" 1000 acri di terra ai palestinesi: notizia o bufala?

Il ponte con galleria che collega Gerusalemme al Gush Etzion
Si discute molto nelle ultime ore della decisione del governo di Gerusalemme di acquisire al demanio pubblico, un'area di circa 4 chilometri quadrati nel Gush Etzion. Ne hanno parlato ovviamente i quotidiani israeliani (per esempio il Jerusalem Post, o Israel Hayom), e non tarderanno a fornire la loro visione parziale i quotidiani europei. Meglio portarsi avanti con il lavoro...
Gush Etzion è un'area, situata ad est delle linee armistiziali del 1949 (conosciute anche come "Linea Verde": sono confini che le parti in conflitto indicarono come provvisori, in attesa di accordi di pace che tuttora tardano ad essere stretti), che include diversi sobborghi; dei quali quello di Beitar Illit (circa 40.000 abitanti) è il più popoloso. Trattasi di insediamenti istituiti in tempi diversi fra il 1970 e il 2002; talvolta legali (settlement), in altri casi illegali (outpost), in quanto non autorizzati, e successivamente smantellati per decisione dell'autorità giudiziaria.

Rivedere le immunità garantite all'UNRWA

di Einat Wilf*

Ironia della sorte, durante i combattimenti a Gaza l'IDF è stato colpita da installazioni dell'U.N. Relief and Works Agency (UNRWA), ed ha dovuto rispondere al fuoco. Ma ora che le ostilità sono cessate, è giunto il momento per Israele di fare ciò che andava fatto già alcuni decenni fa: rimuovere lo strato di immunità e legittimazione concesa all'UNRWA. Israele dovrebbe riconoscere l'UNRWA per ciò che è: un'organizzazione palestinese ostile che perpetua il mito del ritorno dei rifugiati palestinesi in Israele, agendo conseguentemente.
La politica di Israele verso l'UNRWA è dettata dall'establishment della Difesa. È basata sulla premessa secondo cui "l'UNRWA è il minore dei mali", come un dirigente del ministero della Difesa mi riferì una volta: «l'UNRWA è una merda, ma Hamas lo è ancora di più». Ma questa è una visione parziale della questione. Anche se l'UNRWA in quanto tale non colpisce direttamente Israele, si assicura che ci sia sempre qualcuno che lo farà. Sotto un sottile velo di attivismo umanitario, l'UNRWA agisce con una evidente agenda politica, finalizzata a perpetrare la condizione dei rifugiati palestinesi, e alimentando il mito del "ritorno in Israele". Ecco come l'UNRWA costruisce le basi ideologiche delle prossime generazioni di militanti anti-israeliani.