domenica 4 maggio 2014

Brevi dal Medio Oriente

Le speranze di pace fra israeliani e palestinesi sono state cinicamente affossate dall'intransigenza di Abu Mazen, che da un lato ha disatteso gli impegni dello scorso anno aderendo ad una serie di organizzazioni internazionali, e dall'altro ha imposto nuove irricevibili condizioni per continuare sterilmente a discutere con Gerusalemme. Ma ciò non impedisce al piccolo stato ebraico di cimentarsi in piccoli gesti quotidiani di buona volontà.
Un giovane palestinese questa mattina è stato soccorso dalla polizia di frontiera, dopo essersi procurato una frattura nel tentativo di entrare illegalmente in Israele scavalcando la recizione di confine. Il tentativo maldestro, compiuto da altezza considerevole, è finito male: con una gamba rotta e una copiosa emorragia, provvidenzialmente contenuta dal pronto intervento di un medico dell'esercito israeliano. L'intervento ha salvato la vita al giovane, che cercava di raggiungere Gerusalemme per cercare lavoro.


Il governo dell'ANP non esita a versare generosi contributi alle famiglie degli aspiranti terroristi palestinesi che attentano alla vita degli israeliani, e indugia in viaggi "diplomatici" sempre molto affollati; ma lesina fondi al personale pubblico, e si dimentica sistematicamente di pagare le bollette. Siamo alle solite: la IEC, compagnia energetica israeliana, lamenta il mancato pagamento di fatture per complessivi 1500 milioni di Shekel, pari più di 430 milioni di dollari, da parte del governo di Abu Mazen. La IEC fornisce energia ai territori palestinesi, e cura la manutenzione - spesso in condizioni di pericolo di vita per i suoi operai - degli impianti; ma dopo l'ennesimo rifiuto di saldare un debito che cresce di 80 milioni di Shekel al mese, si è appellata al governo di Gerusalemme e all'Alta Corte di Giustizia, sostenendo la possibilità di ridurre le erogazioni o cessarle del tutto.
Non mancano perplessità in merito ad una eventuale taglio delle forniture, che secondo una interpretazione equivarrebbe a "crimine di guerra". Se questo è opinabile, di sicuro fa il gioco del governo palestinese, che dispone di una ottima carta per rifiutarsi di adempiere ai propri obblighi: perché disdegnare di mettere in difficoltà il governo di Gerusalemme? e tanti saluti alla pace...

A proposito di pace, se qualcuno dovesse nutrire speranze che l'accordo ventilato fra Al Fatah e Hamas conduca ad un effettivo miglioramento delle relazioni diplomatiche con Gerusalemme, e non ad una radicalizzazione delle posizioni palestinesi; è intervenuto qualche giorno fa Khaled Meshal a chiarire il punto di vista dell'organizzazione terroristica islamica che governa la Striscia di Gaza: «la nostra strada è la resistenza e il fucile, e la nostra scelta è il martirio», ha invocato Meshal, precisando che l'obiettivo palestinese - si ritiene a questo punto condiviso dai "moderati" del Fatah - è la guerra santa fino allo sterminio degli ebrei che vivono in Israele.
Hamas appare rinfrancata dalla mano tesa da Abu Mazen, il quale porta in dote le centinaia di milioni di finanziamenti che l'ANP riceve da anni dall'Occidente, in cambio della disponibilità di arrivare "un giorno" alla pace con Israele, in ossequio agli Accordi di Oslo del 1993 che proprio all'ANP hanno dato vita. L'organizzazione estremista islamica che governa Gaza era in grossa difficoltà dopo la messa al bando dei Fratelli Musulmani in Egitto e il defilarsi del Qatar; ma al contempo Abu Mazen non riusciva a trovare altri pretesti per evitare di giungere ad un accordo definitivo con il governo di Gerusalemme. E quale migliore catalizzatore di un naufragio dei negoziati, che accordarsi con chi ha sempre rifiutato di negoziare con Israele, e tantomeno di riconoscere Israele?

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