giovedì 29 maggio 2014

Signori, ecco a voi: Pallywood

Per i veri culturi della cinematografia, un'altra perla che impreziosirà le proprie collezioni.
Facciamo un passettino indietro. Tutti sanno che ogni anno si ripete questa stucchevole cerimonia del Nakba Day, che commemora per gli arabi la fondazione dello stato di Israele, e la prima di tante occasioni perse per i palestinesi per ottenere un proprio stato. La storia ricorda che gli arabi respinsero il piano di partizione dell'ONU, che per la prima volta prevedeva nell'ex mandato britannico in Medio Oriente uno stato arabo che avrebbe convissuto al fianco di uno ebraico. Così, ogni anno si ripete questa pantomima, con conseguente dispiegamento di forza pubblica, ore sottratte a lavoro e ozio, colonne di giornali sottratte alle foto delle prime starlette in costume da bagno, e via divagando.
Quest'anno i palestinesi hanno fatto le cose in grande. Nel tentativo di ripetere la messinscena dell'uccisione di Mohamed Al Dura, il ragazzino della cui apparentemente morte furono accusati naturalmente i palestinesi gli israeliani - poi, dopo aver dimostrato l'impossibilità balistica di una responsabilità dell'IDF, il ragazzino fu rinvenuto vivo e vegeto; malgrado fossero state avvistate non una, ma diverse lapidi che presidiavano i presunti resti - quell'industria dell'intrattenimento leggero nota ormai universalmente come Pallywood ha tentato con mezzi più modesti di simulare a Bitunia, nel West Bank, l'uccisione di due ragazzini; ovviamente da parte delle forze di sicurezza di Gerusalemme, accorse per sedare i disordini.

mercoledì 21 maggio 2014

Ai palestinisti non gliene va bene una

Non è davvero un buon momento per i filopalestinesi, popolari fino a quando non ne sono state svelate menzogne e omissioni. Mentre alle Nazioni Unite si discute il ridimensionamento dei generosi stanziamenti nei confronti dell'UNRWA, che a sua volta gestisce a Gaza e nel West Bank scuole in cui si insegna l'odio nei confronti degli ebrei; in buona parte del mondo arabo si riconosce lo splendore della democrazia israeliana, capace di mandare in galera persino un suo primo ministro. Non è un caso che aumenti in Israele la percentuale di arabi che non ci pensa proprio a rinunciare alla propria cittadinanza, in cambio del passaporto di un futuro, eventuale stato di Palestina.
In queste ore sta emergendo un nuovo caso "Al Durah". Succede che i disordini provocati dai palestinesi durante la ricorrenza della fondazione dello stato di Israele, inducono le forze di sicurezza israeliane - chiamate a garantire appunto l'ordine pubblico in larga parte del West Bank in ossequio agli Accordi di Oslo del 1993, sottoscritti anche dall'OLP - ad intervenire, disperendo la folla riottosa con mezzi non violenti. Una ONG filopalestinese diffonde un filmato, privo di diverse parti, che mostra due individui - appartenenti rispettivamente ad Hamas e al Fatah - accasciarsi improvvisamente al suolo; apparentemente, vittime di colpi di arma da fuoco. Immediate le accuse nei confronti dell'IDF, che rispedisce tutto al mittente, precisando che l'esercito ha in dotazione proiettili di gomma, e evidenziando le notevoli omissioni del filmato. Insomma, tutto fa pensare ad una messinscena, prontamente smascherata. L'IDF ha avviato un'indagine, ma lo scarso interesse indotto dalla denuncia di parte è rivelatore: alla propaganda di Pallywood e alle rivelazioni dei testimoni oculari dalle nostre parti non crede più nessuno.

martedì 20 maggio 2014

Israele guadagna popolarità nel mondo arabo

di Khaled Abu Toameh*

La decisione della Corte Distrettuale di Tel Aviv di condannare a sei anni di reclusione l'ex Primo Ministro israeliano Ehud Olmert ha suscitato nel mondo arabo dichiarazioni di approvazione per gli standard di credibilità, trasparenza e amore della giustizia del Sistema Israele. In seguito al pronunciamento della sentenza di condanna per corruzione, molti arabi hanno manifestato la speranza di vedere le rispettive nazioni di appartenenza trarre spunto dallo stato ebraico, dove nessuno è al di sopra della legge, che sia presidente o capo del governo.
Sufian Abu Zayda, alto esponente di Al Fatah ed ex ministro dell'ANP, ha elogiato la sentenza, rimarcando che in Israele nessuno è al di sopra della legge: «questo verdetto fornisce ulteriore prova che il sistema giudiziario in Israele è pienamente autonomo nell'ambito della separazione dei poteri fra legislativo, esecutivo e giudiziario; così come i media sono totalmente indipendenti», ha concluso Abu Zayda, ritenuto un esperto del mondo israeliano.
L'approvazione del sistema democratico vigente nello stato ebraico non implica che Abu Zayda e altri arabia siano diventati d'un tratto pro-Israele, disposti ad ammetterne il diritto all'esistenza. Ma se da un lato continuano ad odiare Israele e a desiderarne la distruzione; dall'altro molti arabi non esitano a manifestare la loro ammirazione per l'indipendenza del suo sistema giudiziario.
I commenti postati da arabi e musulmani su Internet in questi giorni rivelano l'aspirazione di vedere il proprio paese imitare la democrazia israeliana. Reazioni simili seguirono la condanna da parte di un altro tribunale dell'ex presidente della repubblica a 7 anni per molestie sessuali. Di seguito alcuni commenti postati sui media arabi e sui social network, all'indomani del pronunciamento del verdetto Olmert:

  • Ali Al-Kadi: «Lodiamo il giudice David Rosen (che ha emesso la sentenza di condanna, NdR). Vorremmo tanto che il mondo arabo avesse 22 giudici come lui».
  • Mohammed Akash: «Guardate l'equità di questo giudice, e guardate dove siamo. Dobbiamo imparare dal nostro nemico. Lunga vita all'equità del sistema giudiziario israeliano».
  • Manji Dalali: «È uno dei segreti dell'affermazione di Israele sugli arabi: dobbiamo apprendere dal nemico sionista i principi della giustizia giusta».
  • Ibrahim - Libya: «Noi musulmani abbisognamo enormemente di un sistema giudiziario decente che punisca ladri e politici corrotti. Che dio ci aiuti».
  • Hassan Jamal: «Spero tanto che le nazioni arabe facciano altrettanto nei confronti dei loro leader corrotti. Spero che il popolo arabo faccia altrettanto e si liberi dei politici corrotti, senza escludere re e presidenti».
  • Mohammed: «Senza dubbio l'Islam è la migliore religione esistente. Ma i regimi che sostengono di appoggiare l'Islam si abbandonano a repressione e corruzione. Nel frattempo, Israele si annovera fra le nazioni democratiche e si comporta molto meglio rispetto agli stati arabi e islamici quando si tratta di rispettare il popolo e combattere chi si appropria indebitamente delle risorse pubbliche».
  • Adel: «È questo il segreto del successo di Israele: è diventato il simbolo stesso della giustizia perché fa dell'equità uno dei cardini fondamentali del sistema. Noi, d'altro canto, facciamo il contrario: continuiamo ad insabbiare i casi di corruzione anziché combatterla».
  • Abu Zeid: «Vivo in Israele e conosco bene le loro leggi. In questo stato, nessuno è al di sopra della legge».
  • Sami Dirani: «Israele è il nemico, ma vi regna la democrazia: qualcosa che gli arabi neanche s'immaginano. Ecco perché è forte e più avanzato degli arabi, che perdono tempo a scannars l'un l'altro. E mentre alcuni muoiono di stenti, altri nuotano nei miliardi».
  • Hani: «Il profeta dice che dobbiamo perseguire l'istruzione, anche se si trova in Cina. E io dico ai musulmani: coltivate la giustizia, anche se si trova in Israele. Non vedo l'ora che giunga il giorno in cui i nostri capi siano condotti davanti ad un giudice, e ci restituiscano il denaro che hanno rubato.
  • Yasalam: «Se Olmert si fosse trovato in Kuwait, il suo processo sarebbe stato annacquato, e in premio avrebbe ricevuto una poltrona al governo».
  • Kabir al-Muhandiseen: «È così che si costruiscono gli stati. Questo è il segreto di Israele, della sua forza e della sua fermezza».
  • Muhasabah: «In Israele i capi di stato devono rendere conto del loro operato, altrimenti vanno in prigioni, mentre noi arabi osanniamo i corrotti».
  • Zuhear al-Karim: «Quanto leader arabi sarebbero stati condannati se in tribunale ne fosse stata accertata la corruzione e la vessazione?».
  • Abdo Shehatah: «Non passa giorno senza che gli ebrei dimostrino di essere l'unica vera democrazia in questo angolo del mondo».
  • Saad Sayad: «La Legge è sopra tutto: è questa la democrazia. E Israele è l'unica vera democrazia del Medio Oriente».

* Arabs: We Want Democracy - Like Israel
su Gatestone Institute.

lunedì 19 maggio 2014

Che brutta giornata, per i palestinisti...

È un brutto momento per i "palestinisti"; insomma, non per i palestinesi in quanto tali, che non da oggi devono subire un regime intento più ad autoperpetrarsi e a tendere ad Occidente il braccio con il palmo della mano rivolto verso l'alto, che non a impiegare l'oceano di liquidità su cui galleggiano per risolvere i problemi della popolzione; ma per tutti quelli che ammiccano, adulano e sponsorizzano questo mondo. Ilblogdibarbara ha proposto un interessante testo, che documenta le conseguenze nefaste e le distorsioni al sistema provocati degli "aiuti finanziari" alle popolazioni dell'Africa. Non si fa fatica a credere che l'approccio paternalistico adottato dal Dopoguerra ad oggi nei confronti della questione dei "profughi" palestinesi - nel frattempo moltiplicatisi dai 500 mila originari ai 5-6 milioni di oggi - abbia esacerbato la questione, anziché risolverla. Ma stiamo sul leggero...

mercoledì 14 maggio 2014

Kerry e Indyk hanno spinto Abbas fra le braccia di Hamas

di Harold Rhode e Joseph Raskas*

I palestinesi sostengono che per i musulmani, i territori palestinesi si estendono dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo): includendo tutto l'attuale Israele. Secondo il loro punto di vista, Tel Aviv sarebbe un territorio illegalmente occupato, al pari degli insediamenti ebraici nel West Bank. Questa visione è corroborata dalla visione musulmana, profondamente radicata nella giurisprudenza islamica denominata Waqf, secondo cui ogni territorio una volta sotto il controllo dei musulmani, deve essere per sempre controllato da musulmani. Secondo il diritto islamico, «Se una persona rende qualcosa "Waqf", essa cessa di essere di proprietà di quella persona, e ne' egli ne' chiunque altro può donarla o venderla ad altre persone».
Sfortunatamente, la premessa sulla quale si poggiavano i negoziati promossi dagli americani - capeggiati dal Segretario di Stato John Kerry e dall'inviato speciale Martin Indyk - è in completa antitesi con la premessa sulla quale si basano i negoziati in Medio Oriente. Gli americani sembrano credere che tutti i problemi siano risolvibili: se non si consegue una soluzione, vuol dire che non si è provato abbastanza. Generalmente, sono preparati a raggiungere un compromesso su alcuni temi, per conseguire aspetti specifici a cui sono maggiormente interessati. Quando ambo le parti raggiungono l'intesa, gli americani generalmente sono pronti a mettere da parte i vecchi accordi. Fornendo concessioni, nessuna delle parti rischia di compromettere la propria reputazione. Ma in Medio Oriente non funziona così: questa concezione è inammissibile in una logica da "chi vince si prende tutto" che domina in questa parte del mondo.

sabato 10 maggio 2014

In Medio Oriente occorre ora realismo

di Emanuele Ottolenghi*

L'ennesimo tentativo di Obama di persuadere Israele e Autorità Palestinese (ANP) a raggiungere uno storico accordo di pace è svanito. Prevedibilmente, adesso è iniziato il gioco del rimpallo di responsabilità. Aggiungendo un altro capitolo all'arcinoto copione di insuccessi in Medio Oriente, stavolta l'amministrazione Obama ha scelta di sposare la reazione istintiva dell'alleato europeo puntando il dito contro Gerusalemme, nel momento in cui Israele ha pubblicamente biasimato il segretario di Stato USA Jon Kerry.
Senza dubbio ogni tentativo ha le sue qualità peculiari: il consueto mix di tempistica scellerata, scontro di personalità ed eventi esogeni imponderabile che rendono ogni round di negoziati argomento di riflessioni, dibattiti, resoconti e recriminazioni. Tuttavia ci sono degli elementi che accomunano questi tentativi, se si prescinde da nomi e date: oggi l'inviato speciale USA Martin Indyk, in passato George Mitchell; ma dinamiche, opposizioni e conclusioni sono sempre le medesime.

venerdì 9 maggio 2014

Sull'amore degli arabi per i palestinesi

Gli arabi sono storicamente molto più dediti a sabotare in ogni modo e con ogni mezzo Israele; che non a preoccuparsi delle sorti dei "fratelli" palestinesi. Che da decenni vivono in luridi campi profughi in Egitto, in Siria, in Giordania, e nello stesso West Bank: senza cittadinanza, senza diritto, senza possibilità di esercitare diverse professioni, in condizioni penose di dipendenza economica e sudditanza psicologica dei paesi ospitanti. Se non carne da cannone, massa disperata da utilizzare cinicamente contro lo stato ebraico.
Di tanto in tanto si registrano episodi confortanti; ma si tratta di eccezioni alla regola, prontamente stroncate e neutralizzate da chi non è interessato alla normalizzazione. Il mese scorso un professore palestinese, Mohammad Dalani, ha condotto una scolaresca di 27 ragazzi in visita guidata ad Auschwitz. Un'esperienza come sempre toccante, che se da un lato ha aperto gli occhi a questi fortunati giovani palestinesi; dall'altro ha messo in una scomoda posizione il docente: espulso dall'associazione degli insegnanti a causa della sua visita al campo di prigionia in Polonia. Il suo comportamento «contravviene le norme e la politica dell'organizzazione»: un modo elegante per ricordare che non ci si può opporre al boicottaggio accademico e culturale che l'unione degli insegnanti ha sancito.

mercoledì 7 maggio 2014

I palestinesi non hanno mai inteso perseguire la pace

I palestinesi non hanno mai avuto alcuna intenzione di discutere seriamente di pace con le controparti israeliane. Malgrado ripetuti incontri ad alti vertici, nonostante l'impegno profuso dalla delegata israeliana Tzivi Livni, e malgrado la febbrile mediazione di John Kerry - che ha irrorato mezzo mondo con l'anidride carbonica profusa nei nove mesi di negoziati; Abu Mazen e soci avevano bene in mente l'obiettivo finale: ottenere quanto più possibile, prima di ritirarsi inesorabilmente dai negoziati, accampando la prima giustificazione valida.
La "politica del salame" - tagliarne una fetta sottile alla volta, fino a farne rimanere poco o niente - ha consegnato a Ramallah diverse diecine di criminali, liberati dalla carceri di Gerusalemme e glorificati al loro ritorno in patria, oltre a molte cambiali in bianco sottoscritte in questi mesi da un ingenuo Occidente. Era puerile credere che l'intesa strategica annunciata fra Al Fatah e gli estremisti di Hamas fosse maturata nel giro di poche ore: quelle successive al rifiuto di Abu Mazen di prolungare i negoziati agli sgoccioli, in cambio della disponibilità israeliana di liberare l'ultima tranche di detenuti. Da buon giocatore di poker, il presidente eletto nove anni fa alla presidenza dell'ANP e mai più sottopostosi al giudizio degli elettori, giocava su due tavoli: ad uno fingeva di discutere con le controparti, cercando di aumentare ad ogni giro la posta per prendere tempo; all'altro concordava l'intesa con gli integralisti islamici che governano col terrore dal 2007 la Striscia di Gaza.

martedì 6 maggio 2014

I palestinesi celebrano i terroristi con sobrio distacco


Qualche giorno fa il governo di Gerusalemme ha consegnato a Ramallah i resti di Ezzedin Al-Masri, il terrorista palestinese che nel 2001 si fece saltare in aria nella pizzeria Sbarro a Gerusalemme, provocando la morte immediata di 15 persone, fra cui ben 7 bambini. In passato l'ANP ha celebrato Ahlam Tamimi, che segnalò il luogo dell'attentato perché solitamente ben affollato, e condusse personalmente l'attentatore sul luogo.

Barbari ad Auschwitz


D'accordo che la mamma degli stupidi è abitualmente gravida; ma qualcuno dovrà pur provvedere affinché la signora sia dotata di efficaci presidi contraccettivi. Ci risiamo: ancora una volta il museo di Auschwitz è stato vandalizzato da gente che non si sa bene se appartenga alla categoria degli idioti occasionali, o a quella dei sabotatori antisemiti sistematici e patologici. Il Telegraph riportava ieri la denuncia di ripetuti furti di oggetti presenti nel campo profughi che ha testimoniato la morte di oltre un milione di ebrei prima durante la Seconda Guerra Mondiale. Propenderemmo per classificare gli autori nella prima succitata categoria, poiché - nel perfetto stile delle gite scolastiche infantili - non manca chi ha lasciato un ricordo indelebile della sua presenza, scrivendo sui muri e marcando sulle panche su cui le vittime della Shoah hanno dormito, effigi memorabili del tipo "Tizio è stato qui" (che forse male non gli avrebbe fatto). Se non fosse che siamo abituati da tempo a rilevare come una parte della teppaglia nazista e antisemita tenti di banalizzare, ridicolizzare e normalizzare il ricordo dell'Olocausto con questi patetici mezzi.

lunedì 5 maggio 2014

Come funziona Pallywood

In alto, l'immagine diffusa dai media internazionali - sempre ben presenti sulla scena; chissà come mai: mica ci sarà qualcuno che li convochi anzitempo, giusto prima della messinscena - in cui si scorge un militare (presumibilmente israeliano) intento a percuotere un civile (ancora una volta presumibilmente palestinese) inerme. Ferma e inappellabile la condanna dell'opinione pubblica; se mai fosse stato necessario ribadirla o emendarla.
In basso, la scena uncutted uncut, in cui si scorge un militare atterrato, sopraffatto - e apparentemente incapace di difendersi - da un civile non così pacifico, trattenuto a stento da un altro militare.
Scene di questo tipo sono comuni nei territori contesi fra israeliani e palestinesi. Ma la sapiente mano dei divulgatori di diffamazioni interviene prontamente. Dopotutto, un'immagine vale molto più di mille parole, no?

La scomoda verità


Fino a stasera in Israele si celebra lo Yom haZikaron (Giorno del Ricordo), con cui si commemorano le oltre 25 mila vittime militari, e i 2500 civili periti per mano del terrorismo palestinese, e a causa delle guerre scatenate dagli stati arabi circostanti. Nello stato ebraico ieri sera sono risuonate strazianti le sirene, che hanno invitato tutti ad un minuto di silenziosa commemorazione.
È un peccato che l'onorevole Vendola abbia dovuto lasciare il Medio Oriente così presto. Avrebbe partecipato ad un momento toccante di vita israeliana, che in modo toccante passa dalla celebrazione del ricordo e del dolore; a quella - stasera - del festeggiamento dell'indipendenza nazionale; in un passaggio simbolico dalla morte alla vita.
Ci prendiamo la licenza di pubblicare una lettera aperta, inviata da Angela Polacco, Cecilia Nizza e  Giovanni Quer, al leader di SEL - per il tramite de l'Unità - che negli ultimi giorni ha avuto parole assurde e sconcertanti nei confronti di Gerusalemme; sperando di non urtare la legittima suscettibilità degli autori.

domenica 4 maggio 2014

Brevi dal Medio Oriente

Le speranze di pace fra israeliani e palestinesi sono state cinicamente affossate dall'intransigenza di Abu Mazen, che da un lato ha disatteso gli impegni dello scorso anno aderendo ad una serie di organizzazioni internazionali, e dall'altro ha imposto nuove irricevibili condizioni per continuare sterilmente a discutere con Gerusalemme. Ma ciò non impedisce al piccolo stato ebraico di cimentarsi in piccoli gesti quotidiani di buona volontà.
Un giovane palestinese questa mattina è stato soccorso dalla polizia di frontiera, dopo essersi procurato una frattura nel tentativo di entrare illegalmente in Israele scavalcando la recizione di confine. Il tentativo maldestro, compiuto da altezza considerevole, è finito male: con una gamba rotta e una copiosa emorragia, provvidenzialmente contenuta dal pronto intervento di un medico dell'esercito israeliano. L'intervento ha salvato la vita al giovane, che cercava di raggiungere Gerusalemme per cercare lavoro.