martedì 22 ottobre 2013

Venticinque volte il Piano Marshall

Non si smorza l'indignazione per la recente scoperta del tunnel costruito da Hamas fra la Striscia di Gaza e l'Israele meridionale. Realizzato in cemento made in Israel, e lungo quasi due chilometri, la galleria avrebbe condotto i terroristi alle soglie dell'asilo infantile di un kibbutz ben all'interno del territorio israliano, con una diramazione scoperta successivamente, che doveva prendere alle spalle una postazione dell'esercito israeliano.
Una circostanza prevista. Nel 2010 l'intelligence israeliana avvisò il governo di Gerusalemme circa i pericoli derivanti da un "uso improprio" del cemento da parte dell'organizzazione terroristica che governa l'enclave palestinese dal 2007. Ciò malgrado, a novembre 2011 il ministero della Difesa autorizzò l'invio di cemento a Gaza, destinato originariamente alla costruzione di 75 complessi scolastici gestiti dall'UNRWA, la facoltosa agenzia ONU che si dovrebbe occupare dei discendenti dei "profughi palestinesi" (gli arabi superstiti che furono persuasi dalle nazioni belligeranti vicine a lasciare Israele nel 1948 sono secondo le stime circa 35 mila).
Quelle scuole non hanno mai visto la luce. Non a caso: si stima che per la costruzione del "tunnel del terrore" sono occorsi 18 mesi di febbrile lavoro. Incoraggiate dai copiosi finanziamenti del New Israeli Fund, l'organizzazione che beneficia del denaro di George Soros, le ONG hanno esercitato una continua opera di persuasione nei confronti delle autorità israeliane, che soltanto pochi giorni prima della scoperta hanno annunciato gioiose l'incremento delle forniture giornaliere di cemento e altri materiali da costruzione.
A questo punto, biasimo ricada sull'esercito israeliano, responsabile del blocco di un'opera di ingegneria "civile" che ha contribuito al boom economico della Striscia di Gaza. Un "boom" riuscito soltanto parzialmente.
Su Brown Political Review una nuova disamina dell'operato dell'UNRWA a Gaza: un'agenzia che di fatto rappresenta il braccio operativo delle organizzazioni antisioniste. Non potrebbe essere diversamente: avendo ricevuto aiuti finanziari pari a 25 volte le somme stanziate dopo la II Guerra Mondiale in Europa dal Piano Marshall, i palestinesi dovrebbero beneficiare oggi di un tenore di vita non inferiore a quello della Svizzera, o del Qatar. Così non è. Che impiego è fatto di tutto il denaro che gonfia annualmente il portafoglio dell'UNRWA?
L'UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees) è un'agenzia incaricata di guidare e coordinare l'azione internazionale finalizzata alla protezione dei rifugiati, risolvendo la questione dei rifugiati di tutto il mondo. Per essa è rifugiato qualcuno che "nutrendo un fondato timore di essere perseguito a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un particolare gruppo sociale o orientamento politico, si trovi al di fuori del paese da cui proviene, e non sia in grado ovvero, a causa di questo timore, non sia disponibile ad avvalersi della protezione di questo stato". L'UNHCR opera in oltre 125 nazioni, e fornisce assistenza a circa 33.9 milioni di persone richiedenti asilo.
E poi ci sono i rifugiati palestinesi: gente che non proviene da alcuno stato. Per essi, lo stato di rifugiato è trasmesso ai figli. Per essi, essere titolari della condizione di rifugiato non ha fatto altro che perpetrare angoscia e malcontento. E soltanto per essi, è stata istituita una apposita agenzia ONU che rafforza e asseconda questa condizione.
L'UNRWA (UN Relief and Works Agency) è un'organizzazione costituita dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1949. Il mandato è di "fornire sostegno, sviluppo umano e servizi di assistenza" ai rifugiati palestinesi. L'UNRWA definisce i rifugiati come "persone il cui luogo abituale di residenza era la palestina durante il periodo compreso fra il 1° giugno 1946 e il 15 maggio 1948, e che hanno perso dimora e mezzi di sostentamento in conseguenza della guerra del 1948". Si accede allo stato di rifugiato avendo vissuto nelle zone riguardate dalla guerra arabo-israeliana del 1948 per almeno due anni, o se sfollati dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, o se in grado di dimostrare discendenza da palestinesi di sesso maschile. L'UNRWA sostiene che due milioni in possesso di piena cittadinanza in Giordania, in Siria e in Libano, sono comunque da considerare rifugiati, incoraggiando essi a manifestare un "diritto al ritorno" in quello che è l'attuale Israele.
Mentre l'UNHCR enfatizza i "fondati timori" e il bisogno di "protezione" che genera la popolazione di rifugiati; l'UNRWA rasenta il linguaggio della vittimizzazione. I rifugiati palestinesi sono definiti per successione anziché per storia. Nonostante un mandato umanitario, la reale finalità dell'UNRWA è politica: il popolo palestinese, secondo un recente studio del Jerusalem Institute of Justice, hanno ricevuto pro capite, in termini reali, 25 volte gli aiuti ricevuti dalle genti dell'Europa Occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale dal Piano Marshall. Da allora, oltre 50 milioni di persone in tutto il mondo sono state allontanate dalle rispettive residenze; ma l'attenzione si è focalizzata soltanto su 700 mila palestinesi.
L'UNRWA sostiene di essere attiva a livello umanitario, nella tutela dei diritti umani e nello sviluppo economico, con sforzi non meglio precisati «nell'istruzione, nella sanità, nei servizi sociali, nelle infrastrutture e nella microfinanza». L'obiettivo sarebbe quello di aiutare i rifugiati nel conseguire un fantomatico «pieno potenziale nello sviluppo umano, in attesa di una soluzione della loro condizione». Pur tenuto conto del linguaggio diplomatico, sia le reali intenzioni sia l'impatto della loro opera restano dubbi ed ambigui. Al di là dell'obiettivo del sostegno umanitario immediato, tuttavia, sembra probabile che l'UNRWA abbia una inclinazione politica. Per cui la domanda che ci si pone è: a vantaggio di chi?
La destinazione dei fondi a disposizione riflette la natura politica, che contrasta con l'enfasi posta sulla missione umanitaria. Mentre la voce "miglioramento dei campi" rifuguati beneficia del 2% delle donazioni, all'istruzione è destinato il 57% dei fondi, il che forse suggerisce una visione più a lungo termine per crescenti generazioni alimentate da montante malcontento, che non un oggettivo miglioramento delle condizioni dei rifugiati.
Un aspetto che chiarisce la natura politica consiste nel rilevare i beneficiari del sostegno fornito dall'UNRWA. Il bilancio del 2012 ammonta a 908 milioni di dollari. Sebbene la retorica dell'appoggio permanente della "causa palestinese" da parte del mondo islamico possa indurre a ritenere che l'UNRWA sia finanziata principalmente dai paesi musulmani, l'agenzia ONU è quasi interamente finanziata dall'Occidente: Stati Uniti, Unione Europea, Regno Unito, Norvegia, Svezia, Olanda e Giappone; i quali hanno versato complessivamente 644,7 milioni di dollari, pari al 71% del bilancio annuale. Gli USA risultano il principale donatore, con un contributo nel 2011 pari a 239 milioni di dollari, seguiti dall'Europa con oltre 175 milioni.
Dove ritroviamo gli stati islamici? il donatore più munifico risulta l'Arabia Saudita, che si colloca al 15esimo posto: questo facoltoso stato risulta meno generoso di un piccolo stato come l'Olanda. Segue la Turchia, al 18esimo posto, con un contributo di appena 8 milioni. Il Qatar, che non disdegna di dilapidare milioni nella costruzione di nuovi stadi, non versa neanche un centesimo all'UNRWA. Richard Behar, un giornalista di Forbes, ha denunciato in un articolo che «gli stati arabi produttori di petrolio avrebbero da tempo potuto trasformare i territori palestinesi, dove vivono i loro fratelli, in un modello di stato moderno. Invece, hanno consentito che il conto fosse pagato dalle nazioni occidentali, con denaro che in larga misura si è disperso o ha finanziato la corruzione».

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