martedì 15 ottobre 2013

L'uso palestinese della propaganda

Un bambino del Mississipi punito platealmente a scuola per non aver indossato la divisa d'ordinanza dell'istituto. Un esempio di "cattiva scuola", che avrebbe guadagnato a fatica un trafiletto delle pagine interne delle gazzette locali; se non fosse per quella immagine dolorosa e inquietante di un adolescente che esibisce delle raccapriccianti manette. Ma anche in questo caso, al massimo l'effigie avrebbe toccato in Italia il MOIGE; se non fosse che qualcuno coglie al volo l'occasione, e presenta l'immagine come quella di un bambino palestinese, detenuto nelle carceri israeliane. Aggiungendo: «Questa è l'età dei bambini palestinesi prigionieri; è democrazia questa?» (grazie a "Sionismo: istruzioni per l'uso", per la segnalazione).

Questo ennesimo esempio di mistificazione ad uso e consumo di un pubblico particolarmente orientato verso la creduloneria quando si tratta di diffamare Israele, di cui abbiamo avuto ampie manifestazioni durante l'operazione "Pillar of Defense" - durante la quale immagini strazianti di bambini siriani vittima del regime di Assad, erano spacciate come realizzate a Gaza - rilancia il problema della propaganda palestinese. Che non si fa scrupolo nel distorcere la verità, nell'inventare di sana pianta falsificazioni, nell'estrapolare grettamente dal contesto - ci sono adolescenti arrestati; ma sono i medesimi che pochi istanti prima, già abbastanza adulti da scagliare oggetti contundenti, attentano alla vita di malcapitati e innocenti civili - e nell'omettere colpevolmente particolari rivelatori. Come sempre, la responsabilità di una condotta esecrabile è condivisa da una platea troppo intenta ad ammirare il proprio ombellico, da non voler scorgere la verità con una minima dose di ragionevolezza e buon senso. In questo contesto la dirigenza palestinese ci sguazza; potendo continuare indisturbata ad attingere a generosi finanziamenti occidentali, a rubare, a corrompere, ad amministrare in modo inefficiente, a perpetrarsi e ad ammassare ricchezze a discapito degli stessi palestinesi.


Michael Curtis, su American Thinker, illustra sapientemente l'uso dello strumento della propaganda da parte dei palestinesi:

L'uso della propaganda affonda le sue radici nel passato, risalendo ai persiani nel VI secolo a.C. La stessa parola si fa risalire agli inizi del XVII secolo, quando a gennaio 1622, il Papa Gregorio XV istituì la "Congregazione per la Propagazione della Fede", il cui obiettivo era di opporsi alla riforma protestante. In generale, la propaganda consiste nell'impiego della comunicazione per influenzare le sensazione, le attitudini e le opinioni del pubblico; nel tentativo di indurre esso ad accettare un determinato punto di vista politico, religioso o economico. Nelle società democratiche come in quelle illiberali, implica la manipolazione consapevole delle opinioni di queste società.
Questa manipolazione di solito è diretta verso le emozioni piuttosto che nei confronti del pensiero. Nelle sue versioni più estreme, la propaganda prende le sembianze di una enorme bugia, o della ripetizione ossessiva di una visione degli eventi o di una storia, che induce o incoraggia un certo comportamento. Fu Adolf Hitler a spiegare questo tipo di manipolazione quando scrisse «la più efficace tecnica propagandistica non potrà nulla, a meno che si fissi bene a mente un aspetto fondamentale: deve soffermarsi su pochi aspetti, da ripetere ossessivamente». Questa tecnica prende diverse sembianze, fa appello alla paura e al pregiudizio, poggia sulla disinformazione e sulla evidenza di falsificazioni o documenti falsi, sulla verità selettiva, sul capro espiatorio e sulla demonizzazione dell'avversario.
Argutamente, l'impiego della propaganda da parte dei palestinesi per guadagnare l'approvazione e il sostegno politivo è stato uno dei capisaldi del loro successo. La narrativa palestinese delle "vittime", con la falsificazione della storia e della politica, il raffigurarsi non solo come vittime innocenti, ma anche come le più impellenti nel mondo, il suo porre in essere delle messinscene per demonizzare Israele per atrocità che essi stessi conducono, la sua concentrazione deliberata di millantate ferite o morti di bambini, e il suo conseguimento dell'obiettivo di indurre l'opinione pubblica ad accettare e divulgare la manipolazione del linguaggio e delle vicende, sono parte integrante del successo palestinese nella guerra di propaganda.

Questo successo è comprovato dal fatto che una significativa porzione dell'opinione pubblica in Europa accetta la menzogna palestinese secondo cui Israele starebbe conducendo addirittura un processo di "sterminio" nei confronti dei palestinesi (NdT: il cui numero però misteriosamente cresce nel corso degli anni, salendo nel 2013 a 4.5 milioni di individui - fra West Bank e Striscia di Gaza; di cui il 60% di età inferiore ai 24 anni), a fronte della reiterata e conclamata volontà della leadership palestinese di eliminare lo stato di Israele. Lo stato ebraico, unica democrazia liberale del Medio Oriente (NdT: uno stato dall'estensione di una regione italiana come la Puglia), è ritenuto responsabile dei problemi non solo di tutta l'area mediorientale, ma anche del mondo intero.
Di converso, i palestinesi si raffigurano come abbandonati e vittime della brutalità e del colonialismo israeliano. Questa immagine è proposta in diversi modi, ma principalmente attraverso tre veicoli: usando bambini palestinesi, costruendo messinscene e falsificando la realtà, spesso con la complicità di giornalisti occidentali simpatizzanti, che raffigurano i palestinesi come vittime innocenti della crudeltà israeliana; ed infine distrorcendo la cronistoria degli eventi storici e politici che riguardano ebrei e arabi.

L'industria della falsa notizia è diventato ormai parte integrante della realtà palestinese. Si dice spesso che un'immagine vale più di mille parole. L'aspetto più diabolico della propaganda palestinese è il suo uso - se non abuso - dei bambini, usati come comparse su un set. I palestinesi indugiano spesso su questa tecnica, impiegando foto di bambini feriti o uccisi in altri conflitti, spacciati per vittima del fuoco israeliano. I media occidentali si rivelano spesso impazienti di usare queste immagini, o sono indotti in tal senso, generando compassione per i palestinesi e al contempo avversione per gli israeliani. I giornali e il pubblico spesso ignorano la realtà, e per ironia della sorte spesso questi bambini risultano feriti o uccisi da missili sparati dalla stessa Hamas nei confronti dei civili israeliani.
Quello di utilizzare i bambini è stato probabilmente lo strumento più impiegato nella propaganda ai danni di Israele. Fu Yasser Arafat a gennaio 2002 a celebrarne in vantaggi quando osservò: «il bambino palestinese che impugna una pietra, e che affronta un cingolato, non è forse un potente messaggio al mondo, in cui l'eroe diventa un "martire"?», mostrando la foto di un quindicenne che scaglia una pietra contro un carro armato, salutandolo come «il nostro eroe: il martire». Arafat ha così incoraggiato altri adolescenti ad aggredire i soldati: i ragazzi spediti al fronte, oppure a scagliare pietre contro auto di passanti terrorizzati attraggono le telecamere di tutto il mondo.
L'esempio più illuminante di utilizzo di bambini è il presunto incidente ai danni di Mohammed al-Durah, il bambino palestinese che sarebbe stato ucciso dal fuoco israeliano a settembre 2000. Gli "obiettivi del fuoco israeliano" è un documentario-inchiesta dal vivo diffuso da un reporter francese, Charles Enderlin, in cui il ragazzino e suo padre sarebbero raggiunti dagli spari israeliani. Enderlin non era sul posto, ma ha preso come buona la versione di parte palestinese. La diffusione e accettazione di questa versione da parte dai media di tutto il mondo ha provocato un'ondata di violenze ai danni degli israeliani.
Tuttavia, la vicenda era falsa: si trattava di una bufala, con immagini create ad arte ingegnate da attivisti filo-palestinesi, come Richard Landes e tanti altri hanno documentato. Semmai al-Durah fosse rimasto ucciso, come appare dubbio, lo sarebbe stato casomai proprio per il fuoco palestinese. Ma le immagini di questo ragazzo sono state usate in tutto l'Occidente così come nel mondo musulmano per dipingere l'immagine di un Israele criminale, equiparato addirittura alla Germania nazista.
Le accuse di criminalità spuntano in più occasioni. Ad aprile 2013 il quotidiano russo Komsomolskaya Pravda ha pubblicato una falsa notizia, basata sulle accuse di un criminale palestinese rilasciato da una prigione israeliana. Questo soggetto accusò il carcere di iniettare nei detenuti palestinese pericolosi virus, prima di rimetterli in libertà. L'ex detenuto arrivò a denunciare di soffrire di gravi malattie, dal cancro alla vescica ad epatopatie, indotte dalle torture subite. Evidente il nesso simbolico fra queste farneticazioni e l'accusa del sangue rivolta nei confronti degli ebrei.
Un'altra foto taroccata, pubblicata originariamente da Reuters nel 2006, raffigurava una bambina palestinese data per morta durante uno strike aereo israeliano a Gaza, nell'ambito dell'operazione "Pillar of Defense". Nella realtà la bambina è perito cadendo in una scarpata. È uno dei tanti avvenimenti distorti dalla propaganda palestinese, e ben noti a tutti.
La campagna diffamatoria antiisraeliana si è soffermata su una serie di falsi rilievi. Il Sionismo, inteso come movimento nazionale ebraico, e quindi lo stesso Israele, è definito coloniale e oppressivo. Israele sarebbe uno "stato razzista" responsabile delle condizioni in cui versano i palestinesi, e in particolare del problema dei rifugiati. Israele avrebbe addirittura usurpato i diritti, le terre e le risorse naturali dei palestinesi, distruggendo i luoghi sacri dell'Islam. La propaganda va avanti mostrando false accuse e reiterando lo schema del vittimismo palestinese. Questo espediente ha beneficiato e potrà continuare a beneficiare dell'approvazione internazionale, ma se non trova riscontro nella realtà, le sue ripercussioni devastanti e la mancanza di riscontro faranno perdere la battaglia per una soluzione pacifica al conflitto arabo-israeliano.

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