mercoledì 28 agosto 2013

Chi finanzia i campi dell'odio a Gaza?

di Paul Alster*

Sin dalla tenera età di 5 anni i bambini palestinesi apprendono l'odio per gli ebrei, l'esaltazione del martirio e il sostegno per la jihad; e, secondo un recente studio, un'agenzia dell'ONU finanziata dai contribuenti sostiene lo sforzo.
La United Nations Relief and Works Agency (UNRWA) ospita i campi estivi in cui i bambini palestinesi sono indottrinati: stando al documentario dal titolo "Camp Jihad: Inside UNRWA Summer Camp Season 2013”. Oltre ad apprendere espressioni di odio, ai bambini è insegnato che Israele è cosa loro: «i bambini apprendono i nomi di molti villaggi, e non solo delle grandi città come Gerusalemme», afferma Amina Hinawi, identificata dal documentario come responsabile di un campo UNRWA a Gaza. «In questo modo ogni bambino è motivato a fare ritorno al proprio villaggio».
L'indottrinamento dei piccoli palestinesi non è nulla di nuovo, ma il documentario ha suscitato il biasimo degli israeliani a causa del ruolo attivo rivestito dalle Nazioni Unite. Secondo lo stesso sito dell'UNRWA, gli Stati Uniti sono il maggior finanziatore di questa attività, con una elargizione di 232 milioni di dollari soltanto nel 2012; seguono l'Unione Europea (204 milioni) e il Regno Unito (68 milioni).

venerdì 23 agosto 2013

Quel lavoro ancora da completare...

Con un po' di perizia, pazienza e fortuna, gli italiani hanno appreso ieri dell'attacco lanciato da formazioni paramilitari palestinesi (si tratta del FPLP) dal sud del Libano, dal campo profughi palestinese di Tyre verso le comunità abitanti nel nord di Israele. Un razzo è stato intercettato dall'Iron Dome, gli altri tre sono caduti senza provocare fortunatamente vittime (ma i danni, chi li paga?)
Immediata l'opera di generosa disinformazione delle redazioni online dei giornali italiani, che hanno anteposto l'inevitabile reazione dell'aviazione israeliana all'aggressione, addirittura collocandola prioritariamente rispetto al genocidio in Siria e alla sofferta presa di posizione delle Nazioni Unite. Come se difendere la popolazione dagli attacchi terroristici sia più deprecabile di 100 mila morti, di cui diverse centinaia - a quanto pare - vittime soltanto l'altro ieri di gas nervino. E ieri, leggiamo, 27 palestinesi residenti in un campo profughi siriano sono rimasti vittima di un nuovo attacco aereo dell'esercito di Assad; ancora una volta, clamorosamente senza che ciò sia stato riportato (Assad a quanto pare non è ebreo: è appurato e accertato. Dunque, non interessa ad alcuno che abbia ucciso inermi palestinesi).

giovedì 22 agosto 2013

I Tamarod sconfiggeranno Hamas?

Il movimento terroristico islamico che governa la Striscia di Gaza dopo il sanguinoso colpo di stato del 2007 (Israele si è disimpegnata dall'enclave palestinese giusto otto anni fa, come è noto a tutti), sta vivendo momenti di grande difficoltà. Messa a dura prova dall'avvento al potere dei Fratelli Musulmani un anno fa al Cairo, di cui pure sono una filiazione, Hamas non ha visto soltanto le proprie entrate collassare assieme alle centinaia di tunnel che l'esercito egiziano ha sbriciolato per ordine del deposto presidente Morsi. Le ripetute chiusure del valico meridionale di Rafah, giustificate dai continui attacchi subiti dalle forze militari egiziane nel Sinai ad opera di bande di terroristi islamici, fanno dipendere la Striscia di Gaza dal vicino Israele per l'approvvigionamento di generi alimentari, medicinali, farmaci, materiali da costruzione, giocattoli, tessuti, fertilizzanti e via discorrendo. Soltanto ieri, ad esempio, l'IDF ha gestito il transito verso Gaza di 216 camion, trasportanti 5662 tonnellate di beni; fra cui 180 tonnellate di frutta. Un brutto smacco, per Hamas, che punta molto sull'odio verso il governo di Gerusalemme per cementare il suo traballante consenso nei confronti della popolazione locale. La retorica dell'"assedio", della "prigione a cielo aperto", che in passato ha fatto una certa presa su una parte dell'opinione pubblica, crolla sotto il peso dell'evidenza di un carceriere della stessa etnia del carcerato.

mercoledì 21 agosto 2013

Gonfiato il numero dei "rifugiati" palestinesi


Secondo le stime ufficiali, la guerra fra Israele e stati arabi del 1948-49 ha prodotto circa 711 mila rifugiati arabi palestinesi. Per mettere questo dato in prospettiva, si consideri che dal 1948 all'inizio degli anni Settanta si contano circa 850 mila rifugiati ebrei, in uscita dagli stati arabi.
Un pertinente documento dell'assemblea generale delle Nazioni Unite, datato 23 ottobre 1950, così si esprime a proposito del problema dei rifugiati palestinesi: «la stima degli esperti di statistica, ritenuta attendibile, indica che i rifugiati in uscita dai territori controllati dagli israeliani, ammonti a circa 711.000 unità».
Se da un lato si stima che qualcosa come 30-50 mila arabi palestinesi siano ancora viventi, rispetto a questo dato; la UNRWA (United Nations Relief and Works Agency) consente a figli, nipoti, pronipoti e discendenza all'infinito dei rifugiati effettivi di continuare a fregiarsi di tale titolo. Per cui, sulla base di questa pratica (unica al mondo: in nessun altro stato al mondo i discendenti dei rifugiati conservano lo status dei loro genitori, NdT), si calcolano oggi ufficialmente 4.9 milioni di palestinesi che possono vantare la condizione di "rifugiato", accedendo ai relativi benefici.

martedì 20 agosto 2013

Perché gli israeliani devono pagare un prezzo per la pace così alto?

In crisi di readership e viewership, i giornali e i media globali si stanno riciclando in altri impieghi. Rischiando di essere condannati per concorrenza sleale ai danni dei produttori delle Fave di Fuca, di Activia e di altri apprezzati contributori al "transito intestinale", i giornalisti filoarabi della BBC hanno proposto qualche giorno fa le placide immagini dei 26 terroristi rilasciati dal governo israeliano come "gesto di buona volontà" (leggasi: sottomissione alle pressioni di Washington) nell'ambito dell'ennesimo abbozzo di processo di pace, di cui fortunatamente abbiamo perso le tracce per non essere interessati nostro malgrado da questa attività di sollecitazione della funzione intestinale di cui sinceramente non abbisogniamo.
Si scorgono volti sbarbati, sereni, sorridenti: da perfetti padri di famiglia. Nulla che faccia pensare al sangue grondato dalla mani di questi terroristi incalliti, confessi e impenitenti. Per pietà la BBC ci offre una prospettiva frettolosa del "punto di vista" israeliano: i familiari delle vittime sono ritratti di spalle, esibiscono folte barbe che fa pensare ad essi come a fanatici "ultra-ortodossi", estremisti, e non a genitori, zii e parenti, di ragazzi e in generale di persone comuni (i 3/4 delle vittime del terrorismo palestinese sono civili): tutto, pur di spersonalizzare la vittima, rendendo agevole la minimizzazione e la possibile reiterazione dell'eccidio.