venerdì 15 marzo 2013

Un'agenda per l'Obama mediorientale

Il presidente rieletto degli Stati Uniti tranquillizza l'opinione pubblica mondiale, poco prima di volare in Israele: «non vi preoccupate, sappiamo che l'Iran sta lavorando alla bomba atomica, e che l'otterrà entro un anno. E faremo di tutto per evitarlo». Questo il succo del discorso di Obama, che trova il tempo per cenare con la nuova Miss Israele, la splendida Yityish Aynaw, di origine etiope (l'apartheid non è di casa, nello stato ebraico); ma non trova il tempo di rendere visita alla Knesset, il parlamento di Gerusalemme.
I rapporti fra Obama e Israele non sono mai stati idilliaci, tutt'altro. E la riconferma a fatica a Primo Ministro da parte di Benjamin Netanyahu deve essere costata non poca irritazione al presidente americano, che in cuor suo sperava in un ridimensionamento più drastico.
Ma c'è chi può azzardarsi di formulare suggerimenti pià qualificati. Khaled Abu Toameh, giornalista arabo israeliano del Jerusalem Post, ieri sul sito del Gatestone Institute suggeriva alcuni punti al presidente Obama. Nessuno si aspetta che il processo di pace faccia concreti passi in avanti; anzi, sarà un miracolo se lo status quo resterà invariato. Ad ogni modo, non sarà una cattiva idea dare una scorsa a questo decalogo, mentre l'Air Force One attraverserà l'Atlantico...

1. Qualunque accordo sottoscritto fra Israele e Autorità Palestinese (AP) sarà respinto da un consistente numero di palestinesi; specie quelli che continuano a pretendere un "diritto al ritorno" nei villaggi dove hanno abitato alcune generazioni fa i loro discenenti.
2. La maggior parte del mondo arabo e musulmano respingerebbe un accordo fra Israele e AP, specie all'indomani della "primavera araba", che ha visto l'ascesa al potere in diversi stati arabi degli islamici. Non si vede come i Fratelli Musulmani, che ora comandano in Egitto, possano salutare con favore un accordo di pace con "l'entità sionista".
3. Anche qualora uno stato palestinese fosse istituito nel West Bank, Hamas e altri gruppi ne assumerebbero il controllo e, con l'aiuto di Iran e di Al Qaeda, lo trasformerebbero in una piattaforma di lancio per attaccare Israele e gli altri stati confinanti. L'AP controlla il West Bank grazie alla presenza dell'esercito israeliano. Ironicamente, porre fine alla "occupazione" israeliana porrebbe fine anche al governo di Abbas.
4. Molti palestinesi non considerano gli Stati Uniti un arbitro neutrale. Qualunque accordo raggiunto con la collaborazione dell'amministrazione USA sarebbe accolto con enorme diffidenza. Sin d'ora molti attivisti palestinesi stanno orchestrando una campagna sui social network per «impedire ad Obama di dissacrare la terra di "Palestina"». Gli attivisti stanno sollecitando anche «enormi manifestazioni» nel West Bank, per protestare contro la visita di Obama; e stanno approntando le scaroe da lanciare contro il suo corteo.
5. Eccezion fatta per Fatah, tutte le organizzazioni palestinesi - in primis Hamas, la Jihad Islamica, il FPLP e il FDLP - respingerebbero automaticamente ogni accordo di pace con Israele, e questo per varie ragioni: alcuni vorrebbero cancellare lo stato ebraico dalla faccia della Terra; altri credono che Israele non accetterebbe mai le loro pretese, come il ritiro ai confini pre-esistenti la Guerra dei Sei Giorni (ossia le linee armistiziali del 1949), e il rilascio di tutti i criminali palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.
6. I palestinesi sono divisi in due blocchi non solo geograficamente, ma anche ideologicamente. Il primo gruppo è radicale, e non fa alcuna concessione: crede semplicemente che Israele non abbia neanche il diritto di esistere. Il secondo è meno radicale, "moderato"; e non è in grado di adempiere. Non ha nemmeno il controllo dell'intero territorio palestinese, per non parlare del mandato di tutta la popolazione palestinese.
7. Abbas si oppone all'idea di raggiungere un accordo temporaneo con Israele, che porterebbe alla nascita di uno stato palestinese provvisorio sul territorio del West Bank interamente controllato dall'AP.
8. Anche l'AP appare divisa in due fazioni: una capitanata dal primo ministro Salam Fayyad, e la seconda governata dal presidente Abbas. Le tensioni sono montate con le dimissioni del responsabile delle finanze Nabil Qassis: mentre Abbas ha respinto le dimissioni, Fayyad le ha accettate, scatenando una crisi con il presidente dell'AP.
9. Molti palestinesi, incluso Abbas e la leadership dell'AP, si oppongono al ripristino di colloqui di pace con Israele, a meno che sia rilasciato un consistente numero di detenuti palestinesi, sia sospesa l'attività edile israeliana nei territori contesi e nei quartieri orientali di Gerusalemme, e che sia accettata la linea armistiziale del 1949 come confine del futuro stato palestinese.
10. Il presidente dell'AP Mahmoud Abbas non ha un mandato dal suo popolo per raggiungere un accordo con Israele: il suo mandato difatto è scaduto a gennaio 2009, e da allora le elezioni tardano ad essere tenute.

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