domenica 10 febbraio 2013

Abu Mazen: chiedere molto per chiedere niente

Tutti sanno che uno stato palestinese avrebbe potuto sorgere nel 1947, quando l'assemblea generale delle Nazioni Unite approvò la partizione del mandato britannico palestinese in due stati indipendenti: uno ebraico, l'altro arabo. Gli ebrei accettarono, e a maggio dell'anno successivo fu proclamato lo stato d'Israele. Gli arabi rifiutarono, indotti in tal senso dagli stati confinanti, e poco dopo la nascita del nuovo stato ebraico gli mossero guerra, dando luogo alla tragedia di un popolo che si trascina tutt'oggi, facendo la felicità della stessa burocrazia onusiana, che - soltanto a livello di UNRWA - occupa 25000 persone, e dispone di un budget annuale di 1230 milioni di dollari.
Uno stato autonomo palestinese poteva nascere anche prima della Seconda Guerra Mondiale, quando la tragedia dell'Olocausto poteva essere prevista dal crescente antisemitismo, ma era lungi dall'essersi manifestata. Nel 1937 il movimento sionista accettò - mentre il Gran Muftì di Gerusalemme, il nazi-islamico Haj Al Husseini respinse - una proposta di pace in base alla quale lo stato ebraico avrebbe dovuto estendersi su appena il 20% del territorio mandatario britannico, e perdipiù avrebbe dovuto versare allo stato arabo una sovvenzione annuale. Una proposta ancora più vantaggiosa fu formulata nel 1939, quando si ventilò la possibilità di uno stato unico per arabi ed ebrei; ma anche allora il Gran Muftì e il Consiglio Supremo arabo rifiutarono.

Di pace si tornò a parlare concretamente nel 2000, quando Clinton convocò negli Stati Uniti palestinesi ed israeliani. Il presidente USA "impose" una soluzione che prevedeva uno stato palestinese sul 91% dei territori contesi, avente capitale a Gerusalemme Est, e dal budget arricchito da un versamento statunitense di ben 10 milioni di dollari. Il povero Ehud Barak riuscì a contenere le richieste all'87% dei territori contesi, ma quando finalmente la prospettiva di porre fine a questa odissea sembrava a portata di mano; Arafat, con uno dei suoi famosi colpi spettacolari, fece saltare il tavolo e tornò - trionfante - a Ramallah. Più tardi confesserà: «Preferisco essere ucciso dal proiettile di un israeliano che mi considera un nemico, anziché dal proiettile di un palestinese che mi condanna come un traditore»; rivelando il disinteresse per la creazione di uno stato palestinese, e il potere personale come motivazione unica della propria azione politica.
Gli sforzi internazionali e i sacrifici israeliani per giungere ad una pace non si sarebbero esauriti a Camp David. Nel 2008 il premier di Gerusalemme Olmert formulò una proposta che lasciò sconcertata la stessa Casa Bianca. Secondo questa proposta, Israele avrebbe riconosciuto la sovranità palestinese sul 94% dei territori del West Bank, in alcuni casi mediante scambi territoriali, e la creazione di due capitali nella città di Gerusalemme. La proposta si spingeva fino al punto di prevedere un graduale ingresso in Israele di rifugiati palestinesi. I due leader politici si incontrarono, ma Abu Mazen si rifiutò di sottoscrivere l'accordo. E così la pace sfuggì ancora una volta di mano.

Non sorprende che oggi si assista alla solita manfrina: con la leadership palestinese che chiede molto, troppo, al solo scopo di non chiedere niente. E quando il governo israeliano decide di "vedere il bluff", ecco che Abu Mazen si tira indietro con un qualsiasi pretesto, rivelando la scarsa volontà di pervenire finalmente ad una soluzione.
Il 2010 è lontanissimo: allora Gerusalemme accordò a Ramallah il congelamento dell'attività edilizia nei territori contesi: un gesto di buona volontà che avrebbe aperto una finestra temporale di dieci mesi durante i quali le due parti avrebbe finalmente negoziato una pace. Ma nonostante le numerose sollecitazioni in tal senso, Abu Mazen tacque; fino al termine dei dieci mesi, quando tornò a farsi sentire, pretendendo un ulteriore congelamento. Tutto sommato una richiesta mite, visti gli orientamenti di oggi.
Ringalluzzito dal riconoscimento di stato osservatore non membro alle Nazioni Unite, e rancoroso nei confronti del ben più sostanziale riconoscimento di Hamas a Gaza, Abu Mazen alza la posta: non solo chiede la sospensione della costruzione di appartamenti nel West Bank, ma anche il rilascio di tutti i terroristi detenuti nelle carceri israeliani, la possibilità di disporre di un esercito, e ovviamente l'ingresso in Israele di sei milioni di arabi, lontani discendenti dei 600 mila che lasciarono il neonato stato ebraico nel 1948; senza escludere la piena sovranità sui quartieri orientali di Gerusalemme, che sì includono la Moschea della Cupola della Roccia (quella dalla quale secondo la mitologia araba Maometto sarebbe salito al cielo in groppa ad un cavallo alato dalla testa di donna e la coda di pavone) ma anche importanti testimonianze della presenza millenaria ebraica su questi luoghi, che si preferirebbe celare e appena possibile collocare in discarica. Da notare che questo lungo elenco di condizioni sarebbe funzionale non al conseguimento di una pace: e nemmeno pre-condizione all'inaugurazione di negoziati ufficiali; quanto all'instaurazione di un "dialogo", che come è facile immaginare non porterebbe da nessuna parte.
E dire che da parte israeliana c'è la volontà di pervenire ad una soluzione definitiva: ieri il viceministro uscente agli Esteri, Danny Ayalon, ha dichiarato che Israele dovrebbe partire dal pronunciamento delle Nazioni Unite dello scorso novembre per riconoscere unilateralmente uno stato palestinese, nella convinzione che ciò induca l'ANP a fare altrettanto nei confronti dello stato ebraico.
Dati i precedenti, è lecito sospettare che ancora una volta la pace sfuggirà di mano. Mentre Abu Mazen avanzata pretese assurde nei confronti di Israele, trovava il tempo di inveire contro i rivali di Hamas, dominanti a Gaza e prevalenti in Cisgiordania qualora fossero tenuti elezioni politiche, che mancano ormai da diversi anni. Esponenti della formazione terroristica palestinese ed emissari dell'OLP si sono incontrati in Egitto, salvo concludere che non vi è alcuna possibilità di pervenire ad un intesa circa la formazione di un governo unitario e l'indizione di nuove elezioni in tutti i territori palestinesi.
E il mese prossimo il presidente Obama visiterà Gerusalemme e il Medio Oriente. Ufficialmente, non per discutere di un piano di pace fra arabi e israeliani. Meglio così: il piano di pace formulato nel 2009, e sepolto senza rimpianti nei cassetti, si rifaceva al concetto di stato "judenrein" tanto caro ai nazisti e ai loro moderni seguaci...

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