giovedì 22 novembre 2012

Pillar of defense: la tregua (temporanea)

Si continua a sparare, da Gaza, verso l'Israele meridionale: oltre 20 missili sono stati sparati dalla Striscia verso Beersheba, Beer Tuvia, Ashkelon, Ashdod, Sderot e i distretti di Eshkol e Shear Hanegev dopo la tregua iniziata ieri alle 21 (20, ora italiana). A Sderot è suonato l'allarme rosso, mentre le scuole resteranno chiuse anche oggi in un raggio di 45 chilometri da Gaza. Questi attacchi si aggiungono ai 1600 che hanno minacciato quattro milioni di israeliani in otto giorni.
E mentre in Israele ci si guarda perplessi circa la sostenibilità di una tregua a cui in pochi credono, a Gaza si festeggia. Ieri un palestinese è morto, e tre sono rimasti feriti, per i "festeggiamenti" a colpi di pistola per le strade. Naturalmente, anche queste vittime saranno conteggiate nelle responsabilità dello stato ebraico; assieme ai sei abitanti della Striscia brutalmente giustiziati su sospetto di collaborazione col nemico.
Qualcuno presto inizierà a tracciare un bilancio di questa operazione. Sul piano mediatico, la sproporzione con cui i giornali e le TV di tutto il mondo hanno affrontato l'ennesimo capitolo della guerra arabo-israeliana è risultata questa volta ridimesionata, grazie all'efficace opera di informazione e di smascheramento da parte dei social network. Ma sul piano della deterrenza, le operazioni condotte dall'IDF hanno rimosso molte minacce - eliminati 30 capi terroristi di Hamas e del Jihad Islamico e 19 quadri; distrutti 980 piattaforme di lancio sotterranee, 140 tunnel clandestini, 42 basi e 26 depositi di armi e munizioni - ma molte rimangono sul campo. Abbiamo appreso che il terrorismo islamico con sede a Gaza dispone dei temibili missili Fajr-5, di fabbricazione iraniana, giunti qui attraverso il Sudan, e dalla gittata tale da raggiungere agevolmente Tel Aviv. La tregua (hudna, in arabo) permetterà ai fondamentalisti di ricostruire le basi, di ottenere nuove munizioni e di tornare più minacciosi e aggressivi di prima. Da questo punto di vista resta da vedere se l'Egitto in effetti impedirà di utilizzare il deserto del Sinai per far affluire nell'enclave palestinese le munizioni iraniane. Non a caso oggi Ahmadinejad si è congratulato per la pausa nelle ostilità: ciò consentirà al regime degli ayatollah di predisporre nuove forniture; e nel frattempo si proseguirà con la realizzazione dell'atomica, mentre il mondo osserverà compiaciuto il microscopico risultato conseguito nel Vicino Oriente.
La tregua è coincisa con l'arrivo al Cairo del segretario di Stato USA Hillary Clinton, la quale ha precisato che «non ci sono alternative a una pace giusta e duratura», dopo aver convinto il Fondo Monetario Internazionale a staccare un corposo assegno da 4,8 miliardi di dollari a favore della traballante economia egiziana. Nel frattempo Obama ricordava che Hamas è un'organizzazione terrorista con cui non bisogna trattare fin quando non riconosceranno Israele, rinunceranno al terrorismo e rispetteranno i precedenti accordi. Ma intanto l'accordo è stato sottoscritto, e pur restando fragilissimo e della durata di una confezione di latte fresco, la novità è che le parti hanno assegnato dignità e legittimazione ad una organizzazione che sia Unione Europea che Stati Uniti tuttora considerano come terroristica. Altro che 15 anni di tregua, come si ventilava qualche giorno fa; altro che riconoscimento dello stato di Israele e pacifica convivenza. La figura barbina ancora una volta rimediata dall'OLP e dall'ANP non consola: Abu Mazen ha un peso politico ormai prossimo allo zero e la guerra fra Hamas e Israele, con la prima che non ha mai abbracciato la questione palestinese, allontanano ulteriormente la creazione dello stato palestinese.

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