martedì 27 novembre 2012

L'iniziativa palestinese all'ONU allontana il processo di pace

Il prossimo 29 novembre, l'Autorità Palestinese (AP) chiederà all'assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGA) l'adozione di una risoluzione che porti la rappresentanza palestinese dalla condizione di "osservatore" a quella di "stato non membro" delle Nazioni Unite. Ciò segue il tentativo fallito dello scorso anno di far pronunciare il Consiglio di Sicurezza dell'ONU circa la loro dichiarazione unilaterale di indipendenza (UDI). E' una faccenda di grande signifato e dall'impatto potenziale considerevole.

A differenza del Consiglio di Sicurezza, il voto dell'UNGA non è vincolante, non produce il riconoscimento di uno stato o la piena adesione all'ONU; ma produce comunque effetti considerevoli. Questo riconoscimento consentirebbe di aderire automaticamente ad altri organismi sovra-nazionali, e potenzialmente di ricorrere alla Corte di Giustizia Internazionale (ICC) nei confronti di Israele: l'obiettivo principale malcelato del presidente dell'AP e della leadership palestinese. Secondo Abbas Zaki, membro del comitato centrale di Al Fatah (il partito di Abu Mazen, NdT), l'AP userà il riconoscimento dell'ONU per neutralizzare gli Accordi di Oslo e «ricorrere a tutte le agenzie delle Nazioni Unite per costringere la comunità internazionale a prendere misure nei confronti di Israele».
La richiesta non inciderà sulle questioni sul tavolo, come quella dei confini e dei rifugiati, e potrebbe indurre la revoca degli aiuti finanziari da parte di Stati Uniti e altri paesi, dal momento che questo atto unilaterale viola i precedenti accordi ed è visto con sfavore dal mondo occidentale.
Se questa giravolta politica avrà successo, non solo il conflitto (arabo-israeliano, NdT) andrà avanti, mentre le condizioni di vita dei palestinesi non muterà in meglio; ma questo rischierebbe di peggiorare le cose. Accrescerà le aspettative dei palestinesi, i quali presto risulteranno frustrati dalla delusione, per non considerare i danni che subiranno. La prospettiva di negoziati diretti con Israele, da tempo respinta dal rifiuto di negoziare di Abbas (presidente dell'AP, noto anche con il nome di battaglia di "Abu Mazen", NdT), sarebbe ulteriormente allontanata. E Israele sarebbe costretta ad adottare delle contromisure.
La soluzione di "due stati per due popoli" è stata proposta da almeno cinque governi israeliani, che hanno auspicato uno stato palestinese, con confini definiti, affianco ad uno stato ebraico egualmente riconosciuto. Ma questa prospettiva può essere conseguita solo con negoziati diretti. I leader israeliani hanno fatto offerte straordinariamente generose, puntualmente respinte dai leader palestinesi. Israele ha più volte sollecitato la riapertura delle negoziazioni, senza alcuna pre-condizione, ottenendo sempre un irritante silenzio.
Gli Stati Uniti e altre nazioni si oppongono all'iniziativa palestinese. Il 10 novembre, il presidente Obama ha contattato Mahmoud Abbas, esortandolo a non procedere. Secondo un promemoria inviato dalla Casa Bianca ai governi europei, e reso noto dal Guardian, gli USA giudicano la mossa palestinese "estremamente controproducente", rimarcando che "lo stato palestinese non può che essere il risultato di negoziati diretti con Israele".
A parte Obama, altri leader mondiali, incluso il primo ministro canadese e il ministro degli esteri tedesco, si sono espressi a sfavore di una iniziativa unilaterale. Una dichiarazione del 2011 del Quartetto (Stati Uniti, Russia, ONU e Unione Europea) rilevava che "i negoziati porteranno ad uno sviluppo che cesserà l'occupazione del 1967, risolvendo tutte le questioni pendenti".
Se la leadership palestinese procederà con un'avventura unilaterale, violando gli accordi bilaterali contenuti nel Trattato di Oslo del 1993, ciò solleverà Israele dall'obbligo di rispettare il Protocollo di Parigi, che regola le relazioni economiche fra lo stato ebraico e l'AP. E non mancheranno altre misure ritorsive, come la revoca dei permessi di lavoro per i palestinesi (diecine di migliaia, con enormi rimesse a favore delle famiglie che vivono nel West Bank, NdT) che vanno a lavorare in Israele.

Il processo in discussione inizia con l'introduzione di una risoluzione all'assemblea generale, presumibilmente ad opera di uno stato della Lega Araba, che invocherà l'upgrade dell'attuale condizione. Ciò può essere fatto in qualunque momento, ma sarà fatto coincidere con la "giornata della solidarietà palestinese" prevista per il 29 novembre.
Il voto delle Nazioni Unite non entra nel merito della questione, e non ha autorità in materia legale ne' tantomeno morale. E' richiesta una maggioranza semplice per garantire l'upgrade dello status. Ciò risulta scontato, dal momento che dei 193 stati membri, 22 appartengono alla Lega Araba e 120 fanno parte del blocco dei "non allineati" (una proporzione - 120/193 - armonicamente simile alla "spirale aurea" di Fibonacci, NdT), attualmente presieduto dall'Iran; 56 inoltre fanno parte dell'Organizzazione per la Cooperazione Islamica.
La speranza è che riducendo il numero di stati che supporterà questa risoluzione, in particolar modo in Europa e in altre democrazie, ciò minerà la legittimità del voto. L'esperienza dello scorso anno, dopo che l'UNESCO ha riconosciuto lo stato di membro effettivo all'AP, dovrebbe rappresentare un monito per le conseguenze più immediate. L'UNESCO ha drasticamente visto ridursi il suo budget per il venir meno dei finanziamenti americani, e per il rifiuto di altri stati (arabi, NdT) di compensare i contributi venuti meno.

Le manovre palestinesi alle Nazioni Unite fanno parte di una strategia che punta alla delegittimazione di Israele. Come spiegato efficacemente dall'esperto di Medio Oriente Alexander Joffe, la UDI chiaramente mette i palestinesi nella condizione di perseguire l'obiettivo strategico di distruggere Israele, guadagnando l'accesso in tutte le organizzazioni internazionali; a qualunque costo.
I leader palestinesi hanno affermato testualmente che l'upgrade di status sarà utilizzato per attaccare Israele presso la ICC. A tal proposito il "negoziatore" palestinese Saeb Erekat ha affermato «gli israeliani non desiderano che piazziamo una ghigliottina sul loro collo». Ha rincarato la dose Nabil Shaath, alto esponente dell'AP: «questa decisione nasconde obiettivi politici, incluso l'accesso ad organizzazioni internazionali come la Corte di Giustizia Internazionale».
Non a caso, Hamas si è opposta a questa mossa dell'AP. Lo statuto di Hamas prevede la distruzione materiale di Israele, e respinge i tre principi del Quartetto: il riconoscimento dello stato di Israele, il rispetto dei trattati sottoscritti e la cessazione della lotta armata e del terrorismo. Tuttavia, se l'ONU riconoscerà l'AP come "stato non membro", Hamas - che diversi stati come Giordania, Giappone, Australia, Canada, Unione Europea e Stati Uniti considerano organizzazione terroristica - avrà di fatto legittimazione internazionale. Ed è il caso di ricordare che Hamas controlla pienamente la Striscia di Gaza, e che l'AP lì non mette piede da anni (dal 2007, quando fu completamente espulsa dopo un sanguinoso e fratricida colpo di stato, NdT).
L'iniziativa oltretutto va in direzione opposta al Diritto Internazionale, dal momento che i palestinesi non rispettano i criteri fissati nella Convenzione di Montevideo del 1933: una popolazione stabile e permamente, un territorio dai confini definiti, un governo nella pienezza dei suoi poteri e la capacità di relazionarsi con altri stati. Al momento, l'AP non soddisfa alcuno di questi requisiti. E lo statuto dell'ONU prevede la adesione da parte di stati, non di movimenti. Con il Medio Oriente in fermento - l'Iran sempre più vicino alla bomba atomica, il genocidio in Siria, lo spostamento verso l'autoritarismo in Egitto - una mossa del genere ci allontanerebbe dalla soluzione dei problemi cruciali nella regione, aumentando ulteriormente le tensioni.

Fonte: Aish.com.

1 commento:

  1. L'ennesima vittoria regalata dal trio di LOSERS Bibi, Barak, Liberman, che ANCORA UNA VOLTA hanno svenduto il Popolo d'Israele.

    RispondiElimina