domenica 14 ottobre 2012

Israele sul banco degli imputati a New York

di Sohrab Ahmari*

Quelli che sono cresciuti con l'album "The Wall" del 1979 dei Pink Floyd lo ricorderanno come il perfetto antidoto contro gli aspetti più cruenti della vita giovanile. L'opera rock si scagliava contro i genitori opprimenti, i docenti tirannici e il conformismo della società. La storia si concludeva con il protagonista trascinato davanti a un tribunale da incubo, dove ogni chiunque testimoniava contro. E prima che l'imputato potesse dire una parola a sua discolpa, il giudice urlava una sentenza di condanna: «l'evidenza davanti alla corte è incontestabile. Non c'è nemmeno il bisogno che la giuria si ritiri per deliberare».
Mi è tornata in mente questa scena sabato scorso, mentre assisteva ad una sessione del "Russell Tribunal sulla Palestina" a New York: un tribunale popolare autonominatosi che si riunisce di tanto in tanto dal 2009 per emettere giudizi su Israele. Anche qui non è avvertito alcun bisogno di ascoltare l'imputato: l'unico stato ebraico al mondo. E anche qui, il verdetto non risulta mai messo in discussione.
Un altro aspetto che mi ricorda "The Wall": Roger Waters, lo scrittore di testi dei Pink Floyd, era un membro della giuria di questo "tribunale", in buona compagnia di esponenti come la scrittrice Alice Walker, l'ex Black Panther Angela Davis e l'ex parlamentare Cynthia McKinney.
Il tribunale è modellato sulla falsariga di una corte simile istituita nel 1966 dal filosofo britannico Bertrand Russell, che così voleva investigare sui "crimini di guerra" degli Stati Uniti in Vietnam. Anche il tribunale di Russell aveva una evoluzione scontata, con una giuria composta da esistenzialisti francesi e filosovietici come Jean-Paul Sartre e la sua compagna di una vita Simone de Beauvoir, anch'essa ardente comunista; lo storico marxista Isaac Deutscher, e altri prominente pacifisti dell'epoca. Sicché, dopo aver ascoltato qualche testimonianza, il tribunale doveva sentenziare se il governo degli Stati Uniti fosse "colpevole di genocidio ai danni della popolazione vietnamita". Il verdetto era prevedibilmente unanime.

Da allora, "tribunali Russell" sono stati istituiti per giudicare il colpo di stato del 1973 in Cile e la guerra in Iraq. Nel caso del processo ai danni di Israele, la giuria ha interpellato il giornalista britannico e attivista anti-israeliano Ben White, che si è presto 40 minuti per denunciare la "decolonizzazione" dell'Oriente e la "pulizia etnica" praticata da Israele sin dalla sua istituzione nel 1948. Dopo la sua testimonianza, ha parlato Waters dei Pink Floyd. Il quale ha affermato: «nell'essere, come siamo, a New York City; non si può fare a meno di ricordare la presenza dell'elefante nel negozio di cristalleria: l'insondabile influenza nei corridoi del potere di Israele e delle lobby ebraiche».
Nell'incontrarmi più tardi con Waters. gli ho chiesto perché il tribunale non ha dato ascolto alla prospettiva di Israele. La risposta: «non è questo il motivo per cui è stato istituito. E' un tribunale del popolo e l'altra parte non è ammessa» (mi chiedo perché mai gli israeliani avrebbero dovuto rifiutare un invito a comparire). Al che ho chiesto a Waters se mai dovesse essere istituito un tribunale Russell per la Siria, chiamato a giudicare il regime di Assad per i 30 mila siriani ammazzati. Annoiata la risposta di Waters: «non fa parte delle competenze del tribunale Russell. Sono stato chiamato a far parte della giuria sulla Palestina, per cui non c'é modo per cui possa rispondere di questioni che non conosco». E poi tardi, spontaneamente: «per quanto concerne la Siria, non ho una posizione sulla questione. Ma sono contro il potere di Assad».
A quel punto ho chiesto alla Davis se lei si oppone a qualche specifica politica israeliana oppure, come molti altri presenti, se è contraria all'esistenza stessa dello stato ebraico. La sua risposta «stiamo valutando un nuovo concetto di "sociocidio", che è qualcosa di simile al genocidio, nel senso che non è praticato lo sterminio delle persone o l'inibizione della capacità di riprodursi; bensì sono minacciate le strutture della società, in modo tale da rendere impossibile ai palestinesi il perpetrarsi come popolo».
La Walker, che all'inizio dell'anno ha impedito ad un editore israeliano di pubblicare una edizione in ebraico del suo romanzo "The Color Purple", vincitore di un premio Pulitzer, ha affermato che uno stato ebraico semplicemente non funziona: «a mio giudizio gli israeliani ebrei e i palestinesi dovrebbero vivere in un'unica nazione. Non penso che la soluzione di due stati sia praticabile».
Roger Waters è abituato a concedere i bis, ma questa riunione del tribunale Russel per la palestina è probabilmente l'ultima delle sue reunion. Ma il suo obiettivo è stato raggiunto: a proposito dei diritti palestinesi, i giurati hanno sentenziato che Israele è colpevole di violazioni "sistematiche, ripetute, flagranti e talvolta criminali». Notevole quel "talvolta": dopotutto, il giudizio pretendeva di essere equo...

* Fonte: The Wall Street Journal.

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