martedì 30 ottobre 2012

Sempre più palestinesi vogliono diventare israeliani

di Khaled Abu Toamheh*

Non si può negare che richiedendo la cittadinanza israeliana, sfidando i moniti dell'OLP e di Hamas, i palestinesi intendano vivere sotto la giurisdizione israeliana, anziché quella araba. L'Autorità Palestinese (AP) si mostra preoccupata per il crescente numero di palestinesi di Gerusalemme che richiedono la cittadinanza israeliana. Hatem Abdel Kader, residente nel West Bank governata da Al Fatah, ma in possesso di "passaporto di Gerusalemme", ha rivelato che più di 10 mila palestinesi di Gerusalemme hanno ottenuto la cittadinanza israeliana. E attribuisce questo crescente fenomeno al fallimento del progetto dell'AP e all'incapacità dei paesi arabi e islamici di supportare concretamente i residenti arabi di Gerusalemme.
In altre parole, egli riconosce che Israele fa per i palestinesi molto più di quello che la leadership palestinese e l'intero mondo arabo e islamico ha fatto per essi.
Secondo le statistiche rese note dal Ministero degli Interni, nell'ultimo decennio 3.374 palestinesi hanno ottenuto la cittadinanza israeliana; con un trend esponenziale negli ultimi due anni. I palestinesi che vivono a Gerusalemme godono della condizione di residenti permanenti in Israele. Ciò consente loro di possedere una documento di identità israeliano, sebbene non possano ottenere un passaporto. In altre parole, godono di tutti i diritti dei cittadini israeliani, con l'unica eccezione rappresentata dalla possibilità di votare alle elezioni generali.
La legge israeliana consente a tutti di richiedere la cittadinanza. Eppure, nei primi vent'anni dopo la riunificazione di Gerusalemme del 1967, pochi palestinesi ne fecero richiesta: all'epoca, ciò era considerato un gesto di tradimento; e l'OLP, aperta minacciava i palestinesi che valutavano di agire in tal senso.
Ma la tendenza è mutata dopo la sottoscrizione degli Accordi di Oslo del 1993, e con la nascita dell'Autorità Palestinese dell'anno successivo: d'un tratto, il numero di richiedenti è aumentato esponenzialmente, con i palestinesi che non hanno più mostrato timore o vergogna nel presentarsi agli uffici competenti del Ministero degli Interni per richiedere la cittadinanza israeliana. Il principale motivo addotto è il timore che Israele possa cedere la sovranità di Gerusalemme Est all'AP: ciò li priverebbe di tutti i privilegi goduti in quanto residenti sotto la giurisdizione israeliana, inclusi l'accesso alla sanità e all'istruzione pubblica, nonché la libertà di movimento e di lavorare.
Inoltre, i palestinesi di Gerusalemme realizzano che malgrado le difficoltà che incontrano in Israele, le loro condizioni di vita risultano di gran lunga migliori di quelle di cui godrebbero se vivessero sotto la giurisdizione dell'AP. La mancanza di democrazia e la massiccia corruzione inducono altresì molti palestinesi a richiedere la cittadinanza israeliana, come modo per garantirsi un futuro sotto la sovranità dello stato ebraico: come ha efficacemente riassunto un palestinese: «preferisco vivere nell'inferno degli ebrei, che nel paradiso di Hamas o di Arafat».
Un altra ragione per cui i palestinesi si affrettano a richiedere la cittadinanza israeliana è il timore che le autorità possano loro revocare il documento di identità israeliano: secondo la normativa, gli arabi che risiedono a Gerusalemme, e che vanno a vivere al di fuori dello stato, perdono automaticamente il loro status di residenti permanenti. Negli ultimi dieci anni, in effetti, molti residenti palestinesi che sono andati a vivere nel West Bank hanno perso la loro carta d'identità israeliana.
Molti di coloro che hanno richiesto la cittadinaza israeliana sono cristiani di Gerusalemme, timorisi di finire sotto la giurisdizione palestinese o addirittura sotto Hamas.
Ironicamente, ottenere la cittadinanza israeliana è stato un modo agevole per gli arabi per assicurarsi i diritti sociali, economici, sanitari e di istruzione che solo questo stato garantisce in questa estensione. Non vi è dubbio che richiedere la cittadinanza israeliana, in contrasto con le raccomandazioni di Hamas e dell'OLP, sia una affermazione politica di principio da parte dei richiedenti, i quali ammettono di preferire di vivere sotto la giurisdizione israeliana, anziché sotto quella araba.

* Gatestone Institute International Policy Council

Mentre c'é ancora chi sostiene la tesi oltraggiosa - ma ormai più ridicola: non ci crede più nessuno - dell'apartheid in Israele; un volo charter ha appena trasportato 240 immigrati africani nello stato ebraico. Il volo è il primo di una serie, facente parte del programma "Dove’s Wings", un'iniziativa pubblica che favirirà l'aliyah delle comunità ebraiche dell'Etiopia, convertite con la forza al cristianesimo durante il 19esimo e 20esimo secolo.
Il programma, da 17.5 milioni di shekel israeliani, sarà completato entro un anno. Già ieri sono sbarcati a Tel Aviv i primi, simpatici, nuovi cittadini israeliani.

lunedì 29 ottobre 2012

La Striscia di Gaza scivola verso l'Islam sunnita

La Striscia di Gaza sta diventando sempre più un protettorato sunnita.
Si va dileguando la sfera di influenza sciita dell'asse Iran-Siria. L'isolamento internazionale del regime di Assad a Damasco, dove Hamas in passato aveva il suo quartier generale, e il supporto ancora oggi garantito ad un regime che ha ammazzato nell'ultimo anno e mezzo oltre 500 profughi palestinesi, hanno indotto l'organizzazione terroristica che governa la Striscia dal 2006/2007 (prima in coabitazione con gli uomini di Al Fatah, poi in solitudine dopo un sanguinoso colpo di stato) ad accettare sempre più il protettorato sunnita.
Non si dimentichi che Hamas è una costola storica dei Fratelli Musulmani che ora sono saliti al potere nel vicino Egitto. E mentre c'é chi sospetta una progressiva integrazione che possa arrivare a trasformare Gaza in una provincia dell'Egitto, il riconoscimento internazionale è sempre più evidente. La scorsa settimana l'emiro del Qatar è giunto qui in visita ufficiale, provocando l'irritazione dell'Autorità Palestinese che vede sfumare sempre più la propria legittimità (per la verità, messa in discussione dalla corruzione dilagante e dalla pesante sconfitta delle recenti elezioni amministrative). Ora si apprende che sta per visitare l'enclava palestinese il sultano del Bahrein, anch'egli sunnita, e acerrimo nemico dell'Iran (il che naturalmente non lo rende "amico" di Israele).
La visita, programmata per i prossimi giorni, è organizzata dall'UNRWA, l'agenzia ONU speciale per i "profughi" palestinesi di cui ci siamo occupati tanti volte.
Ciò implica che le Nazioni Unite stanno implicitamente riconoscendo il regime sanguinario di Hamas? si direbbe di sì. Resta da vedere come il Palazzo di Vetro reagirà al diniego opposto da Hamas, che fermamente condanna la decisione delle scuole gestite dall'UNRWA a Gaza di insegnare la tragedia dell'Olocausto, in quanto ritenuto lesivo delle rivendicazioni palestinesi e del loro presunto "diritto al ritorno" (non tanto dei 500 mila che spontaneamente lasciarono il neonato stato ebraico nel 1948, quanto dei loro milioni di discendenti).

Che bello fare i terroristi a carico del contribuente

Ha suscitato un certo clamore la denuncia riporta nell'edizione di giovedì del Wall Street Journal, secondo cui il governo britannico versa cospicui fondi all'Autorità Palestinese, affinché essa provveda a elargire generosi sussidi alle famiglie dei terroristi palestinesi che scontano condanne per gravi omicidi. Il quotidiano americano cita un rapporto di Palestinian Media Watch, secondo cui ogni mese dalle casse europee sono versati quasi 4 milioni di euro, come contributo al bilancio dell'AP destinato al finanziamento dei "salari" dei reclusi nelle carceri israeliane.
La notizia provoca la comprensibile indignazione da parte di chi fa fatica ad arrivare alla fine del mese, mentre a qualche migliaio di chilometri di distanza c'è chi percepisce un reddito anche di 2500 euro al mese per aver avuto il merito di far esplodere un autobus, o per aver fatto deflagrare una bomba in una piazza, o per aver attentato alle vite di civili innocenti.
Rocambolesca la mezza smentita fatta pervenire dal ministero britannico per lo sviluppo internazionale (Department for International Development): «i versamenti non erano salari, ma piuttosto "programmi di assistenza sociale per fornire erogazioni al welfare"». Già, e quelli che hanno ucciso deliberatamente diecine e diecine di israeliani non erano terroristi, ma operatori sociali dediti al completamento del lavoro lasciato interrotto da un certo Adolf Hitler...
Sconcertante la rivelazione di PMW, riportata dal WSJ: ogni anno il solo ministero britannico per lo sviluppo internazionale eroga 86 milioni di sterline verso i territori palestinesi; dei quali 30 milioni sono iscritti nel bilancio dell'Autorità Palestinese come "retribuzioni mensili". L'entità delle erogazioni nei confronti dei detenuti e delle rispettive famiglie è connessa alla lunghezza della pena detentiva: non è funzione quindi della consistenza delle famiglie o di particolari condizioni di disagio economico; bensì alla gravità del reato: insomma, più ammazzi e più guadagni.

sabato 27 ottobre 2012

Mucca pazza sionista

Fa ancora fatica a trovare spazio una notizia che getta una luce inquietante sulle tecniche diaboliche impiegate dai sionisti ai danni dei poveri palestinesi. Dobbiamo ringraziare il New York Times, che cita un rapporto del ministero della salute gazano.
Nell'ambito delle celebrazioni per la "festa del sacrificio" (in arabo: eid al adha), a Gaza un palestinese è rimasto ucciso da una mucca, mentre ne tentava la macellazione nella sua abitazione. Probabilmente i bovini nella Striscia sono abbondanti e a buon mercato, al punto da poter essere acquistati integralmente e non a porzioni. Il motivo di questo acquisto cospicuo però non stava in una offerta particolarmente speciale dell'ipermercato locale: il fatto è che durante la festa del sacrificio i musulmani sono soliti macellare pecore, mucche e capre. Molti si affidano a mani esperte; non pochi si portano il sacrificio a casa.
Una pratica che può risultare deprecabile per alcuni, ma tant'é. I problemi nascono quando questi animali sono condotti nelle proprie abitazioni. C'é chi sospetta che essi provengano da allevamenti israeliani: e ciò spiegherebbe la loro innaturale ritrosia ad essere macellati senza opporre alcuna resistenza.
Questa appare la ragione più efficace per spiegare i 150 feriti che sarebbero stati accolti finora dagli ospedali della Striscia di Gaza, nel primo di quattro giorni di celebrazioni.
Aggungiamo le mucche sioniste agli altri animali ostili e spioni: squali, rapaci, polli.

venerdì 26 ottobre 2012

Il mio Paese è sotto attacco. C'è qualcuno a cui può interessare?

di Arsen Ostrovsky*

Sono arrabbiato.
Mentre molti americani si svegliano questa mattina, e molti in Europa e nel resto del mondo sono già in piena attività, qui in Israele oltre un milione di persone stanno correndo a mettersi in salvo da una grandinata di razzi sparati dai terroristi palestinesi a Gaza. Nell'arco di 24 ore, da martedì mattina, 80 fra missili e razzi sono stati scagliati sull'Israele meridionale. E' una media di oltre tre attacchi ogni ora. Nel momento in cui questo articolo sarà completato, è probabile che il lugubre conteggio sarà salito a 85 missili.
Per mettere le cose nel loro contesto: oltre un milione di israeliani vuol dire il 13% della popolazione complessiva. Il 13% della popolazione USA corrisponde a circa 40 milioni di americani.
Una dozzina di israeliani è stata ferita; alcuni di essi, in modo grave. L'unico motivo per cui non ci sono stati più feriti è perché Israele ha investito milioni di dollari in rifugi antimissili e nello scudo difensivo Iron Dome, mentre Hamas investiva milioni di dollari di aiuti straniei in armamenti.
Oggi voglio spiegare perché sono arrabbiato.

Sono arrabbiato perché quest'anno oltre 600 missili sono stati sparati da Gaza, e non si vede la fine di questo stillicidio.
Sono arrabbiato perché il mondo si desta solo quando Israele esercita il suo sacrosanto diritto sovrano di difendere i propri cittadini. Quale sarebbe la reazione se questi missili fossero sparati su Washington, su Londra, su Parigi o su Mosca? nessuna nazione sulla Terra potrebbe tollerare questi attacchi nei confronti della sua gente.
Sono arrabbiato perché mentre le Nazioni Unite non esitano a convocare una "riunione speciale di emergenza" sulla "questione palestinese", o ad approvare l'ennesima risoluzione che ottusamente condanna Israele; ancora tardano a convocare una sessione dedicata ad una "questione israeliana" e al terrorismo palestinese. In effetti, dopo 24 ore dall'inizio degli attacchi, sono ancora in attesa di ascoltare una sola sillaba di condanna da parte del Consiglio di Sicurezza, dell'Assemblea Generale o del Commissariato per i Diritti Umani dell'ONU.
Sono arrabbiato perché Ban Ki-Moon, il segretario generale dell'ONU, non riesce a trovare un momento per condannare le aggressioni palestinesi, ma trova il momento per divertirsi e ballare la danza popolare Gangman style con il rapper sudcoreano Psy.
Sono arrabbiato perché mentre l'Alto Comissario europeo per la politica estera Catherine Ashton ha criticato Israele la scorsa settimana per la decisione di costruire centinaia di nuove abitazioni in un'area del proprio territorio; non ha trovato il tempo per censurare il lancio di 80 missili attentatori in un giorno.
Sono arrabbiato perché c'é ancora chi invoca il boicottaggio dello stato ebraico, ma tace di fronte al terrorismo palestinese.
Sono arrabbiato perché navi e flottiglie continuano a salpare alla volta di Gaza per dimostrare "solidarietà" nei confronti dei palestinesi, ma perché mancano di manifestare lo stesso sentimento nei confronti delle famiglie che abitano nell'Israele meridionale?
Sono arrabbiato perché mentre le organizzazioni per i diritti umani come Amnesty, Human Rights Watch, Oxfam e altre non perdono occasione per condannare Israele per presunte violazioni dei diritti umani ai danni dei palestinesi, gli stessi diritti umani degli israeliani per esse non contano. Forse il sangue ebraico non vale niente?
Sono arrabbiato perché i giornali a grand diffusione come il New York Times antepongono alla notizia degli attacchi, titoli come "quattro militanti palestinesi sono stati uccisi in un attacco aereo israeliano", anziché "terroristi palestinesi scatenano una pioggia di oltre 80 missili contro un milione di persone inermi".
Sono arrabbiato perché molta gente non vede che l'Iran, che sostiene il desiderio di cancellare Israele dalle mappe geografiche, cerca di dotarsi di un arsenale nucleare, ed è il principale sponsor e finanziatore di Hamas a Gaza.
Sono arrabbiato, perché i civili nel sud di Israele oggi sono istruiti nel non mandare i loro figli alle scuole e a restare rintanati nei rifugi. Quale modo disumano per i bambini per vivere!
Sono arrabbiato quando la gente continua a indicare gli insediamenti come il principale ostacolo alla pace anziché Hamas, un'organizzazione terroristica che non riconosce il diritto all'esistenza di Israele e ne persegue la distruzione.
Mi arrabbio quando vede le immagini di case nel sud di Israele devastate dagli attacchi provenienti da Gaza, e c'é qualcuno che dei missili dice: "dopotutto erano come giocattoli: quali danni possono mai creare?" (chissà allora perché mai Hamas si diverte a spendere centinaia di milioni di dollari in innocui missili "giocattolo", anziché sfamare la propria popolazione, NdT...)
Sono arrabbiato perché c'è gente che non mi conosce, che non mi ha mai incontrato, eppure desidera la mia morte; per nessun altra ragione all'infuori del mio essere cittadino israeliano.
Sono arrabbiato quando ascolto i residenti nell'Israele meridionale sostenere sconsolati "ci adagiamo sopra i nostri figli, e cerchiamo di proteggerli con il nostro corpo", mentre il resto del mondo è insensibile alle nostre disperate invocazioni di aiuto.

A ben pensarci non sono arrabbiato. Sono oltraggiato.

* Fonte: Huffington Post Canada.

giovedì 25 ottobre 2012

Continuano le torture dei palestinesi

Meglio tardi che mai. Human Right Watch, un'organizzazione finora gravata da manifesta miopia congenita - è molto attenta a produrre documenti critici su Israele, mentre finora non ha avuto molto da obiettare di fronte alla repressione siriana (oltre 30 mila morti. E dire che il blog più piccolo e insignificante della Terra denunciò la strage sin dagli albori) - continua ad attaccare Hamas, l'organizzazione terroristica che ha appena steso un tappeto rosso (sangue) davanti ai piedi dell'emiro del Qatar, giunto nella Striscia per fornire generose elargizioni.
Il passaggio dell'enclave palestinese dall'orbita sciita dell'asse Iran-Siria, all'orbita sunnita (Egitto/Qatar), sta coincidendo con una recrudescenza degli attacchi nei confronti delle città meridionali israeliane; e con una sempre più insistente denuncia delle torture praticate impunemente da Hamas nei confronti dei palestinesi. E' come se fosse saltato un tappo: come se oggi si potesse dire ciò che prima era inopportuno rendere noto.
Ad ogni modo, dopo la denuncia di qualche settimana fa, HRW torna alla ribalta per denunciare la morte di Adel Razeq, membro delle brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato di Hamas, arrestato con un falso pretesto e torturato fino a provocarne la morte. In circostanze simili Hamas avrebbe ucciso almeno tre persone negli ultimi cinque anni, malgrado le timide condanne di circostanza giunte dall'Unione Europea.
In una risposta consegnata all'agenzia Reuters, un esponente di Hamas ha sostenuto che il rapporto di HRW contiene molti errori. Di punteggiatura?.

mercoledì 24 ottobre 2012

...E per l'emiro del Qatar un tappeto rosso (sangue)

Come rileva con sarcasmo Aussie Dave, il mondo appare distratto quando i palestinesi sono intenti a lasciare per terra sangue di infedeli. Se accettiamo la definizione di ebrei come "scimmie e maiali", non deve fare granché differenza se a queste specie animali aggiungiamo anche le pecore.
Così, nessuna sensazione per il sangue versato da due israeliani, rimasti gravemente feriti dalla pioggia di missili che nelle ultime ore ha investito le città meridionali di Israele (i missili indirizzati sui civili sono un crimine di guerra, ma non si può pretendere che le Nazioni Unite siano sempre vigili...); ne' alcuna reazione si registra per il macabro gesto che alcuni abitanti della Striscia di Gaza hanno compiuto, "in onore" dell'illustre ospite in arrivo dal Qatar.
Un bel tappeto rosso sangue. Il sangue di alcune malcapitate pecore, sgozzate - in questo sono pratici, diciamoci la verità... - affinché il percorso possa essere stato purificato dalle tracce di qualche ebreo che (chissà) l'ha calpestato prima del 2005.
Adesso aspettiamo fiduciosi le rimostranze di qualche associazione che difende gli animali dai maltrattamenti. A meno che si riesca a dimostrare che quelle pecore, nonostante il salasso, se la passino davvero bene...

Haaretz: un giornale schierato (male)

Haaretz è l'equivalente israeliano de "La Repubblica" in Italia, o "El Pais" in Spagna o ancora "The Guardian" nel Regno Unito: un quotidiano che non esita per partito preso, se non per pregiudizio, ad attaccare il governo, meglio se conservatore, anche se dispone di informazioni non di prima mano, parziali e non verificate. Spesso e volentieri questi giornali riportano notizie improbabili e grottesche nella loro inverosimiglianza; salvo poi fare marcia indietro, una volta che la verità faticosamente emerge.
La circostanza riportata in basso, e commentata da Honest Reporting, è esemplare di come le notizie sono proposte da quotidiani letti da milioni di persone in tutto il mondo. L'ebreo è tipicamente "ultra-religioso", con i boccoli a cascata sui lati della testa, tendenzialmente tirchio e con i tipici tratti somatici che danno lavoro e fortuna ai vignettisti antisemiti.


di Simon Plosker.

Se qualunque altro giornale al mondo fosse uscito con la fotografia sopra riportata per illustrare questa notizia, ci sarebbe stata una comprensibile indignazione generalizzata.
Secondo quanto riportato da Haaretz (notizia poi riproposta dal Jewish Telegraphic Agency, che però non ha inserito la foto), il citato Tracey Nelson ha lavorato per la New York Jewish Federation; ma da nessuna parte è affermato che sia ebreo, ne' tantomeno che sia un ultra-ortodosso.
Haaretz semplicemente ha raffigurato la propria inclinazione quando si parla di ebrei, di furti e di denaro (Nelson è stato accusato di furto aggravato, NdT)
Se Haaretz si fosse impegnato a cercare una foto del vero Tracey Nelson, avrebbe scovato facilmente questa immagine del New York Daily News, rinvenibile peralto altrove:
Aggiornamento. Un'ora dopo la pubblicazione di questo post, Haaretz ha ripubblicato la notizia, cambiando la foto. Ma per la fretta, ha indicato "NYDP", anziché "NYPD"...

martedì 23 ottobre 2012

Ma alla fine la pace trionferà... (?)

Alcuni episodi delle ultime ore che testimoniano gli sforzi di conseguire una pace duratura fra israeliani e arabi-palestinesi:
- Un ufficiale dell'esercito israeliano è rimasto gravemente ferito dalla deflagrazione di un dispositivo esplosivo collocato al confine centrale con la Striscia di Gaza, nei pressi del varco di Kissufim. Secondo quanto reso noto, l'ufficiale ha aperto il varco nell'ambito di operazioni di routine finalizzate a verificare la presenza di esplosivi, e questo ha provocato l'esplosione dell'ordigno.
- Un palestinese ha tentato di entrare in Israele dal West Bank attraverso un check-point a nord di Gerusalemme, ma è stato perquisito e bloccato dagli addetti ai controlli. Recava con se' otto dispositivi esplosivi. Lo rende noto Debka.
- Erez Ben Sa'adon, un residente nella comunità ebraica di Rachelim nel West Bank, ha denunciato alle autorità locali il danneggiamento subito notte tempo ad opera di ignoti, che con una sega elettrica hanno tagliato 50 alberi di ulivo, rubandone i frutti e lasciando scritte ingiuriose prima di dileguarsi.
- Noam Chomsky, linguista ebreo americano e famoso antisionista, è stato accolto a braccia aperte da Hamas, a Gaza, nell'ambito delle celebrazioni dell'arrivo dell'emiro del Qatar in visita ufficiale nella Striscia. Chomsky non ha mancato di manifestare il suo sostegno all'organizzazione terroristica che governa Gaza dal 2006/2007.

Nel frattempo, soltanto nell'ultima settimana, più di 150 residenti a Gaza hanno beneficiato di trattamenti sanitari nel vicino Israele.

lunedì 22 ottobre 2012

La lezione di Estelle: i media ci cascano sempre

Sabato mattina l'imbarcazione "Estelle", battente bandiera finlandese e partita dalla Svezia, è stata abbordata da mezzi della marina militare israeliana dopo ripetuti inviti a non proseguire la navigazione verso le acque di Gaza, dove è in vigore un blocco navale, volto a prevenire l'arrivo di armi e munizioni a beneficio di Hamas, che governa la Striscia dal 2006-2007, e che quotidianamente sferra i suoi attacchi nei confronti della popolazione civile dell'Israele meridionale.
Questa crociera si è risolta come le precedenti: in un nulla di fatto. Nel 2011 sono entrati a Gaza tramite i valichi israeliani di Kerem Shalom e di Erez, beni per 1,2 milioni di tonnellate. Una enormità, rispetto al carico potenziale di una simile imbarcazione. Enorme la sorpresa, quando il carico delle Estelle si è rivelato non esistente: niente aiuti umanitari, niente palloni, o materiale velico, o giocattoli, come in precedenza promesso. Niente: le stive erano completamente vuote.
Israele avrebbe potuto concedersi la leggerezza di consentire ai vacanzieri-pacifinti internazionali di raggiungere Gaza? improbabile, se si ammette che uno stato possa difendersi dalle minacce esterne: almeno una dozzina di volte negli ultimi dieci anni via mare sono arrivati o transitati armi e munizioni. La Victoria l'anno scorso (50 tonnellate di munizioni, nascoste sotto cotone e lenticchie) e la Francop tre anni fa (500 tonnellate, destinate dall'Iran alla Siria, e intercettate ai confini con le acque territoriali di Cipro) sono i casi più eclatanti. Non si gioca con le vite umane. Qualsiasi stato ha il dovere di prevenire che i suoi nemici mortali si armino. Non si può essere leggeri. Potrebbe mancare una seconda possibilità.
Questa impresa, davvero in tono minore per convinzione e capacità di colpire l'immaginazione pubblica (l'emiro del Qatar ha appena donato 254 milioni di dollari), ennesimo insuccesso dopo altre iniziative simili (Freedom Flytilla, Global March to Jerusalem, eccetera); rivela però l'orientamento parziale dei media europei, sempre pronti a correre in soccorso di chi non si fa molti scrupoli per mostrare il proprio animo bellicoso e terroristico: l'emergenza umanitaria è altrove, in Siria i morti in un anno e mezzo si contano in diecine di migliaia (fra cui oltre 500 sono proprio palestinesi), e a Gaza casomai invocano disperatamente nuove forniture di iPhone e altri gadget tecnologici.
Ma niente: i media europei sono stati divisi fra un imbarazzato silenzio per la "non-notizia", e un grottesco appoggio che ne ha ridicolizzato l'autorevolezza e la credibilità. Come è il caso dell'emittente britannica Sky News... Nessuna citazione dell'emergenza umanitaria nei campi profughi palestinesi in Libano, Siria e Giordania; ne' per gli incessanti attacchi da parte di Hamas nei confronti di un milione di persone inermi che vivono nel sud di Israele; ne' per i palestinesi che sono brutalmente torturati da Hamas nella stessa Gaza, o che chiedono in Cisgiordania la testa del corrotto ceto dirigente: non fanno notizia, per i media europei..

di Simon Plosker

L'imbarcazione Estelle, battente bandiera finlandese, e i cui passeggeri ed equipaggi includeva attivisti e parlamentari provenienti da Grecia, Svezia, Stati Uniti, Canada, Norvegia ed Israele, è stata raggiunta sabato dall'IDF e scortata al porto di Ashdod dopo un tentativo di violazione del blocco navale israeliano al largo delle coste di Gaza.
In un video che ha accompagnato la copertura online dell'evento, Sky News ha fornito una piattaforma alla portavoce dell'organizzazione che ha promosso l'iniziativa; la quale portavoce ha asserito, senza che dall'emittente sia giunta una smentita, che «il blocco è illegale e non è accettato dalla comunità internazionale». La portavoce ha altresì asserito che il blocco non ha niente a che vedere con la sicurezza di Israele. Ciò contrasta con il fatto che razzi e missili continuano ad essere sparati da Gaza verso le città israeliane, e malgrado il fatto che la Striscia sia amministrata da una organizzazione terroristica come Hamas.
Per quanto concerne la presunta illegalità del blocco israeliano, ciò è palesemente falso. Il Segretario Generale dell'ONU in persona ha creato una commissione per esaminare gli eventi che seguirono all'incidente della Freedom Flotilla. Il rapporto elaborato in seguito dalla Commissione Palmer concluse che il blocco navale di Gaza è legale, e che Israele ha il diritto di opporre un blocco navale; anche in acque internazionali. Non è la prima volta che Sky News ignora questo elemento fondamentale nell'informazionje che fornisce su questo tema e in particolare a proposito della Mavi Marmara.
Mentre la giornalista di Sky News Colin Brazier si è chiesto se l'IDF avesse fatto tutto il possibile per evitare un attracco non violento dell'imbarcazione, che si presumeva trasportasse 2 alberi di ulivo, 41 tonnellate di cemento, libri, giocattoli e materiale medico; non si è chiesta e non ha chiesto se questi oggetti avessero potuto essere di utilizzo improprio da parte di Hamas.
Non è stato nemmeno detto che gli "aiuti umanitari" sarebbero stati comunque consegnati a Gaza, una volta scaricati e verificati al porto di Ashdod da parte delle autorità israeliane. Ma come ha presto reso noto l'IDF, a bordo della Estelle non c'era l'ombra di aiuti umanitari. Può essere che la barca non trasportava aiuti umanitari semplicemente perché a Gaza non c'é una crisi umanitaria?
In effetti, l'intervistata da Sky ha chiaramente riconosciuto che la missione di Estelle era quella di solidarizzare con i palestinesi di Gaza. La Estelle non era una imbarcazione di aiuti, e l'unico scopo era quello di provocare le autorità e suscitare l'interesse dei media. Sfortunatamente, i giornali e le TV hanno ancora una volta scelto una non-notizia, nella vaga speranza di un seguito come quello della Mavi Marmara.
Mancando un analogo incidente, i media si sono a quel punto concentrati su qualcosa che richiamasse una qualsiasi violenza, anche se una simile notizia risultava del tutto infondata: dopo aver raggiunto l'imbarcazione, la marina militare ha assistito i passeggeri, e offerto loro cibo e bevande.
Forse molti media dovrebbero riconsiderare la credibilità dei responsabili di queste organizzazioni, i quali senza neanche essere a bordo della Estelle (e avendo precedentemente lamentato in prima persona di aver perso il contatto radio, NdT), hanno reso noto alle agenzie che la nave era «sotto attacco». Quando ciò si è rivelato palesemente falso, il proclama è stato modificato lamentando una «dimostrazione di spietatezza».
Alla fine, le motivazioni degli attivisti sono state ben sintetizzate dal primo ministro Netanyahu, il quale ha affermato: «anche i passeggeri della barca sono ben consci che a Gaza non vi è alcuna crisi umanitaria. Piuttosto, il loro obiettivo era quello di creare una provocazione e di infangare il nome di Israele. Se davvero fossero stati interessati ai diritti umani, avrebbero dovuto navigare verso la Siria».

venerdì 19 ottobre 2012

Autorità Palestinese dedita al riciclaggio di denaro sporco?

Il blog Challah hu Akbar riporta una notizia apparsa sulla versione cartacea del quotidiano Yedioth Ahronoth, secondo cui l'Autorità Palestinese ha fatto richiesta alla Bank of Israel - la banca centrale e istituto di emissione dello stato ebraico, con giurisdizione anche per l'embrione del futuro (?) stato palestinese - di aumentare a 2 miliardi di dollari il limite massimo dei versamenti consentiti all'organismo sorto dopo gli Accordi di Oslo del 1993.
La richiesta suona quantomeno bizzarra, se non inquietante: si tratta di una somma di denaro spropositata, se si considera che per l'intero 2012 l'Unione Europea ha previsto stanziamenti per lo sviluppo palestinese e per l'ANP per complessivi 200 milioni di dollari: 1/10 della cifra in discussione.
Il sospetto formulato da più parti è che questo enorme margine possa servire a consentire a famiglie "poco trasparenti" vicine all'entourage di Abu Mazen, di sfrutture i canali istituzionali israeliani per riciclare denaro di provenienza illecita o illegale.
Secondo il quotidiano israeliano, un esponente della BoI ha contattato l'ANP per chiedere maggiori spiegazioni in merito a questa richiesta. L'ANP, aggiunge Yedioth, non ha confermato l'illazione.

giovedì 18 ottobre 2012

Palestinesi: in Israele c'è lavoro (e sesso) per tutti!

La repubblica israeliana ha di recente visto confermato il suo merito di credito da parte delle agenzie di rating americane. E' l'unico stato occidentale ad aver beneficiato di un upgrade nel rating negli ultimi cinque anni. Esempio di democrazia, di crescita economica, di benessere diffuso, di progresso civile e tecnologico, di un sistema giudiziario che funziona egregiamente (al punto da mettere sul banco degli imputati un ex presidente della repubblica ed un ex primo ministro). Insomma, un esempio per il resto del Medio Oriente. Forse è anche per questo che il mondo arabo manifesta nei suoi confonti una crescente verbosità, se non vera e propria aggressività.
Non che l'Occidente faccia qualcosa per mitigare questi sentimenti. L'UNRWA, l'agenzia speciale dell'ONU per i "rifugiati" (e relativi discendenti) palestinesi si è vista opporre un secco rifiuto da parte dei docenti giordani, davanti alla proposta di introdurre nei corsi di insegnamento la tragedia immane dell'Olocausto: «danneggerebbe la causa palestinese, e altererebbe la visione degli studenti circa il principale nemico: l'occupazione israeliana», è stata la sconcertante risposta di un corpo docente, pagato dall'Occidente, e al servizio di 122 mila studenti frequentanti le 172 scuole presenti in una diecina di campi profughi in Giordania. L'UNRWA tace.
Malgrado questa ostilità, Israele continua a promuovere lo sviluppo delle economie degli stati arabi circostanti. In particolare nei confronti dell'Autorità Palestinese. Alla fine di settembre i permessi di lavoro rilasciati ai palestinesi sono stati incrementati di 5000 unità a 46.450, per un incremento del 49% rispetto ad un anno e mezzo fa. Oltre ai palestinesi che lavorano in Israele, altri 24660 palestinesi sono occupati in Giudea e Samaria, percependo un salario pari a due volte la retribuzione media corrisposta dalle aziende arabe del West Bank.

Come però fa rilevare Rights Reporter, il boicottaggio minacciato o praticato nei confronti delle aziende israeliane che operano nei territori contesi minaccia il posto di lavoro di diecine di migliaia di palestinesi. Le rimesse degli arabi che lavorano in Israele contribuiscono al 35% del PIL palestinese. Sciaguratamente però questo aspetto sfugge a chi professa, comodamente dal divano di casa propria, l'ostracismo nei confronti di un'economia e di uno stato che distribuisce benessere alle popolazioni vicine.
Si ricorre a tutti i mezzi; alcuni davvero rocamboleschi, per non dire ridicoli. Adesso si alimenta l'accusa di "molestie sessuali". Il blog "Bugie dalle gambe lunghe" riporta la curiosa denuncia di un quotidiano arabo, secondo cui i lavoratori palestinesi in Israele sarebbero vittima di molestie sessuali da parte delle provocatorie donne israeliane. Non è esplicitata la modalità di questa provocazione, che riguarderebbe addirittura il 77% dei lavoratori palestinesi, secondo la denuncia del sindacato di categoria, che ammette la presenza di circa 55 mila palestinesi.
Nell'immaginario collettivo, la donna disponibile era di origine scandinava. Non più. Secondo l'istituto di statistica palestinese, ci sono datrici di lavoro letteralmente infoiate in Israele, che addescano i malcapitati palestinesi mostrando loro una caviglia scoperta, o un polso voluttuoso, o magari un capello sale e pepe che è il massimo del messaggio erotico. Secondo questa accusa, la maggiore disponibilità di permessi di lavoro sarebbe strumentale al soddisfacimento di bisogni carnali di diaboliche infedeli.
Stendiamo su tutto ciò un velo pietoso. Possibilmente, molto spesso. In modo da non lasciar trapelare nulla alla visione dei poveri lavoratori.

mercoledì 17 ottobre 2012

A Gaza arrivano i dollari del Qatar

Le prospettive rosee dell'economia gazana, ben riflesse dal moltiplicarsi del numero di milionari, dal boom di importazioni di automobili di lusso, da centri commerciali sempre più affollati, e in ultimo dalle vendite alle stelle del nuovo quanto costosissimo iPhone 5 (oggi ne parla anche Reuters); stanno attirando investitori a caccia di opportunità.
Il fondo sovrano del Qatar - lo stato famoso per i Mondiali di calcio che qui si giocheranno nel 2022; ma prima ancora per il canale televisivo Al Jazeera, sponsor dell'islamizzazione radicale del mondo arabo nota inizialmente come "primavera araba" - ha reso noto ieri l'impegno per un piano di investimenti da 254 milioni di dollari: 1/3 del PIL prodotto annualmente.
Con questa mossa, Gaza entra sempre più nell'orbita sunnita dei Fratelli Musulmani - di cui Hamas è peraltro una costola - che detengono il potere nel vicino Egitto e nello stesso Qatar.
Resta da svelare il contenuto del progetto. Cemento, acciaio e materiali da costruzione entrano nella Striscia settimanalmente dai valichi israeliani di Eretz e Kerem Shalom; e diversi edifici pubblici sono stati riconvertiti negli ultimi sei anni da moschee e scuole a rampe di lancio per i missili che ogni giorno bersagliano un milione di persone nel sud di Israele. I ricchi investitori arabi dichiarano l'intenzione di costruire nuove zone residenziali, autostrade ed in definitiva ammodernare le infrastrutture. Staremo a vedere...

martedì 16 ottobre 2012

«Niente palloni e barche a vela. Portateci batterie»

L'imbarcazione Estelle, ripartita da Napoli e diretta verso le coste di Gaza, rischia di prendere un granchio. I pacifinti partiti dalla Scandinavia - una quindicina in tutto - hanno raccolto quel che potevano per tentare di violare il blocco marittimo israeliano al largo delle coste di Gaza, istituito per prevenire l'acquisizione di armi e munizioni da parte di Hamas, che controlla la Striscia dal 2006/2007. Struggente l'appello di qualche giorno fa: «servono vele, mascherine con respiratori, canotti e altro materiali velico». Invito prontamente raccolto: Estelle consegnerà palloni e barche a vela ai gazani. Una volta messa da parte la retorica della "emergenza umanitaria", a cui non crede più nessuno, le organizzazioni cosiddette "pacifiste" si preoccupano di riempire il tempo libero dei palestinesi che popolano la Striscia. Peccato che si disinteressino completamente dei milioni di siriani sotto la quotidiana minaccia del regime di Assad, e che non abbiano parole per le migliaia di palestinesi massacrati dal macellaio di Damasco. Ma questo è un altro discorso.
Il discorso di oggi è il grande successo dell'iPhone5. Le vendite a Gaza stanno decollando, malgrado prezzi davvero proibitivi: 4500 shekel israeliani per la versione da 16Gb e 5700 NIS per la versione da 64Gb. In dollari, sono rispettivamente 1170 e 1480 dollari: non poco, per un'area ritenuta povera, ma dove al contrario si stanno moltiplicando i milionari.
Addirittura l'iPhone5 arriverà soltanto a dicembre nel vicino Israele, mentre a Gaza è già venduto nei centri commerciali e nei negozi specializzati in telefonia. Il migliaio di tunnel illegali scavati al confine fra Egitto e Striscia di Gaza fa passare munizioni per i terroristi di Hamas, ma anche apparecchiature elettroniche e gadget tecnologici, provenienti questi ultimi da Dubai. Un rivenditore palestinese ha dichiarato al quotidiano libanese "Daily Star" di averne ordinato 30, di cui già 20 sono stati venduti all'esigente e facoltosa clientela palestinese.
Per i pacifinti della Estelle un appello urgente: «lasciate stare palloni e materiale velico. Niente cibo e farmaci: ne abbiamo in abbondanza. Ci arrivano tutte le settimane da Israele, assieme a materiali da costruzione, tessuti e ogni genere di prima (e seconda) necessità. E poi l'altra volta, due anni fa, era tutta roba scaduta. Piuttosto: procurateci batterie e caricabatterie per iPhone: 'che il Melafonino è notoriamente vorace di risorse»...

domenica 14 ottobre 2012

Israele sul banco degli imputati a New York

di Sohrab Ahmari*

Quelli che sono cresciuti con l'album "The Wall" del 1979 dei Pink Floyd lo ricorderanno come il perfetto antidoto contro gli aspetti più cruenti della vita giovanile. L'opera rock si scagliava contro i genitori opprimenti, i docenti tirannici e il conformismo della società. La storia si concludeva con il protagonista trascinato davanti a un tribunale da incubo, dove ogni chiunque testimoniava contro. E prima che l'imputato potesse dire una parola a sua discolpa, il giudice urlava una sentenza di condanna: «l'evidenza davanti alla corte è incontestabile. Non c'è nemmeno il bisogno che la giuria si ritiri per deliberare».
Mi è tornata in mente questa scena sabato scorso, mentre assisteva ad una sessione del "Russell Tribunal sulla Palestina" a New York: un tribunale popolare autonominatosi che si riunisce di tanto in tanto dal 2009 per emettere giudizi su Israele. Anche qui non è avvertito alcun bisogno di ascoltare l'imputato: l'unico stato ebraico al mondo. E anche qui, il verdetto non risulta mai messo in discussione.
Un altro aspetto che mi ricorda "The Wall": Roger Waters, lo scrittore di testi dei Pink Floyd, era un membro della giuria di questo "tribunale", in buona compagnia di esponenti come la scrittrice Alice Walker, l'ex Black Panther Angela Davis e l'ex parlamentare Cynthia McKinney.
Il tribunale è modellato sulla falsariga di una corte simile istituita nel 1966 dal filosofo britannico Bertrand Russell, che così voleva investigare sui "crimini di guerra" degli Stati Uniti in Vietnam. Anche il tribunale di Russell aveva una evoluzione scontata, con una giuria composta da esistenzialisti francesi e filosovietici come Jean-Paul Sartre e la sua compagna di una vita Simone de Beauvoir, anch'essa ardente comunista; lo storico marxista Isaac Deutscher, e altri prominente pacifisti dell'epoca. Sicché, dopo aver ascoltato qualche testimonianza, il tribunale doveva sentenziare se il governo degli Stati Uniti fosse "colpevole di genocidio ai danni della popolazione vietnamita". Il verdetto era prevedibilmente unanime.

Da allora, "tribunali Russell" sono stati istituiti per giudicare il colpo di stato del 1973 in Cile e la guerra in Iraq. Nel caso del processo ai danni di Israele, la giuria ha interpellato il giornalista britannico e attivista anti-israeliano Ben White, che si è presto 40 minuti per denunciare la "decolonizzazione" dell'Oriente e la "pulizia etnica" praticata da Israele sin dalla sua istituzione nel 1948. Dopo la sua testimonianza, ha parlato Waters dei Pink Floyd. Il quale ha affermato: «nell'essere, come siamo, a New York City; non si può fare a meno di ricordare la presenza dell'elefante nel negozio di cristalleria: l'insondabile influenza nei corridoi del potere di Israele e delle lobby ebraiche».
Nell'incontrarmi più tardi con Waters. gli ho chiesto perché il tribunale non ha dato ascolto alla prospettiva di Israele. La risposta: «non è questo il motivo per cui è stato istituito. E' un tribunale del popolo e l'altra parte non è ammessa» (mi chiedo perché mai gli israeliani avrebbero dovuto rifiutare un invito a comparire). Al che ho chiesto a Waters se mai dovesse essere istituito un tribunale Russell per la Siria, chiamato a giudicare il regime di Assad per i 30 mila siriani ammazzati. Annoiata la risposta di Waters: «non fa parte delle competenze del tribunale Russell. Sono stato chiamato a far parte della giuria sulla Palestina, per cui non c'é modo per cui possa rispondere di questioni che non conosco». E poi tardi, spontaneamente: «per quanto concerne la Siria, non ho una posizione sulla questione. Ma sono contro il potere di Assad».
A quel punto ho chiesto alla Davis se lei si oppone a qualche specifica politica israeliana oppure, come molti altri presenti, se è contraria all'esistenza stessa dello stato ebraico. La sua risposta «stiamo valutando un nuovo concetto di "sociocidio", che è qualcosa di simile al genocidio, nel senso che non è praticato lo sterminio delle persone o l'inibizione della capacità di riprodursi; bensì sono minacciate le strutture della società, in modo tale da rendere impossibile ai palestinesi il perpetrarsi come popolo».
La Walker, che all'inizio dell'anno ha impedito ad un editore israeliano di pubblicare una edizione in ebraico del suo romanzo "The Color Purple", vincitore di un premio Pulitzer, ha affermato che uno stato ebraico semplicemente non funziona: «a mio giudizio gli israeliani ebrei e i palestinesi dovrebbero vivere in un'unica nazione. Non penso che la soluzione di due stati sia praticabile».
Roger Waters è abituato a concedere i bis, ma questa riunione del tribunale Russel per la palestina è probabilmente l'ultima delle sue reunion. Ma il suo obiettivo è stato raggiunto: a proposito dei diritti palestinesi, i giurati hanno sentenziato che Israele è colpevole di violazioni "sistematiche, ripetute, flagranti e talvolta criminali». Notevole quel "talvolta": dopotutto, il giudizio pretendeva di essere equo...

* Fonte: The Wall Street Journal.

venerdì 12 ottobre 2012

La dura condizione dei profughi palestinesi

Alla fine del 1947 le Nazioni Unite ripartirono l'ex protettorato britannico palestinese - ricevuto in consegna dopo la dissoluzione dell'impero ottomano di inizio anni '20 - in due stati: uno arabo, e uno ebraico. Gli ebrei accettarono la partizione, e l'anno successivo proclamarono lo stato di Israele. Gli arabi non accettarono la decisione storica, e convinsero gli arabi che vivevano nel neonato stato a riparare negli stati confinanti, prima di scatenare un conflitto che si risolse l'anno successivo in una bruciante sconfitta.
Gli arabi che ripararono in Egitto, in Libano, in Siria, in Giordania e in Iraq furono sistemati in campi profughi nei quali hanno vissuto per lunghi decenni. Senza diritti, senza cittadinanza - unico caso al mondo - senza possibilità di integrarsi nella società, di frequentarne le scuole, di praticarne le istituzioni. Cittadini di serie B a tutti gli effetti. I 6-700 mila arabi del 1948 sono diventati milioni. Così tanti, che l'ONU ha previsto una apposita agenzia: l'UNRWA. Un gigante burocratico che amministra fondi e li versa ai profughi palestinesi. Caso eclatante: a differenza dei profughi di tutti gli altri stati al mondo, i figli e i figli dei figli hanno conservato lo status di rifugiato.
La situazione è particolarmente precaria in Libano, come ci ricorda oggi
Elder of Ziyon, in un articolo che traduco in calce, e che cita importanti studi di Lancet.

La rivista medica britannica Lancet ha pubblicato una serie di anticipazioni tratte da un convegno di ricercatori sulla salute pubblica tenutosi a Beirut a marzo 2012.
Secondo uno degli studi, condotti da ricercatori the American University of Beirut, "le leggi discriminatorie e decenni di emarginazione" hanno reso i rifugiati palestinesi in Libano socialmente, politicamente ed economicamente svantaggiati. Più della metà di essi vive in campi profughi sovraffollati, dove "la disponibilità di un'abitazione, di acqua, di elettricità e di altri servizi essenziali, risulta inadeguata e contribuisce ad una salute precaria".
Su 2500 famiglie interpellate, il 42% lamenta infiltrazioni di acqua dai muri o dal tetto, e l'8% vive in dimore costruitr con materiali pericolosi per la salute, come l'amianto. Hoda Samra, portavoce in Libano dell'UNRWA (UN Relief and Works Agency for Palestinian Refugees) dichiara che molti rifugiati vivono in rifugi privi di ventilazione e di luce naturale. Circa 5000 rifugi abbisognano di manutenzione, ma l'agenzia ha fondi soltanto per 730 di essi. In quattro campi su dodici occorre manutenere le infrastrutture, ma mancano i fondi.
La gente nei campi continua a crescere, ma gli spazi disponibili sono sempre gli stessi. Il conseguente sovraffollamento ha esacerbato i problemi di sanità pubblica. "Alcuni campi crescono verticalmente, non orizzontalmente", denuncia Samra, puntando il dito sui criteri precari con cui le abitazioni sono costruite: senza fondamenta, e troppo vicine l'una all'altra.
Lo studio evidenzia una correlazione diretta fra le precarie condizioni abitative e la salute dei residenti: negli ultimi sei mesi il 31% soffre di malattie croniche e il 24% ha sofferto di riacutizzarsi di malanni.

I ricercatori hanno evidenziato anche una forte correlazione fra miseria e precarietà della salute. I rifugiati palestinesi che vivono in Libano non possono accedere ai servizi sociali, sanità inclusa, e non possono svolgere circa 50 professioni. UNRWA e la International Labour Organization fanno pressioni sul governo libanese affinché allenti queste restrizioni, ma un emendamento alla normativa sul lavoro, approvato ad agosto 2010, e che dovrebbe agevolare l'accesso al lavoro da parte dei rifugiati, attende ancora di essere reso operativo dal ministero competente.
Secondo un altro studio citato su Lancet, sempre da parte dei ricercatori di Beirut, il 59% dei rifugiati vive al di sotto della soglia nazionale di povertà, il 63% non mangia regolarmente, e il 13% fa fatica a procurarsi il cibo. Solo i più poveri - un altro 13% - ha i requisiti per poter accedere ai buoni mensa e a piccoli sussidi in denaro elargiti dall'UNRWA.
La combinazione di scarsa alimentazione, di condizioni di vita insalubri e di infelicità, alimentano "tutti i tipi di malattie", conclude Samra.
"Nel complesso", rileva Lancet, "questi dati evidenziano la crisi nascosta che affrontano i rifugiati palestinesi, le cui esigenze di salute sono dolorosamente trascurate".
Ovviamente, Lancet evita di rimarcare un'ovvietà: è la classificazione artificiosa di questa gente come "rifugiati" - anche se la maggioranza di essi è nata in Libano - a rappresentare la cause dei loro problemi. Se i bambini nati in Libano fossero resi cittadini libanesi, non ci sarebbe discriminazione ai loro danni e non sarebbero costretti a vivere in squallidi campi profughi, che le autorità oltretutto vietano di espandersi.
Ma rivelare una verità ovvia nel mondo arabo non è consentito. Difatti, l'unica ragione per cui oggi soffrono, come arabi che vivono in Libano, è che la Lega Araba li ha sempre utilizzati come mezzo per fare pressione su Israele. Sicché gli arabi palestinesi, e solo essi, hanno una condizione speciale nel mondo arabo di privi permanentemente di cittadinanza, senza possibilità di sfuggire. Il mondo arabo, e il Libano in particolare, è interamente da biasimare per questa situazione. Ma le "organizzazioni dei diritti umani" si rifiutano di ammetterlo. Poiché il mondo arabo ha accusato per 65 anni Israele di "apartheid" nei confronti dei palestinesi, così deve fare il resto del mondo.

Fonte: Elder of Ziyon.

Khaled Meshaal si dimette da Hamas?

di Sarah F.*

Secondo voci di intelligence israeliane ed egiziane, il leader politico di Hamas, Khaled Meshaal, sarebbe sul punto di dimettersi dal politburo politico del gruppo terrorista. A confermare parzialmente le voci c’è una analisi di Seyyed Mohyeddin Sajedi, esperto iraniano presso il Centro di studi strategici del Medio Oriente a Teheran pubblicata oggi su alcun media iraniani.
Secondo Seyyed Mohyeddin Sajedi il leader di Hamas sarebbe in rotta di collisione con Ismail Haniyeh, leader di Hamas nella Striscia di Gaza. Quest’ultimo avrebbe concluso un accordo militare vincolante con l’Iran all’insaputa di Meshaal il quale prevede l’intervento del gruppo terrorista in caso di conflitto tra Iran e Israele (ne abbiamo parlato qui). La cosa avrebbe mandato su tutte le furie il capo del politburo di Hamas che invece sta facendo una politica di avvicinamento ai Fratelli Musulmani egiziani che prevede proprio l’allontanamento dalle posizione dell’Iran. I due leader di Hamas poi divergono fortemente sulla questione siriana. Meshaal è contrario a qualsiasi appoggio ad Assad mentre Haniyeh propende per le posizioni di Teheran e di Hezbollah e quindi per un incondizionato appoggio al dittatore siriano.

* continua a leggere su Rightsreporter.

mercoledì 10 ottobre 2012

I pericoli per gli ebrei in visita al Monte del Tempio

Un non ebreo farà sempre fatica a capire perché il Monte del Tempio, luogo sacro per eccellenza della religione ebraica, sia affidato alle cure del WAQF, sorta di fondazione islamica il cui compito fondamentale è quello di amministrare e gestire la moschea di Al Aqsa nella città vecchia di Gerusalemme. Dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967 che finalmente ricongiunse la parte orientale della città a quella occidentale, ponendo termine a 19 anni di occupazione giordana, il governo israeliano acconsentì che il WAQF conservasse questa sorta di antica giurisdizione sui luoghi sacri dell'Islam; che finiscono per combaciare con i luoghi sacri dell'ebraismo.
Il fatto è che le "autorità" sono assolutamente intransigenti. Così, non solo è vietato agli ebrei pregare; ma anche soltanto chiudere gli occhi, raccogliendosi in meditazione; o, a discrezione delle guardie, semplicemente restare immobili davanti al Muro Occidentale (cioé che resta dell'antico Tempio di Gerusalemme). La reazione può essere dura e il WAQF ha l'autorità di denunciare i contravventori alla polizia municipale, che a sua volta è costretta a prendere formali provvedimenti.

Queste immagini sono state rese note da Israel National News, e testimoniano il maltrattamenti subiti da un ebreo, in visita sul Monte del Tempio, ad opera di un soggetto riconducibile al WAQF. Il video è stato girato da in occasione della festività del Sukkot, celebrata sin dalla distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C.
Il gruppetto di fedeli è stato scortato a distanza ravvicinata da una pattuglia di quattro poliziotti, e due agenti del WAQF. Alla fine del pellegrinaggio, il gruppo è stato affrontato con crescente aggressività da uno di questi due agenti, che ha sferrato calpi e pugni all'indirizzo dei malcapitati. La piccola comitiva è stata di lì a breve circondata da altri arabi, con intenti tutt'altro che amichevoli.
La polizia locale, come in altre circostanze simili, è apparsa debole e balbettante rispetto all'aggressione, alle minacce subite e alle intimidazioni; limitandosi a portare fortunosamente in salvo i malcapitati. Simili episodi qui sono all'ordine del giorno, risultano tollerati dalle autorità, e prima di tutto trascurati dal governo; in ossequio ad una concessione che è stata accolta in termini decisamente più estensivi del ragionevole.

Un problema "pesante" per il popolo palestinese

La prestigiosa rivista internazionale Lancet ha lanciato l'allarme: fra i bambini palestinesi cresce in modo preoccupante la percentuale di coloro che possono essere definibili "in sovrappeso" o "obesi". Sulla base di un campione di 1500 bambini, il 12% è risultato in sovrappeso e il 6% obeso. Il dato complessivo supera clamorosamente la proporzione di popolazione infantile in sottopeso o indigente (14%).
Elder of Ziyon, che riporta la notizia, osserva che il dato colloca i territori palestinesi sugli stessi livelli di nazioni avanzate come l'Olanda, la Svezia, e la Germania, e suggerisce ai genitori di incoraggiare i bambini palestinesi in sovrappeso ad esercitarsi in attività ginniche che favoriscono il calo ponderale, come il lancio di sassi contro israeliani di passaggio, la combustione di copertoni, la simulazione teatrale di incidenti a beneficio dei media occidentali. Con la speranza malcelata che qualcuno trovi il modo per accusare il vicino stato ebraico di favorire la sovranutrizione della popolazione palestinese.
Qualcuno dovrebbe avvisare l'imbarcazione Estelle, salpata dalla Svezia in soccorso della popolazione "affamata" palestinese, di lasciare a casa merendine e snack; oppure, di fare come l'altra volta: portare generi alimentari (e farmaci) scaduti e inutilizzabili. Per il bene dei palestinesi.

martedì 9 ottobre 2012

Una scomoda verità

«Risolvete la questione palestinese, e risolverete i problemi del mondo. O, quantomeno, del Medio Oriente. Era sbagliato trent'anni fa, è sbagliato oggi. Siamo sull'orlo di una catastrofe, e non ha niente a che vedere con il conflitto israelo-palestinese.
I palestinesi non sono mai stati fra le prime dieci priorità di qualunque governo arabi. Ai leader arabi non importa un accidenti dei palestinesi; che sono stati usati per spostare l'attenzione dai loro insuccessi: per coprire la loro incapacità, la loro corruzione e la loro inadeguatezza. Le "misure di sicurezza" di stampo oppressivo non sono mai state finalizzate a combattere l'"occupazione sionista", ma per sopprimere la rabbia del loro popolo. E' stata una pura e semplice manifestazione di cinismo, e i governi occidentali se la sono bevuta».

Fonte: The Commentator.

Nessuna persona dotata di un minimo di intelligenza crede davvero che creando uno stato palestinese, i problemi del Medio Oriente si risolverebbero d'un tratto. Specie con le pretese demagogiche e propagandistiche della leadership dell'OLP: ritorno alle linee armistiziali del 1949 (non sono confini), divisione in due della città di Gerusalemme, e immissione nello stato ebraico di 6-7 milioni di discendenti arabi di coloro che furono convinti nel 1948 dagli stati confinanti con Israele ad abbandonare il neonato stato prima della guerra che stavano per scatenare.
D'altro canto, le condizioni drammatiche in cui versano i profughi palestinesi nei campi allestiti decenni orsono in Siria, in Libano e in Giordania, privi di diritti, di dignità e di prospettive future; il massacro compiuto dal regime di Assad proprio nei confronti dei palestinesi residenti in Siria, e la corruzione dilagante a Gaza e nel West Bank, evidenziano che la priorità è una sola: combattere Israele, non garantire un futuro sereno e pacifico ai palestinesi.
Ma oggi c'è da festeggiare: come resistere a questa tentazione, quando vedi un ragazzo di 26 anni gioire allo stadio? e non è un ragazzo "normale": è Gilad Shalit, il caporale israeliano sequestrato dai terroristi palestinesi, e rilasciato poco meno di un anno fa in cambio di oltre mille criminali. Gilad è stato ospitato del Barcellona per il
clasico contro il Real Madrid, e questo ha suscitato le ire di Hamas, che ha ordinato nella Striscia di Gaza il boicottaggio della squadra catalana. Becca questo e crepa, Hamas!

venerdì 5 ottobre 2012

Istruzioni per i pacifinti diretti a Gaza

Uno sconosciuto, anonimo, mi ha inviato alcune istruzioni in e-mail. Dice che la spedizione a Gaza non ha niente a che fare con la "causa palestinese", che anzi lui i palestinesi li disprezza quanto e più degli arabi, che fanno bene Giordania, Libano e Siria a mantenerli da decenni in luridi campi profughi, con tutta la discendenza fino alla terza e ora quarta generazione. Dice, questo sconosciuto, che la cosa importante è che si vadano a colpire i sionisti, che bisogna contrastare l'azione efficace del governo israeliano, che tutti i giorni organizza e invia aiuti a Gaza, il cui ammontare è di gran lunga superiore al carico di cento "flottiglie". Dice, l'anonimo, che bisogna nascondere che nella Striscia si stanno moltiplicando i milionari, che le spiagge di Gaza sono prese d'assalto da vacanzieri, che sui banchi dei mercati si trova sempre ogni bendiddio. Bisogna convincere l'opinione pubblica che è più importante sostenere i palestinesi, fornendo loro un presunto aiuto di cui non hanno bisogno, anziché aiutare le diecine di migliaia di profughi siriani in fuga dal regime sanguinario di Assad. Tacendo sui morti - molti, palestinesi - per mano di Damasco, ed enfatizzando i morti per mano di Gerusalemme, anche quando si tratta di palesi bufale.
Ero incerto se pubblicare questo memorandum. Ma magari da questa parti passa qualche militante pacifinta, che potrebbe trovare utile una serie minuziosa e dettagliata di istruzioni. Lo so che corro il rischio di confermare la natura tutt'altro che improvvisata di queste iniziative, che al contrario godono di una regia e di un'organizzazione di stampo paramilitare. Ma correrò il rischio...
Nel frattempo, però, ho trovato una fonte che riporta la versione originaria di questo manuale ad uso e consumo degli odiatori di Israele.



Incontrarsi all'aeroporto Ben Gurion.

Entrare ed uscire dall'aeroporto Ben Gurion a Tel Aviv può rivelarsi un'esperienza fra un quasi divertente teatro dell'assurdo e un'esperienza spiacevole. Qui in basso sono riportate alcune istruzioni per chi dovesse entrare in contatto con l'Airport Security Service, ASS.
L'ASS è un'entità autonoma, e quindi non è fa parte del General Security Service, meglio noto come Shin Beth. Il GSS va in giro, ma a meno che diventiate un "caso speciale", avrete a che fare soltanto con l'ASS. Sebbene l'ASS arrivi al limite delle sue prerogative, essi hanno comunque alcuni diritti e una certa autorità. Qualcosa da tenere bene a mente.

Arrivo.

Tutti i cittadini non israeliani devono compilare un modulo all'arrivo. Di solito sono 13 piccole fatiche che bisogna affrontare ai controlli di sicurezza dell'aeroporto: domande di base presso lo stand, e altre domande dieci metri dopo lo stand. Il tutto normalmente si conclude in meno di cinque minuti.
Tuttavia, l'ASS può decidere di compiere accertamenti, ponendo domande del tipo "chi ti ha invitato? dove soggiornerai? perché sei venuto? A meno che in effetti siate stati invitati da una organizzazione riconosciuta ed apprezzata - l'ISM non è fra queste! - limitatevi a dire che siete dei turisti in visita in Terra Santa. Non affrontate discussioni politiche o fate affermazioni compromettenti. Non ne vale la pena.
Sebbene una volta era improbabile che l'ASS rifiutasse il visto, da aprile 2002 le cose sono cambiate. A causa della interferenza internazionale nelle operazioni militari israeliane, le autorità locali hanno iniziato a negare il visto di ingresso a tutti coloro sospettati di essere simpatizzanti palestinesi. Ciò ha indotto a tornare indietro non solo gruppi di pacifisti, ma anche delegazioni interreligiose, operatori umanitari e medici e delegati di organizzazioni internazionali. Chi ha seguito i nostri consigli, però, non si è trovato male:

- non entrate in gruppi numerosi;
- non dite che fate parte dell'ISM;
- non dite che programmate di andare nel West Bank o a Gaza;
- non portate con voi nulla che possa etichettarvi come simpatizzante palestinese;
- preparatevi una buona scusa circa i motivi per cui siete in Israele;
- procuratevi la disponibilità di un contatto che possa essere raggiunto e confermare la vostra storia.
Se per caso vi negano l'ingresso, sarete collocati in una camera di attesa dell'aeroporto fino a quando sarà disponibile un volo che vi riporterà a casa. Potete chiedere di contattare telefonicamente l'ambasciata, e ve lo devono concedere. L'ambasciata locale può chiamare chi voi indicate. Fate chiamare il vostro referente del paese da cui provenite, che provvederà a contattare l'ISM o un avvocato.

Ripartenza.

Al contrario di quanto si possa immaginare, ripartire è ben diverso che arrivare. Sebbene per molti non vi siano problemi di sorta, per alcuni ciò può rivelarsi un'esperienza difficile e spiacevole. Possono passare diverse ore. Ma non fatevi cogliere dal panico: alla fine ce la farete. Molti paesi fanno una scansione corporale e dei bagagli per motivi di sicurezza. In Israele la procedura è 10% sicurezza e 90% bullismo, anche se dicono che è per la vostra sicurezza personale.
Funziona così: uno o due dipendenti dell'ASS vi chiederanno i documenti di viaggio. Formuleranno una lunga serie di domande, ispezionando a mano il vostro bagaglio. Non dovete procedere al check-in: lo faranno loro per voi.
Il personale si sforzerà di essere amichevole e riservato. Di solito lavorano in coppia. Tratterranno i biglietti e il passaporto fino a quando avranno espletato queste funzioni. Vi chiederanno la vostra destinazione, se riconoscete il bagaglio e il suo contenuto, se è sempre stato sotto la vostra sorveglianza, se avete ricevuto qualsiasi cosa da chicchesia. Questo è il 10% della sicurezza; adesso arriva il 90% delle domande irrilevanti: perché viaggiate con questa compagnia, se avete una coincidenza, quanto avete pagato il biglietto, perché siete in Israele, se avete contatti con qualche organizzazione che desiderate contattare telefonicamente, come siete arrivati all'aeroporto di partenza, con chi vi siete incontrati, e così via. Le domande oscillano fra lo stupido e l'offensivo.

Prima di entrare in aeroporto dovete decidere che livello di conversazione siete preparati ad affrontare. In parole povere: avete la risposta pronta se le cose dovessero precipitare? o rimarrete sul vago? o sceglierete una via di mezzo? Stando al gioco, vi limiterete a fare la parte del turista, che soggiornerà in un alberto, che non si incontrerà con alcun palestinese, che non parteciperà ad alcuna manifestazione. In questo modo, le probabilità di farla franca sono elevate, anche se non è garantita.
C'è chi si spinge nel fare affermazioni compromettenti: per esempio, non nascondete che vi siete intrattenuti con amici palestinesi, rifiutandovi di fornire il loro nome (attenzione: l'ASS non ha alcun diritto di ottenere informazioni personali su residenti nell'Autorità Palestinese). O non negate di esservi visti con organizzatori di entità "anti-occupazione". Ma ciò complica le cose.
In definitiva: rispondete a tutte le domande, avendo come limite la sfera personale. Se scegliete di non nascondere il fatto di conoscere palestinesi e di incontrarvi con essi, l'ASS arriverà a porvi domande personali. In caso di rifiuto, l'ASS potrebbe velatamente intimidirvi, sostenendo che non farete in tempo a raggiungere il vostro volo se non collaborerete. Potrebbe sopraggiungere un supervisore che alza la voce. Ma sono minacce vuote: alla fine avete la legge dalla vostra parte e prenderete il vostro volo. Mantenete calma e sangue freddo.
Spesso la coppia si alterna con un'altra, che vi sottoporrà altre domande, o magari le stesse domande. Ad un certo punto arriverà il controllo dei bagagli. Non cantate vittoria: lo esamineranno a mano. Le borse saranno svuotate, rivolteranno tutto e gli strumenti elettronici saranno particolarmente esaminati. Vi chiederanno di spiegare quello che non è così evidente, e potrebbero chiedervi di accendere il vostro computer portatile per dimostrare che effettivamente è tale, e non magari una bomba. Lasciate le batterie nel PC a tale scopo.
Aspettatevi che l'ASS sia ben organizzato ed equipaggiato. Ma non sempre lo sono. Spesso sono disorganizzati e disordinati. A volte seguono fedelmente le procedure, a volte si comportano a casaccio. Il vostro obiettivo deve sempre essere quello di riprendervi i bagagli nella loro interezza.

Cosa da non fare.

Non portate con voi informazioni circa palestinesi che conoscete o che incontrerete. I bigliettini da visita o i nomi di persone di dominio pubblico sono un conto, ma mai portare indirizzi o numeri telefonici privati. L'ASS non ha alcun diritto di ottenere informazioni personali di persone che vivono nell'Autorità Palestinese. Non dimenticate di ripulire il portatile o il tablet.
Non portate quotidiani o periodici compromettenti. Perlomeno, non quando arrivate. Se proprio dovete farlo, speditevelo a destinazione tramite fax o e-mail. Non tollerate le molestie personali. Il personale dell'ASS può compiere un'ispezione. E' svolta da una persona del vostro stesso sesso e dietro un paravento. Questa è la norma.
Non accettate la loro disponibilità ad inviarvi più avanti i vostri effetti personali. Può accadere che l'ASS si insospettisca e decida di compiere ulteriori verifiche su fotocamere, computer, rasoi, eccetera, e che si offrano di rispedirveli a casa al vostro rientro. Non lo consentite mai.

La futura Striscia di Gaza

Il governo di Hamas a Gaza ha una connotazione sempre più autonomista. Lontani i tempi in cui "dialogava" con Al Fatah per la costituzione di un governo palestinese unitario: la realtà sta procedendo in direzione opposta. Non solo il movimento terroristico islamico rigetta la retorica dell'"occupazione israeliana", ancora cara ad alcuni (sempre meno, per la verità) irriducibili filo-palestinesi. Ma agisce sempre più in piena autonomia rispetto a Ramallah. La prospettiva di un corridoio che avrebbe dovuto collegare la Striscia di Gaza al West Bank, per concretizzare un futuro stato palestinese, avanzata in passato dai governi israeliani nell'ambito delle proposte per una pace definitiva, sembra sbiadita rispetto al trascorrere degli eventi in campo palestinese.
Sì, perché Hamas si sta orientando diversamente. Non bisogna dimenticare che il movimento integralista è una costola dei Fratelli Musulmani che ora governano l'Egitto, non senza ambiguità (ma il crollo delle entrate valutarie dal turismo obbliga i nuovi padroni ad una realpolitik che include copiosi finanziamenti occidentali; e di fronte a quelli, si è ben disposti ad indossare la grisaglia). Così, mentre da un lato Hamas accetta a malincuore la chiusura del migliaio di tunnel illegali che collegano l'Egitto alla Striscia; dall'altro apre alla prospettiva di una progressiva apertura del valico di Rafah, che integrerà sempre più Gaza al Cairo; al punto che non pochi osservatori ormai immaginano una Striscia integrata ormai politicamente nel nuovo Egitto della Fratellanza Musulmana.
D'altro canto, le recenti elezioni successive alla defenestrazione di Mubarak hanno consegnato il potere ad una schiacciante maggioranza in cui prevalgono i Fratelli Musulmani, ma in cui sono ben rappresentati gli ultra-integralisti salafiti. Che, guardacaso, insidiano dalle estremità la stessa Hamas a Gaza. Si ripropone insomma nell'enclave palestinese un tandem consacrato dalle elezioni democratiche nel vicino Egitto.
E in questa prospettiva non meravigliano le prime timide discussioni fra Hamas e Jihad Islamica che stanno prendendo corpo in questi giorni. Come riporta Challah hu Akbar, i militanti salafiti stanno celebrando in pompa magna l'anniversario della loro fondazione. Le foto testimoniano una folta rappresentanza di integralisti tunisini, che a pochi chilometri dalle coste siciliane stanno islamizzando la società nordafricana, e soprattutto di Mahmoud Zahar, co-fondatore di Hamas. Le foto evidenziano la militarizzazione della società palestinese, che purtroppo lascia poco spazio all'immaginazione. La retorica antisionista è sempre più accesa e coinvolge donne e bambini fin dalla tenera età. Si noti in una di queste immagini la raffigurazione di uno "stato palestinese" in cui Israele non trova alcun spazio. Cancellato senza pudore con tutta la sua popolazione.

giovedì 4 ottobre 2012

I cristiani di tutto il mondo a sostegno di Israele

Circa 3000 cristiani si sono riuniti a Gerusalemme, per manifestare la propria simpatia verso lo stato ebraico e la sua politica di tolleranza nei confronti delle altre religioni e delle minoranze. Fra i partecipanti alla conferenza annuale c'era una nutrita rappresentanza dei parlamenti nazionali di Stati Uniti, Canada, Brasile, Italia, Germania, Sudafrica, Portogallo e Regno Unito.
Uno conferenziere ha sottolineato la costante minaccia del fondamentalismo islamico, il cui primo e immediato bersaglio è ovviamente Israele.
Lo stato ebraico è l'unico in Medio Oriente ad accogliere tutte le religioni, consentendone la libera professione. All'opposto, persecuzioni, vessazioni, intimidazioni, aperte minacce e vere e proprie esecuzioni sono all'ordine del giorno nei paesi arabi e musulmani: in Turchia i cristiani sono ora appena 85 mila, a fronte dei due milioni di qualche tempo fa. In Libano i cristiani erano maggioranza; ora sono 1/3 della popolazione. In Siria rappresentano soltanto il 4%; in Giordania, il 2%. In Iraq la popolazione di religione cristiana ammontava a 1.4 milioni di coraggiosi individui; oggi risulta dimezzata. C'è un solo stato, nel Medio Oriente, in cui la popolazione cristiana è aumentata, dal Dopoguerra ad oggi: ed è lo stato di Israele. I cristiani erano 34 mila nel 1949; ammontano oggi a 163 mila, e cresceranno a 187 mila per la fine del decennio.

mercoledì 3 ottobre 2012

Una non-notizia: i palestinesi a Gaza sono torturati

Human Right Watch si è finalmente svegliata da un lungo sonno. L'organizzazione che ha prodotto due soli documenti critici sulla Siria, nello stesso periodo in cui ha prodotto 25 documenti critici su Israele, ha denunciato gli abusi di Hamas ai danni dei palestinesi nella Striscia di Gaza. Torture a mezzo di bastoni di metallo, finte esecuzioni, arresti arbitrari sono la pressi per l'organizzazione terroristica islamica che governa la Striscia ininterrottamente dal 2007 (in coabitazione con Fatah dal 2006). HRW in un comunicato sollecita il gruppo a «modificare senza esitazioni il sistema giudiziario criminale».
Una locuzione morbida, figlio di una sofferta dissonanza cognitiva, che farà fatica a farsi largo fra le prime pagine dei giornali occidentali, dove le denunce del sistema giudiziario guadagnano la ribalta solo se il carceriere è israeliano, e se il carcerato è in sciopero della fame; non importa se è stato tenuto un regolare processo, se l'imputato ha ammesso i suoi crimini, se minaccia di perpetrarli e se le condizioni detentive sono relativamente confortevoli.
Sostiene un portavoce di HRW «c'è una ampia evidenza che i "servizi di sicurezza" (sic!) torturano impunemente la gente in prigione, negando ai prigionieri i loro diritti». Gli israeliani lo sanno bene: il povero caporale Gilad Shalit, sequestrato da un commando di Hamas in territorio israeliano, è stato tenuto nascosto per cinque lunghi anni; non ha potuto parlare con nessuno, non ha beneficiato nemmeno di una visita della Croce Rossa; con i genitori che hanno dovuto affrontare per tutto questo tempo il silenzio lacerante quando non lo scherno oltraggioso dei media palestinesi.
A Gaza la popolazione civile anche lontanamente sospettata di simpatizzare per il "nemico" israeliano, o peggio di collaborare con esso, rischia la condanna per fucilazione, come è occorso a Abdel Karim Shrair, arrestato nel 2008 e torturato per tre settimane. Ha ammesso sotto tortura una non meglio specificata collaborazione con Israele. La madre, che l'ha potuto visitare due mesi dopo l'arresto, notò lividi sulle gambe e sul viso, segni di corda su mani e braccia, e bruciature sul petto. E' stato ucciso l'anno scorso. Hamas ha proibito alla famiglia la sepoltura, picchiando i suoi cari quando cercarono di impossessarsi dei suoi resti.
Casi simili sono diffusi, nella Striscia di Gaza, e non riguardano solo gli "oppositori politici", o presunti tali. Secondo HRW molti palestinesi che hanno subito torture sono troppo terrorizzati per denunciare l'accaduto. Gli stessi ospedali si rifiutano di far visionare le cartelle cliniche.

Fonte: Times of Israel.

I palestinesi chiedono la testa di Abu Mazen

Mentre Abu Mazen è a New York, una folla di 200 manifestanti si è riunita nei pressi del quartier generale di Al Fatah, a Ramalla, per chiederne le dimissioni. La primavera araba è deflagrata anche nei territori palestinesi e nelle principali città. E se inizialmente gli strali erano rivolti verso il primo ministro Salam Fayyad, e verso le sempre più difficile condizioni economiche; adesso le proteste, sempre più vibranti, sono rivoltenei confronti del presidente dell'ANP.
Le accuse sono vibranti: Abu Mazen è responsabile dell'arresto di simpatizzanti di Hamas a Ramallah, è reo dell'incarcerazione di oppositori al regime (elezioni qui non sono tenute da tre anni, e se ne comprende la ragione: le urne potrebbero consegnare il potere a soggetti diversi da quelli che attualmente lo detengono), e si occupa più di viaggiare e soggiornare all'estero che di pagare le retribuzioni ai dipendenti pubblici, a secco da tre mesi.
Il successore di Yasser Arafat, dedito secondo le accuse alla corruzione e all'arricchimento personale e del suo entourage, sta ripetutamente minacciando le dimissioni, nel vano tentativo di compattare i simpatizzanti e di sparigliare gli oppositori. Ma questo volta il bluff potrebbe essere "visto". Tanto più che il vicino stato israeliano, stanco dei rifiuti di sedersi al famoso tavolo delle discussioni di pace, potrebbe meditare il disimpegno militare dalle aree strategiche dei territori contesti, rendendo l'ANP vulnerabile alle minacce di gruppi islamici sempre più ostili e aggressivi nei confronti della vecchia leadership.

Fonte: Arutz Sheva.

lunedì 1 ottobre 2012

Per alcuni palestinesi Israele è meglio dell'Egitto

Quando si tratta di salvare la vita, si accantonano rancori e ostilità spesso alimentati da un ceto politico autoreferenziale e corrotto. Ha fatto scalpore la notizia di qualche settimana fa del cognato del primo ministro di Gaza, ricoverato in un ospedale israeliano per un delicato intervento chirurgico. Magari la credibilità e la coerenza di Hamas hanno subito nella circostanza un pesante contraccolpo, ma ha prevalso il principio sintetizzato nel celebre "c'ho famiglia" di Ennio Flaiano. Ma sono casi eclatanti, che facilmente guadagnano le prime pagine dei giornali. Meno noti i tanti casi di salvataggio di vite umane da parte degli ospedali israeliani a vantaggio delle famiglie palestinesi che ad essi ricorrono.
Un caso di questi è stato reso noto in questi giorni. Jian Abu Agram è una donna di 31 anni, originaria di Gaza, che ha perduto tre figli per malformazioni congenite alla nascita. Così, quando la sua bambina ha presentato una patologia intestinale, confortata dai suoi medici, non ha esitato questa volta a preferire l'ospedale di Kfar Sava, nei pressi di Tel Aviv, agli ospedali egiziani a cui si era precedentemente rivolta.
L'intervento, complesso, è perfettamente riuscito, e la bambina è tornata a casa due settimane fa, insieme alla mamma, attraverso il valico di Erez.

Fonte: Arutz Sheva.