giovedì 29 marzo 2012

Lo Scudo Difensivo ha assolto il suo compito


Dieci anni fa partiva l'operazione Scudo Difensivo, che avrebbe evitato ulteriore spargimento di sangue.
Si veniva al "marzo nero", un mese durante il quale morirono oltre cento israeliani per mano del terrorismo (spesso suicida) palestinese, proveniente dalle città cisgiordane di Jenin, Betlemme, Ramallah e Nablus. L'ultimo massacro fu l'attentato a Nethanya, in cui oltre 30 civili israeliani - per la maggior parte sopravissuti all'Olocausto - persero la vita in un incontro presso la città costiera dello stato ebraico.
Gli scontri fra l'esercito israeliano e le organizzazioni terroristiche palestinesi furono sanguinosi, con perdite di vite da ambo i lati (29 soldati, di cui la metà riservisti - cioé civili prestati all'esercito per difendere la patria - e un numero imprecisato di vittime dall'altro lato, spesso loro malgrado scudi umani in mano al terrorismo palestinese, in spregio alla Convenzione di Ginevra). Ma dopo poco più di un mese, il 10 maggio, l'operazione ebbe completamento, e la vita dei civili israeliani ha potuto tornare a svolgersi con maggiore serenità.
Ad un anno di distanza, il numero di vittime per mano del terrorismo palestinese è sceso del 10%.
Nel 2007 sono stati registrati 461 attacchi. Un numero drammatico, ma in significativo calo.
Nel 2008, il dato è sceso a 86.
Nel 2009, è calato ulteriormente a 17, e a 11 nel 2010. Lo scorso anno, sono state registrate "solamente" nove aggressioni, che hanno provocato in tutto otto morti, rispetto ai sei del 2010. Per quanto detestabile, lo scudo difensivo ha salvato la vita a centinaia di civili, riducendo il terrore portato nello stato ebraico per mano del terrorismo.
Purtroppo, ciò che lo scudo non respinge è il flusso di menzogne e diffamazioni che ancora oggi il fondamentalismo islamico lancia dall'altro lato, spesso con la sponda complice dei media occidentali.

mercoledì 28 marzo 2012

"Le iene" in crisi. C'era da scommetterci

Leggo stamattina sul Corriere della Sera della profonda crisi in cui versa il programma storico di Italia 1, una volta credibile realizzatore di inchieste.
La crisi della stagione 2011/2012 non è una sorpresa. Si è partiti da subito con il piede sbagliato. Sin da quel famigerato giorno di ottobre, in cui un inviato a Gaza confezionò una spudorata montatura propagandistica, in cui mostrava un quadro opposto a quello reale. Il pubblico non ha abboccato e ha punito queste mistificazioni.

Pelazza: più che iena, una carogna

Hamas si prepara ad aggredire Israele



Secondo il giornale libanese al-Mustaqbal, vicino alle posizioni dell'ex premier di Beirut Saad Hariri, defenestrato per le pressioni di Hezbollah, timorosa di un giudizio negativo da parte del tribunale speciale per il Libano, che indaga sull'assassinio dell'ex primo ministro libanese, padre di Saad Hariri; lo scopo della recente visita di Ismail Haniyeh in Iran è stato quello di concordare una strategia fra Hamas e la repubblica islamica in caso di strike israeliano sulle installazioni nucleari iraniane. Lo rivela il quotidiano Yediot Ahronot nella sua versione online.
Hamas, l'organizzazione terroristica palestinese che governa Gaza dal 2006, ha perso posizioni dopo la crisi siriana. Dopo aver sgomberato da Damasco per timore di essere colpita dal collasso del regime di Assad, Hamas ha cercato invano una nuova sede definitiva, trovando ospitalità nel Qatar. Ci sono stati stridenti tensioni con l'Iran, che chiedeva all'enclave palestinese il pieno appoggio della brutale politica repressiva di Assad, ma il massacro di palestinesi nei dintorni di Damasco ha indotto Hamas a ritirare la sponsorizzazione del responsabile di oltre 9.000 morti (stime ONU). Così, Hamas ha perduto preziosi fondi, e la possibilità di una intesa con i rivali dell'ANP non ha migliorato la situazione finanziaria, vista anche la minaccia dell'Occidente di ritirare il supporto finanziario in caso di matrimonio fra l'entità nata dagli Accordi di Oslo e i terroristi che governano la Striscia.
Così, Hamas si è recata due volte in visita a Teheran, ottenendo subito preziosi fondi (33 milioni di dollari, tanto per incominciare), e concedendo l'impegno a trafugare a Gaza armi e munizioni, da impiegare nei confronti di Israele qualora lo stato ebraico dovesse decidere nelle prossime settimane di passare all'azione, superando i tentennamenti americani. Ma c'è tensione allo stesso interno dell'organizzazione terroristica: mentre Khaled Mashaal sostiene la strada diplomatica, ed esclude il ricorso alla ritorsione nei confronti di Israele, Ismail Haniyeh sono orientati ad accettare il legame con l'Iran e conseguentemente con la Siria; questo, anche per non essere scavalcati dagli ultrafondamentalisti della Jihad Islamica, che comincia a prendere piede nella Striscia, anche nel tentativo di cavalcare il crescente malcontento della popolazione, stremata dalla crisi energetica aggravata proprio dall'intransigenza di Hamas, che a Gaza fa entrare soltanto il combustibile di provenienza egiziana - su cui fa una lucrosa cresta - snobbando il gasolio provieniente da Israele, su cui non può imporre alcun pedaggio.

martedì 27 marzo 2012

Brevissime dal Medio Oriente

La chiameranno «primavera palestinese»? A Gaza crescono i preparativi per una protesta di massa della popolazione contro il regime di Hamas. La crisi energetica - il regime terrorista non permette l'ingresso di combustibile dall'Israele, e lo accetta soltanto dall'Egitto, perché ci fa la cresta sopra, pretendendo un forte pedaggio - sta mettendo a dura prova la popolazione, e qualche giorno fa un bambino è morto perché il respiratore artificiale è rimasto senza alimentazione.
Secondo un gruppo su Facebook, uno sciopero generale è previsto per giovedì.

Dopo l'11 settembre la strategia del terrorismo islamico è cambiata: non più grandi attentati, visti anche i maggiori controlli; che oltretutto cementano l'opinione pubblica occidentale e provocano ferite che si rimarginano ("non dobbiamo darla vinta ai terroristi"). Ma piccoli interventi, di attentatori "isolati". Cani sciolti, come quello di Tolosa, o di Brescia (fallito attentato alla sinagoga di Milano. Solo apparentemente, cani sciolti. In realtà parte di un disegno strategico: minare la società occidentale, già molle e decadente per conto suo, con tanti piccoli attacchi, tali da non sollevare l'indignazione generale, ma alla lunga decisivi.

Secondo la stampa palestinese, Hamas ha arrestato a Gaza oltre 50 membri di Al Fatah (il partito di Abu Mazen, espulso con un sanguinoso colpo di stato nel 2007 dall'organizzazione terroristica palestinese) fra venerdì e sabato.
Ieri sera, Hamas ha arrestato il portavoce di Al Fatah, Fayez Abu Eita, accusato di distribuire volantini con cui si incitava la popolazione a protestare contro il governo estremista.

La polizia francese ha appena reso noto che NON è stato il terrorista musulmano di origine algerina a spedire il video del massacro alla scuola ebraica.
La tesi fantasiosa del "lupo solitario" tramonta.




Dieci anni fa, a Netanya, in Israele, morivano 30 persone, e 140 rimasero ferite, in seguito all'attentato compiuto da un terrorista suicida di Hamas. La stessa Hamas che governa la Striscia di Gaza dal 2006. La stessa Hamas che ha lanciato oltre 300 missili contro Israele in una settimana. La stessa Hamas che l'altro giorno ha parlato a Ginevra al "Consiglio ONU per i diritti umani". La stessa Hamas che dopodomani sfilerà a Gerusalemme (ah!, la democrazia...), nell'ambito di un'iniziativa a cui parteciperanno anche Hezbollah e altre organizzazioni antisioniste e di estrema sinistra.

Hamas specula sulla pelle dei palestinesi



C'è una brutta storia che proviene da Gaza. Mohammed Helou, un bambino di cinque mesi attaccato ad un respiratore artificiale, è morto all'inizio del mese perché il generatore elettrico che alimentava la macchina che lo teneva in vita si è spento, per il black-out di 18 ore al giorn imposto da Hamas all'intera Striscia di Gaza.
Il governo di Gerusalemme si è impegnato in uno sforzo umanitario senza precedenti inviando tonnellate di combustibile al valico di Kerem Shalom, al confine settentrionale fra la Striscia e Israele, ma il regime di Hamas si è rifiutato di far entrare il gasolio: accetta carburante che entri soltanto dal valico al confine meridionale con l'Egitto.
Due considerazioni: una squallida, l'altra dolorosa. Hamas preferisce che le merci entrino da sud perché in questo modo riesce a "fare la cresta", imponendo un pedaggio alle merci in transito. Così, mentre la popolazione muore di fame, le casse dell'organizzazione terroristica si gonfiano. Nulla di nuovo: succedeva anche ai tempi di Arafat.
L'altra considerazione, non imprevedibile, è che si continua a fare propaganda sulla pelle dei palestinesi. Hamas e il padre del bambino, desiderosi della ribalta e dell'approvazione internazionale, hanno cercato di attribuire a terzi (al governo egiziano, o addirittura a quello israeliano), la responsabilità della morte di Mohammed Helou. C'è cascata anche l'agenzia di stampa AP, che ha rilanciato questa tesi. Salvo fare vistosamente marcia indietro quando si è accorta dell'inganno: il bambino è morto non venerdì, ma il 4 marzo, a giudicare da un articolo apparso su un quotidiano simpatizzante per la fazione rivale di Al Fatah. Hamas ha cercato di sfruttare a proprio vantaggio questa tragedia.
Non è la prima volta: la stampa palestinese spesso denuncia morti senza fornire prove (che la credulona stampa occidentale non chiede: come quel famoso lassativo, "basta la parola"), i feriti riportati si decuplicano, e si riesumano morti di anni precedenti, facendoli passare per vittime della reazione israeliana. Due settimane fa un ragazzino è saltato in aria mentre si recava a scuola: immediata la condanna di Israele, salvo scoprire poco dopo che recava con se' del materiale esplosivo, da consegnare probabilmente a qualche milizia terroristica palestinese.
Per fortuna adesso Internet smaschera questi vergognosi impostori incalliti.

Malgrado tutti, è un grande successo

Lo stato di Israele è stato tormentato dalle ostilità dei paesi vicini sin dalla sua fondazione, per pronunciamento unanime dell'ONU il famoso 27 novembre 1947. Nel 1948 viene proclamato lo stato, e subito dopo gli stati arabi confinanti gli dichiarano guerra, subendo la prima di innumerevoli sconfitte.
Ma dagli anni '70 in poi cambia il modo con cui il mondo osserva questo microscopico stato, circondato dalla belligeranza di sterminati territori arabi e spesso antisionisti, se non propriamente antisemiti. Questo perché fino ad allora lo stato ebraico era fondamentalmente povero, dall'economia socialista e dal reddito pro-capite inferiore alla media. Non a caso, fino ad appena un paio d'anni fa l'OCSE classificava Gerusalemme come economia emergente, prima di promuoverla ad "avanzata". La benevolenza con cui il pingue mondo occidentale ha osservato Israele ha lasciato posto prima allo stupore per il cambio di marcia nella performance economica, e poi ad un misto di invidia ed irritazione: la crescita dell'economia ha pochi precedenti nel mondo occidentale, e rivaleggia con il boom delle economie asiatiche.



Nel 2004, il PIL pro-capite era pari a meno di 19.000 dollari. Oggi è balzato a più di 22.000 dollari. Il bilancio dello stato è sotto controllo, e il debito pubblico non desta timori. L'economia è il fiore all'occhiello di Israele: il PIL era pari a 113 miliardi di dollari nel 2003; raddoppierà, quest'anno, a più di 225 miliardi di dollari. Ciononostante l'inflazione è sotto controllo: l'indice dei prezzi al consumo è cresciuto di meno del 2% negli ultimi dodici mesi.
Risultato di questo boom: la piena occupazione. Il tasso di disoccupazione è sceso al minimo storico del 5.4%. E' privo di lavoro soltanto chi non vuole lavorare. C'è benessere e opportunità per tutti, e ci sarebbe anche per gli stati confinanti che fossero disposti a deporre le armi e a rimboccarsi le maniche.
Il settimanale Bloomberg Business Week ha appena celebrato le performance dell'economia israeliana, mettendo a raffronto la crescita del mercato del lavoro, con le economie di Cina, Brasile, Stati Uniti e Area Euro: non c'è confronto, il miracolo economico israeliano fa impallidire paradigmi ben più noti. Nonostante la crescente ostilità degli stati arabi confinanti, nel Medio Oriente c'è una perla che brilla e che genera benessere e occupazione per tutti. Un ulteriore motivo per il fondamentalismo islamico per tentare di annichilire lo stato ebraico.

venerdì 23 marzo 2012

Ma come c'é finita all'ONU?



Domanda: può una appassionata attivista filopalestinese, evidentemente accecata dall'odio, prestare la sua opera come dipendente alle Nazioni Unite?
Si parla di Khulood Badawi, l'impiegata dell'agenzia ONU per gli Aiuti Umanitari, che qualche giorno fa sul suo profilo Twitter ha diffuso immagini raccapriccianti di una bambina palestinese coperta di sangue, spacciandola per vittima di una aggressione israeliana.
Non è la prima volta che ciò accade, naturalmente: i media sono specializzati nello spacciare patacche diffamatorie e false ai danni dello stato ebraico. E la foto in questione in realtà ritraeva sì una bambina palestinese, ma perita in un incidente, e nel 2006. Fa nulla, è sempre utile per la "causa".
Ma, ritorniamo alla domanda: è legittimo che una persona del genere possa coordinare gli sforzi delle Nazioni Unite verso i bisognosi? che dire del principio di obiettività ed equidistanza che dovrebbe orientare l'operato dell'ONU?
La Badawi non si è scusata per la grottesca mistificazione, sostenendo che sì, quelle immagini erano false, ma sostanzialmente parlava a titolo personale e sul suo profilo Twitter può affermare ciò che vuole. Vero. Ma che dire se facessimo gestire l'agenzia per le vittime dell'Olocausto ad uno che privatamente si dichiara un fervente ammiratore di Goebbels?...

E nel frattempo l'ONU prepara una nuova iniziativa ostile nei confronti di Israele (e ti pareva!...) In Siria Assad ha massacrato oltre 8000 cittadini. Niente, nessuna condanna, soltanto qualche timido rimprovero dal Palazzo di Vetro...
Siccome il giudice Goldstone ha fatto clamorosamente marcia indietro - seppure con inaccettabile ritardo - dopo aver scritto un documento diffamatorio su Israele all'indomani dell'operazione Piombo Fuso (2008/2009) a Gaza (disse un anno fa: «se avessi saputo le cose per come sono andate, non avrei scritto quel documento»); che ti fa l'ONU? ti prepara un altro documento di condanna! questa volta, per scoprire se la politica israeliana "lede i diritti umani dei palestinesi".
Il Consiglio dei Diritti Umani, in cui siedono la Siria, la Libia, Cuba, l'Arabia Saudita, la Cina, e altri stati che di diritti umani sono esperti, ha approvato nella sua vita 91 risoluzioni; di cui, 39 contro Israele, 3 contro la Siria e 1 contro l'Iran. E oggi parlerà il delegato siriano...
Non che occorressero nuove prove per documentare il discredito di cui gode questa istituzione. Ma quantomeno, non sarebbe meglio impiegare il milionario budget di cui dispone per iniziative benefiche e non per finanziare una campagna stampa giornaliera vergognosamente falsa e diffamatoria?