mercoledì 26 ottobre 2011

Come nel 2008 è sfuggita la pace fra Israele e palestinesi


"No, no e ancora no". E' questa in estrema sintesi la strategia araba nei confronti di Israele e della prospettiva di una pace duratura. Tanto di cappello nei confronti di Hamas, che esplicitamente dichiara sin dal suo atto costitutivo la volontà di perseguire la distruzione di Israele, ed eventualmente l'eliminazione fisica degli israeliani non arabi (possibilmente): la coerenza consente di osservare la brutalità dell'organizzazione terroristica islamica che controlla la Striscia di Gaza, senza alcun filtro. Gli amici-nemici di Al Fatah, invece, di stanza in Cisgiordania, non disdegnano accordi tattici che però rappresentano obiettivi intermedi in vista dello stesso fine perseguito da Hamas. E così, quando la pace sembra vicina, ecco che un calcio la allontana irrimediabilmente: è successo nel 2000, quando davanti a Clinton Arafat strinse la mano a Barak, concordando una pace in cambio della sovranità palestinese sul 93% dei territori contesi; salvo tornare in patria e dichiarare una nuova sanguinosa intifada nei confronti della popolazione israeliana.

Stanno uscendo in questi giorni le memorie di Condoleeza Rice, segretario di Stato sotto l'amministrazione Bush. Il settimanale Newsweek ne fornisce alcune anticipazioni, riprese da Israel National News. Secondo la Rice, Olmert desiderava raggiungere un accordo definitivo con i palestinesi entro il 2008, e a maggio studiò un'intesa da proporre ad Abu Mazen. Secondo questa proposta, Israele avrebbe riconosciuto la sovranità palestinese sul 94% dei territori del West Bank, in alcuni casi mediante scambi territoriali, e la creazione di due capitali nella città di Gerusalemme: ovviamente, la parte occidentale capitale di Israele, e la parte orientale capitale dello stato palestinese, che avrebbe indicato il vice-sindaco della giunta cittadina. La proposta si spingeva fino al punto di prevedere un graduale ingresso in Israele di rifugiati palestinesi, lontani parenti di quelli che lasciarono lo stato ebraico nel 1949 su sollecitazione degli stati arabi confinanti e belligeranti; nonché un consiglio cittadino, composto da personalità di varie etnie e nazionalità, che si sarebbe pronunciato sui luoghi sacri della capitale mondiale delle religioni monoteiste.
I due leader politici, racconta la Rice, si incontrarono, ma Abu Mazen si rifiutò di sottoscrivere immediatamente l'accordo, adducendo il prestesto di necessitare prima del parere di alcuni fantomatici "esperti" (di cui il mondo intero ignora l'esistenza: davvero Abu Mazen ha mai sentito il bisogno di consultarsi con altri soggetti?). Naturalmente, la seduta fu aggiornata, ma non ci fu mai un seguito.
Rammaricata per l'occasione storica sfuggita, l'allora segretario di Stato suggerì a Bush di convocare il primo ministro israeliano e il leader dell'ANP a Washington per formalizzare la generosa intesa proposta da Olmert. I due esponenti giunsero separatamente nella capitale americana per un ultimo saluto al presidente in scadenza di mandato, ma nonostante le sollecitazioni di Bush, Abu Mazen si rifiutò di dare seguito ad una proposta eccezionale e senza precedenti per le concessioni riconosciute. E così la pace sfuggì di mano.

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