sabato 28 maggio 2011

Continua la macelleria siriana...



Secondo fonti diplomatiche la Siria sarebbe dietro l'attentato di ieri che ha provocato la morte di un soldato italiano e il ferimento di altri quattro nel sud del Libano.
Poco prima dell'esplosione un ministro siriano ha avvisato l'Unione Europea che si sarebbe pentita delle sanzioni imposte al "presidente" Assad e ai vertici siriani.

Secondo una ONG, dopo undici settimane di proteste i morti ammazzati dal regime siriano sono almeno 1.100; 16 mila gli arrestati, 300 gli scomparsi e 4.000 i feriti.
E l'Occidente sta a guardare: su pressione della Russia, il G8 ha rimosso dal comunicato finale qualsiasi accenno al genocidio che il regime di Assad (alleato di Mosca) sta compiendo ai danni della popolazione.
Mentre in Italia il cardinale Bagnasco denuncia l'"eccesso di violenza" in Siria. Ma quando mai la violenza è da condannare quando eccessiva? forse se i morti fossero "soltanto" 110 sarebbero tollerabili? forse lo sarebbero per la coscienza di questo vescovo?..

UNIFIL (Libano): un missione insensata



E' evidente a tutti la posizione del contingente italiano nel sud del Libano: sulla carta, quello di indurre il disarmo delle milizie di Hezbollah, che ricevono armi e munizioni dalla Siria, e che lanciano attacchi verso il nord di Israele. Di fatto, la missione UNIFIL ha l'ingrato compito di farsi gli affari propri, e di girarsi dall'altro lato quando i terroristi giocano alla guerra con la pelle dei civili. Quando questo mandato è disatteso, come è successo ieri, i soldati sono fatti saltare in aria.
Antonio Martino, ex ministro degli Esteri, ha giustamente usato parole di fuoco nei confronti dell'allora "responsabile" della Farnesina, che in seguito si è fatto immortalare a braccetto con uno sgherro di Hezbollah in un viale di Beirut.
La riflessione, sconsolata, è tratta dal blog del professore Martino
.

L’attacco terroristico del quale sono state vittime nostri militari ripropone con drammaticità un quesito finora irrisolto: qual è l’obiettivo della nostra massiccia presenza all’interno di Unifil, la missione delle Nazioni Unite? Quella missione, come il mulo, non ha motivo di essere orgogliosa dei suoi ascendenti né speranza di avere discendenti. Nasce, infatti, per una ragione assai poco commendevole: il ministro degli esteri del governo Prodi, infatti, per farsi perdonare la precipitosa fuga dall’Iraq si adoperò con tutte le sue forze per dar vita a una missione, forte di una massiccia presenza italiana, in Libano.
Il ministro, forte di ben sette sottosegretari, aveva dovuto immediatamente cancellare la seconda fase della missione irachena, venendo meno agli impegni assunti dall’Italia con le Nazioni Unite, per compiacere i pacifisti violenti che sostenevano il suo governo. La missione concordata era civile, organizzata dal Ministero degli Esteri su mandato dell’Onu e guidata da un funzionario italiano delle Nazioni Unite.
L’italico Talleyrand post-comunista, per motivare la decisione di scappare dall’Iraq, fece ricorso al mendacio intenzionale. Rilasciò, infatti, un’intervista a La Stampa nella quale sosteneva che la prosecuzione della presenza italiana in Iraq sotto forma di missione a scopi civili era frutto di un accordo segreto fra Berlusconi e Martino con gli americani, senza informarne il Parlamento. Quando gli ricordai che quella decisione corredata di tutti i dettagli era stata da me presentata alle commissioni congiunte esteri e difesa di Camera e Senato, pur essendo stato colto con le mani nel sacco, rifiutò di scusarsi per la sua grossolana menzogna.
Ma il debutto del nostro ministro degli Esteri (uno dei due a non essersi laureato nella storia d’Italia), non fu caratterizzato solo dalla spudorata menzogna. Perché fosse chiara la sua competenza internazionale, in occasione di una visita a Teheran, tenne a dichiarare che il diritto dell’Iran al nucleare era “inalienabile” (sic). Seguì la nota passeggiata per le strade di Beirut a braccetto di un caporione di Hezbollah e la dichiarazione di “equivicinanza” (sic) fra Israele e i palestinesi.
La nostra missione in Libano, quindi, è nata male, per ragioni di politica interna e senza alcuna seria riflessione sulle sue finalità. Il mandato dell’Onu prevedeva il blocco delle forniture militari che, attraverso la Siria, affluivano a Hezbollah e il disarmo di quest’ultimo. Ma nessuno ha mai ordinato di eseguirle e la loro fattibilità era comunque dubbia. Cosa ci stanno a fare allora i nostri militari in Libano? La risposta ufficiale è che sono un “cuscinetto”, una forza d’interposizione fra Hezbollah e Israele, che ha anche l’obiettivo di stabilizzare la regione. Quanto sia riuscito il tentativo di stabilizzare il Libano è platealmente dimostrato dalle vicissitudini di quel martoriato paese nel periodo in cui ha goduto della presenza di Unifil.
Né appare convincente la tesi secondo cui si tratterebbe di una forza d’interposizione. Quest’ultima, infatti, interviene quando i due contendenti raggiungono una tregua e concordano sulla necessità che una forza terza si frapponga fra loro per impedire che venga violata. Non mi risulta che queste condizioni siano mai esistite per il Libano.
Hezbollah si propone, come sempre, la distruzione d’Israele e non mi sembra che Israele sia disposta a lasciarsi distruggere. Il favore con cui i pacifisti violenti del governo Prodi videro la missione era dovuto alla loro convinzione che sarebbe servita a proteggere Hezbollah dall’esercito israeliano, Si tratta di tutelare le forze progressiste del “partito di Dio” dalla ferocia dei sionisti servi dell’America!
Il mulo, come tutti gli ibridi, è sterile; temo che Unifil non sia soltanto sterile, perché priva di obiettivo serio, ma anche pericolosa per i nostri militari che, come quest’ultima tragedia dimostra, rischiano la vita per una missione insensata voluta solo ad pompam vel ostentationem.

venerdì 27 maggio 2011

Il Vaticano ha aiutato i nazisti a fuggire dopo il 1945



Secondo un libro appena pubblicato da uno studioso di Harvard, Gerald Steinacher, dopo il 1945 il Vaticano ha deliberatamente aiutato circa otto mila gerarchi nazisti - fra cui Adolf Eichmann e Josef Mengele - a fuggire dall'Europa, trovando riparo nel Regno Unito e in Canada, evitando così un processo e la condanna per i crimini di cui si sono macchiati.
Il libro esamina i fatti avvenuti fra il 1945 e il 1950, basandosi su documenti della Croce Rossa Internazionale, e rivela come i criminali nazisti guadagnarono la fuga e l'esilio grazie a passaporti falsi procurati da una apposita commissione istituita presso la Santa Sede di papa Pio XII (quello dei "silenzi" ai tempi del rastrellamento degli ebrei romani del 16 ottobre 1943).

giovedì 26 maggio 2011

E' la "primavera araba", baby



State attenti a ciò che chiedete, perché potreste finire per ottenerlo.
Secondo un quotidiano egiziano, un gruppo di "politici" e militari locali starebbe lavorando ad una versione in salsa araba del partito nazista. L'iniziativa partirebbe da un ex ufficiale militare, e raccoglierebbe "figure di spicco della società egiziana".
Secondo il quotidiano, che cita un portale informativo progressista, un partito nazista sarebbe esistito ai tempi di Mubarak, ma il regime del deposto rais egiziano avrebbe sempre impedito che operasse pubblicamente.
Due gruppi sarebbero stati attivati su Facebook, e non mancherebbero le manifestazioni di interesse.

mercoledì 25 maggio 2011

Standing Ovation del Congresso USA per Netanyahu



Fonte: Israele.net

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha tenuto martedì il suo attesto discorso di fronte al Congresso americano (qui è visibile il video integrale dell’intervento) , che lo ha accolto con calorosi applausi ed ovazioni. Nel suo discorso, Netanyahu fra l’altro ha sollecitato il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) a strappare il patto con Hamas e fare la pace con lo stato ebraico, sottolineando che Israele è pronto a ritirarsi da parte degli insediamenti in Cisgiordania.

“Sono profondamente commosso da questo vostro caloroso benvenuto – ha esordito il primo ministro israeliano – e sono profondamente onorato dell’opportunità che mi date di rivolgermi a questo Congresso per la seconda volta [dopo quella del 1996]. Vedo qui molti vecchi amici ed anche un bel po’ di amici nuovi, sia democratici che repubblicani. Israele non ha un amico migliore dell’America, e l’America non ha un amico migliore di Israele”.

“Come mai finora la pace ci è sfuggita? – si è poi domandato Netanyahu, passando ad analizzare il conflitto arabo-israeliano – Perché finora i palestinesi non sono stati disposti ad accettare uno stato palestinese se questo significa accettare uno stato ebraico al suo fianco. Noi desideriamo che i palestinesi vivano liberamente nel loro stato. Perché i palestinesi non sono disposti a riconoscere lo stato ebraico di Israele, e continuano a inculcare nei loro figli l’odio verso Israele? Abu Mazen deve fare quello che ho fatto io quando ho detto ai miei concittadini che avrei accettato uno stato palestinese: deve dire alla sua gente di accettare Israele come stato nazionale del popolo ebraico”.
Netanyahu ha rimarcato che Israele non è una potenza coloniale. “Il popolo ebraico – ha detto – non è un occupante straniero. Noi non siamo gli inglesi in India, o i belgi in Congo. Questa è la terra dei nostri padri: nessuna distorsione della storia potrà mai smentire il legame di quattromila anni tra il popolo ebraico e la terra ebraica”.

“La storia ci ha insegnato a prendere sul serio le minacce – ha continuato il primo ministro – Israele si riserverà sempre il diritto di difendersi. La pace con Giordania ed Egitto non è sufficiente: dobbiamo trovare un modo per fare pace con i palestinesi”. Riconoscendo che lo stato palestinese dovrà essere “abbastanza grande da essere vitale”, Netanyahu ha affermato: “Sono pronto a fare dolorose concessioni pur di arrivare alla pace. In quanto leader, è mia responsabilità guidare il mio popolo alla pace. Non è facile, perché mi rendo conto che per un’autentica pace ci verrà chiesto di cedere parti dell’ancestrale patria ebraica. Saremo generosi – ha continuato il primo ministro – circa le dimensioni dello stato palestinese, ma saremo molto determinati su dove porre i confini. Come ha detto il presidente Barack Obama, il confine definitivo sarà diverso da quello del 1948. Israele non tornerà alle linee del 1967”. Gerusalemme, in ogni caso, “deve rimanere la capitale unita d’Israele”. Solo lo stato democratico d’Israele, ha sottolineato Netanyahu, “ha protetto la libertà di tutte le religioni” nella città santa.

Netanyahu ha dichiarato che lo status degli insediamenti (in Cisgiordania) verrà concordato nel quadro dei negoziati di pace, e ha aggiunto: “In qualsiasi vero accordo di pace che ponga fine al conflitto, una parte degli insediamenti finirà col trovarsi al di là delle frontiere di Israele”, e in ogni caso “l’esatto confine verrà stabilito nel negoziato”. Anche il problema dei profughi e dei loro discendenti, ha aggiunto, dovrà trovare soluzione al di fuori delle frontiere di Israele.

Citando il ritiro israeliano dalla striscia di Gaza e dal Libano meridionale, “da dove Israele ha poi ricevuto solo missili”, il primo ministro ha messo in guardia rispetto al pericolo di un massiccio afflusso di armi nel futuro stato palestinese, che potrebbero essere usate contro Israele dopo che si fosse ritirato dai territori. Per questo, lo stato palestinese dovrà essere smilitarizzato e dovrà permanere una presenza militare israeliana nella Valle del Giordano, lungo il confine con la Giordania.

All’inizio del discorso Netanyahu si è congratulato con gli Stati Uniti per l’eliminazione del capo di al-Qaeda, Osama bin Laden: “Che sollievo!”, ha esclamato. Ed ha ringraziato il presidente Obama per il suo forte impegno verso la sicurezza di Israele. “Israele – ha poi aggiunto – non negozierà con un governo palestinese sostenuto dall’equivalente palestinese di al-Qaeda. Hamas non è un interlocutore per la pace, giacché rimane votata al terrorismo e alla distruzione di Israele. Hanno una Carta che non invoca soltanto l’annichilimento di Israele. Essa dice: uccidete gli ebrei”. Netanyahu ha anche ricordato che il capo di Hamas ha condannato l’uccisione del “martire” bin Laden. È vero che la pace va negoziata coi nemici, ha osservato Netanyahu, “ma solo coi nemici che vogliono fare la pace”.

A un certo punto il discorso è stato interrotto da una manifestante, alla quale il primo ministro israeliano ha reagito dicendo: “Sapete, io prendo come un onore, e sono certo che lo fate anche voi, il fatto che nella nostra società libera si può manifestare. Nei ridicoli parlamenti di Tripoli e di Teheran questo non potrebbe accadere: ecco la vera democrazia”. Netanyahu ha ricordato di nuovo al Congresso che Israele è la sola democrazia in un turbolento Medio Oriente. “In un Medio Oriente instabile, Israele è l’unica àncora di stabilità” ha affermato, ribadendo che Israele sarà sempre amico dell’America.

Infine Netanyahu si è rivolto direttamente al presidente Abu Mazen sollecitandolo a cancellare l’accordo di riconciliazione con Hamas. “Straccia quel patto con Hamas – ha detto – siediti a negoziare per fare la pace con lo stato ebraico, e Israele sarà fra i primi a dare il benvenuto a uno stato palestinese”.

domenica 22 maggio 2011

Obama: i confini fra Israele e Palestina non possono essere quelli del 1967



"Non ci si può aspettare che Israele negozi con Hamas", ha affermato oggi Obama, chiedendo al gruppo islamico palestinese che controlla la Striscia di Gaza (e presto anche la Cisgiordania) di rilasciare Gilad Shalit, sequestrato cinque anni fa in Israele da un commando palestinese: "nessun paese può negoziare con un gruppo terroristico che lavora alla sua distruzione", ha chiosato Obama. Il "Corriere della Sera" in una "ultima ora", ha preferito citare Hamas (secondo il quale Obama mira all'attacco dell'accordo Hamas-Fatah), e non il presidente degli Stati Uniti d'America, il che è tutto dire...

Già stamattina in una intervista alla BBC Obama ha corretto il tiro rispetto alle dichiarazioni dell'altro giorno, che seguono il "famoso" discorso del Cairo, affossandolo definitivamente (e opportunamente), e rispolverando la dottrina Bush, così tanto sdegnatamente respinta due anni fa.
L'impressione però è che questa ennesima sterzata riveli ancora una volta la natura ondivaga del presidente americano, e l'assenza di strategia. Non sembra proponibile un parallelo con Arafat, che in visita nelle capitali europee portava in mano il ramoscello d'ulivo e predicava pace; mente nelle piazze arabe infiammava le masse con il kalashnikov e inneggiava all'intifada. No, Obama è proprio così: cerca di piacere a tutti, e nel frattempo perde credibilità e autorevolezza.

Daniel Barenboim, un degno cittadino di Eurabia...



Vogliamo parlare di questo personaggio squallido, ospite ieri sera di Fazio, che da israeliano ha parole da spendere per la pace (e chi è contro la pace?!?!?), ma non ha nemmeno una parola per Gilad Shalit, soldato israeliano sequestrato in Israele quasi cinque anni fa, e tuttora nelle mani di Hamas, di cui non si hanno notizie, e a cui non è consentita nemmeno la visita della Croce Rossa Internazionale?
Vogliamo parlare della pugnalata che inflisse in patria, quando pur senza che fosse previsto dal cartellone, davanti a reduci dei campi di sterminio nazisti suonò Wagner, disinteressandosi del fatto che fosse il musicista preferito nel Terzo Reich?
Vogliamo parlare di quando, docile come un agnellino, accontentò i "moderati" dell'ANP, che come condizione per il suo concerto a Ramallah, gli imposero di annullare il concerto che avrebbe tenuto anche a Tel Aviv?
E di quando nel 2008 accettò gioioso il passaporto palestinese (di uno stato che non esiste. Anch'io desidero il passaporto di Paperopoli!...), consegnatogli direttamente da Ismail Haniyeh, leader di Hamas, che quotidianamente lancia attacchi contro Israele? Giusto per compiacere i suoi amichetti, Barenboim si è dichiarato contrario alla barriera di protezione che corre lungo il confine fra Israele e Cisgiordania, e che centinaia di innocenti ha salvato dalle incursioni omicide dei terroristi palestinesi...

venerdì 20 maggio 2011

Un Obama piccolo piccolo



Davvero il presidente americano appare mediocre e senza una strategia. Compie spostamenti tattici da un lato all'altro. Da' ascolto ora alla Clinton (che per mesi ha insistito sulla "volontà riformatrice" del regime di Assad, salvo capitolare di fronte al massacro di centinaia di siriani e al ritrovamento delle fosse comuni), ora ai falchi, che hanno fatto notare che i morti libici esigevano una azione immediata, senza tentennamenti.

Mortifica l'alleato israeliano, dimenticando l'impegno già preso ufficialmente dagli Stati Uniti a proposito dei confini e della sicurezza israeliani, e cedendo alle suggestioni delle piazze, sapientemente orientate dai regimi dispotici che vogliono distruggere Israele.

Il fatto che Abu Mazen sia meno contrariato del governo israeliano e di Hamas conta ben poco, visto che l'ANP si è legata mani e piedi ai fondamentalisti islamici che governano la Striscia di Gaza.
Il fatto che alcuni giornali oggi in edicola mettano sullo stesso piano il rifiuto di Hamas - una organizzazione terroristica che controlla col terrore la Striscia di Gaza (e presto anche la Cisgiordania) e che promette di voler distruggere Israele - e quello del governo Netanyahu, legittimamente e democraticamente eletto, la dice lunga sulla clamorosa miopia di alcuni commentatori.

Come rileva lucidamente Carlo Panella, è un discorso retorico ma privo di contenuti e scarsamente efficace, quello pronunciato ieri da Barack Hussein Obama dopo l'ormai "celebre" discorso del Cairo. Prima degli stessi americani, chi vive in Medio Oriente ha capito da tempo di avere a che fare con un bluff, irrilevante sul piano politico. Carter era più efficace, ed è tutto dire.

Pensare che Gerusalemme possa essere di nuovo divisa in due, con il Muro del Pianto (che si trova nella città vecchia; "Gerusalemme Est", si diceva una volta...) che tornerebbe ad esser un pisciatoio, come lo è stato sotto l'occupazione araba negli anni compresi fra le due guerre del 1948 e del 1967, è semplicemente assurdo, oltre che oltraggioso per tutti coloro i quali credono ad un Dio.

Per non parlare della risposta fermamente negativa di Hamas, che quantomeno un merito ce l'ha: evidenzia che il problema non è quello di qualche chilometro quadrato della Cisgiordania in cui abitano gli ebrei. No, la "dirigenza" palestinese non è sensibile al problema degli "insediamenti": vuole tutta Israele, "dal Giordano al mare", gettando nel Mediterraneo tutti gli israeliani che legittimamente la popolano dal 1948. Con buona pace delle anime belle occidentali che ancora credono alle favole...


Carlo Panella, " Barack genio della retorica e dilettante della politica" (LIBERO):

Barack Obama è riuscito a scontentare tutti: israeliani come palestinesi. Il suo “secondo discorso all’Islam” ha dimostrato ancora una volta che il presidente americano è tanto bravo a toccare i tasti della retorica, quanto incapace di affrontare con chiarezza le crisi internazionali reali, a partire da quella israelo palestinese. Da questa seconda parte del suo discorso è dunque indispensabile partire, non solo per la immediata reazione negativa dell’una come dell’altra parte, ma anche perché per l’Islam la questione palestinese è la cartina di tornasole per verificare i reali comportamenti degli Usa. Obama ha dunque scontentato la parte israeliana perché ha affermato che «Israele deve tornare ai confini del 1967». Frase che Obama ha voluto oscura e generica – per non prendere posizione sui nodi della trattativa - e che suona inaccettabile per Gerusalemme. I confini del 1967, infatti, separavano non solo la Cisgiordania e Gaza da Israele, ma anche dividevano in modo inaccettabile Gerusalemme stessa. Il Muro del Pianto faceva parte della Gerusalemme araba e gli ebrei non potevano neanche recarvisi a pregare. È evidente che lo status di Gerusalemme deve essere ancora oggetto di una complessa trattativa, ed è chiaro che Obama avrebbe dovuto dire qualche cosa nel merito. Ma si è guardato bene dal affrontare questo nodo ineludibile. Non solo, gli Usa hanno sempre sostenuto che i confini tra Israele e Palestina devono essere oggetto di modifiche e di compensazioni e Netanyahu ha avuto buon gioco per ricordare a Obama che ha smentito solenni posizioni ufficiali dei suoi predecessori. Obama è però riuscito a creare imbarazzo anche ad Abu Mazen, perché ha ribadito la necessità di «preservare la sicurezza di Israele e di riconoscerne il diritto a esistere». Ma Abu Mazen sta varando un governo di unità nazionale con Hamas che non è affatto disposta a accettare queste due condizioni, tanto che i suoi leader hanno immediatamente rigettato con sdegno «l’indebita ingerenza americana», ribadendo: «Noi comunque non accettiamo la politica di Obama e non accettiamo la sua richiesta di riconoscere quello che lui ha definito lo Stato ebraico». Ora Abu Mazen si trova in mezzo al guado. Aulica, la prima parte del discorso in cui Obama ha preso atto della svolta imposta nei Paesi arabi dalle recenti rivolte. Avrebbe fatto meglio a assumere questa posizione anche quando tacque a fronte della rivolta dell’Onda Verde iraniana, ma comunque è un riconoscimento positivo. Con un limite. A fronte della repressione messa in atto dal regime siriano, la più feroce mai vista, Obama ha usato di nuovo una frase ambigua: «Assad faccia le riforme o lasci il potere». Ma è chiaro che Assad non ha nessuna intenzione di fare riforme nel momento in cui riempie le fosse comuni dei corpi degli oppositori falciati dalle sue milizie. E per costringerlo a lasciare il potere c’è bisogno di una pressione anche degli Usa che non c’è stata, perché, sino a pochi giorni fa, l’amministrazione Obama definiva Assad «un riformista». E che ora è tardiva.

Gerusalemme Est? e che sarebbe?



Gerusalemme Est non esiste. Gerusalemme, capitale di Israele, è sempre stata una e indivisibile.
Questo fino al 1948, quando gli stati della Lega Araba disconobbero la risoluzione ONU del 1947 che prevedeva la costituzione di due stati - Israele e Palestina - al posto del mandato britannico in Palestina (il "popolo palestinese" in effetti non è mai esistito, prima del 1948: è stato creato dall'ONU).
Nel 1948 la lega araba dichiarò guerra ad Israele, non prima di aver convinto la popolazione araba che viveva in Israele a fuggire, rifugiandosi nei paesi arabi confinanti, con la promossa che presto sarebbe tornata in Israele, impossessandosi di tutte le abitazioni degli ebrei. L'esercito della Giordania invase i quartieri orientali di Gerusalemme, ma la Lega Araba perse la guerra, e Israele potè continuare a vivere.
Nel frattempo, gli arabi che furono convinti dagli arabi a lasciare Israele, sono rimasti ammassati in campi profughi, al confine con Israele, privi di diritti, di lavoro, di cibo, di dignità. Palestinesi ridotti in condizioni drammatiche da altri arabi, a cui fa comodo questa condizione di prostrazione in quanto più facilmente assoggettabile ai propri fini.

"Gerusalemme Est" ha smesso di essere tale 44 anni fa, quando Israele fu nuovamente attaccata, e nuovamente vinse la guerra contro gli aggressori. L'esercito giordano fu cacciato via dai quartieri orientali di Gerusalemme, e Gerusalemme è tornata ad essere pienamente e legittimamente la capitale di Israele.
Quando si parla di "insediamenti" a "Gerusalemme Est", si fa riferimento ad una legittima attività edile di uno stato sovrano sul proprio territorio. Quando il comune di Roma costruisce abitazioni a Trastevere, non si pone certo il problema di chiedere il consenso del Vaticano, a cui quei terreni appartenevano prima dei combattimenti culminati nel 1870 con la "breccia di Porta Pia".
Per cui il progetto relativo alla costruzione di 1.550 nuovi alloggi nei quartieri Pisgat Zeev e Har Homa, a maggioranza araba, rientrati nella disponibilità di Israele dopo la guerra del ’67, è pienamente legittimo, malgrado secondo Obama essi dovrebbero far parte del nuovo Stato palestinese.

P.S.: Nel commentare il discorso di ieri di Obama - che a quanto pare ha scontentato tutti - il Corriere della Sera di oggi correttamente titola: "No di Gerusalemme", sottintendendo la capitale di Israele. Non come "Il Messaggero", che l'altro giorno in modo grottesco ha localizzato gli incontri fra Napolitano e il premier israeliano a Tel Aviv, che in effetti non è la capitale dello stato ebraico, e dove in effetti Napolitano non ha messo piede. Per difendere le proprie posizioni errate si è disposti anche a rimediare queste figuracce...

mercoledì 18 maggio 2011

L'Iran è sempre più isolato



Interessante appunto di Andrea Gilli su Epistemes.org: la Russia ha deciso di non vendere più i missili terra-aria S300, fondamentali per la difesa dalle incursioni aeree.
E' facile immaginare che queste armi avrebbero rappresentato un forte deterrente per i caccia israeliani, di cui si auspicherebbe ora l'utilizzo per la distruzione delle sempre più minacciose installazioni nucleari del regime a Bushehr.

Effetti collaterali benigni dell'antisemitismo



La bandiera più venduta al mondo: quella di Israele.

La bandiera più bruciata al mondo: sempre quella di Israele.

Il bicchiere può sempre essere visto mezzo pieno...

martedì 17 maggio 2011

Napolitano e l'ambasciata palestinese a Roma



Napoletano un po' frettolosamente ha dichiarato che presto a Roma sarà aperta una ambasciata palestinese.
Ora, come si concilia questa promessa con il fatto che
1) non esiste uno stato di Palestina;
1b) secondo gli Accordi di Oslo, uno stato palestinese sarà il punto di arrivo di negoziati bilaterali, e non di una dichiarazione unilaterale;
1c) per buona parte del 2010 il governo israeliano ha atteso invano Abu Mazen a negoziati di pace, e in cambio ha sospeso gli insediamenti nei territori contesi. Una volta scaduto il termine, un po' puerilmente, Abu Mazen ha lamentato la ripresa dell'attività edile, come elemento di contrasto all'avvio di negoziati di pace.


2) questa decisione spetta al governo, non al presidente della repubblica;

3) al governo palestinese c'è Hamas, un'organizzazione terroristica tale riconosciuta dall'Unione Europea? Ci mettiamo in casa l'ambasciata di uno stato virtualmente "canaglia", amministrato da un movimento che dichiara di volere la distruzione di uno stato confinante, legittimamente in essere?

4) dai tempi in cui Arafat era nostro "ospite", la delegazione palestinese a Roma viene pagata dai contribuenti italiani: unico caso al mondo di una "ambasciata" finanziariamente non alle dipendenze della patria di origine.

Meglio rimandare le elezioni, non si sa mai...



Le elezioni nei territori palestinesi (Striscia di Gaza e Cirgiordania) sono state spostate da luglio a non prima di ottobre. Comunque dopo l'atteso voto dell'assemblea generale dell'ONU sul riconoscimento dello stato di Palestina.
L'ultima volta che si è votato risale al 2006: allora le due fazioni che governano i palestinesi - Hamas e Al Fatah - terminarono con un sostanziale testa a testa (44% contro 41%). Lo stallo che ne conseguì e la necessità di collaborare portarono l'organizzazione terroristica Hamas ad estromettere il movimento di Abu Mazen dalla Striscia; con le buone o con le cattive. Di fatto Gaza è controllata dal 2007 da Hamas in seguito ad un colpo di stato.
Il timore di molti è che le prossime elezioni possano comportare analoga sorte per la Cisgiordania: con un siluramento dell'Autorità Palestinese e una amministrazione ad opera dei terroristi di Hamas.

Hamas continua a rifiutare le precondizioni dettate dal Quartetto (ONU, USA, UE e Russia) per il riconoscimento di un futuro stato palestinese: la rinuncia alla violenza, il riconoscimento dello stato di Israele e l'accettazione dei trattati sottoscritti. E continua a detenere in prigionia Gilas Shalit, sequestrato in territorio israeliano nel 2006.

Nel frattempo il presidente della Repubblica Napolitano, in visita in Israele, ha affermato che l'Italia potrebbe presto ospitare una ambasciata palestinese. Siamo in attesa di una analoga rappresentanza dello "stato" di Padania, e ci chiediamo cosa osta all'istituzione di una più sacrosanta ambasciata del Tibet.
In ogni caso, se le parole di Napolitano dovessero avere seguito, l'Italia entrerà nel club dei paesi europei che ospitano un'ambasciata palestinese: l'elenco, ad oggi, è composto da Albania, Bielorussia, Bosnia, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Ungheria, Malta, Norvegia, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Ucraina e Vaticano. Mancano gli stati più seri: Regno Unito, Germania, Francia, Spagna e tutti gli altri...

lunedì 16 maggio 2011

I profughi palestinesi usati come mezzo



E' triste constatare come dopo diversi decenni, centinaia di migliaia di essere umani sono ammassati negli stati confinanti con Israele - Siria, Giordania, Libano - in squallidi campi profughi, senza diritti, senza lavoro, senza cibo, senza dignità, discriminati, talvolta vessati e spesso esasperati dagli stati ospitanti.
Bisogna ricordare che gli arabi israeliani lasciarono Israele nel 1948 convinti dagli stati confinanti, che paventarono per loro rischi concreti per la loro stessa vita, e ventilarono l'ipotesi di un immediato ritorno dopo le guerre scatenate contro Israele dopo il 1947.
Sono passati 63 anni, quei profughi hanno generato figli, poi nipoti, ma sono sempre rimasti ammassati ai confini con Israele, in condizioni disperate. Mai integrati, mai dotati di diritti (chessò, al voto), di lavoro, di una misera abitazioni. Spesso discriminati dagli altri arabi, mentre gli arabi che tuttora vivono in Israele godono di diritti come in nessun altro posto in Medio Oriente - fra l'altro, possono votare ed essere eletti in parlamento; e possono legittimamente contestare nella Knesset il governo, come in ogni altro stato democratico.
Triste constatare l'inutilità dell'Unifil, che staziona nella parte meridionale del Libano, dove opera attivamente Hezbollah. I nostri soldati sono dissuasi dall'intervenire "per non surriscaldare ulteriormente gli animi" (ma allora che stanno a fare lì?), e nel frattempo assistono passivamente al contrabbando di armi, alla militarizzazione di quest'area che altrimenti avrebbero dovuto smilitarizzare.
Triste constatare come uno stato debba essere quotidianamente sottoposto ad attacchi di ogni tipo e da diversi fronti, senza che il mondo occidentale - pavido: basti vedere come si stia girando dall'altro lato a fronte del genocidio in Siria ad opera del regime di Assad - abbia nulla di dire a difesa dell'unico bastione di democrazia del Medio Oriente. Ma come efficacemente sintetizza lo striscione qui in basso, costoro non voglio democrazia e libertà (come qualche ingenuo buontempone vaticinava con l'avvento della "primavera araba"); vogliono soltanto l'Islam, con tutto il suo pesante carico di privazioni delle libertà individuali, di applicazione della shaaria, di discriminazione delle altre religioni, di sottomissione della donna e di assoggettamento dello stato ai precetti del corano.

venerdì 13 maggio 2011

Siete cristiani? andate a vivere in Israele!



Se proprio avete voglia di cambiare vita e di prediligere usi e costumi del fascinoso Medio Oriente, e se per caso siete di religione cristiana, l'unico stato (peraltro l'unica democrazia) di quell'area geografica dove la popolazione cristiana è in aumento, è appunto lo stato con capitale Gerusalemme.
In tutti gli altri stati dell'area, infatti, i cristiani sono vittima di persecuzioni, discriminazioni, privazione di diritti, maltrattamenti e violenze; e uccisioni. La triste novità infatti è che oggi non è più loro concesso di praticare la propria religione, a patto di accettare la condizione di inferiorità che va sotto il nome di "dhimmi". Se in Turchia i cristiani sono ora appena 85 mila, a fronte dei due milioni di qualche tempo fa, il problema ci deve essere, e serio pure. In Libano, i cristiani erano maggioranza; ora sono 1/3 della popolazione. In Siria rappresentano soltanto il 4%; in Giordania, il 2%. In Iraq la popolazione di religione cristiana ammontava a 1.4 milioni di coraggiosi individui; oggi risulta dimezzata.
Quello che stanno subendo i cristiani in Medio Oriente - malgrado l'oltraggioso silenzio del Vaticano - è quanto già sperimentato sulla propria pelle dagli ebrei residenti nel Nord Africa e in MO nei vent'anni successivi alla costituzione dello stato di Israele: un esodo biblico, frutto delle persecuzioni di stato.
C'è un solo stato, nel Medio Oriente, in cui la popolazione cristiana è aumentata, dal Dopoguerra ad oggi: ed è lo stato di Israele. I cristiani erano 34 mila nel 1949; ammontano oggi a 163 mila, e cresceranno a 187 mila per la fine del decennio.

Fonte.

Stranezze borghesi per iPhone



Per tutti i fanatici filo-palestinesi è ora disponibile un'applicazione che aggiorna su tutto ciò che succede a Gaza e in Cisgiordania: supponiamo, uccisione di fintopacifisti amichetti degli sgherri di Hamas e uccisi sul posto, lanci di razzi contro scuolabus, sequestro di soldati in territorio straniero, sgozzamento di famiglie sorprese nel sonno, pianificati attentati ai danni di civili israeliani, ecc.
No, forse stiamo vaneggiando. Una entusiasta recensione precisa che l'applicazione per iPhone segnalerà i "blitz" israeliani nella Striscia. Peccato che l'app non si riveli sufficientemente tempestiva: sarebbe più opportuno segnalare gli attacchi dalla Striscia nei confronti delle città meridionali di Israele, mediante razzi Qassam e granate, che inevitabilmente provocano la successiva reazione dell'esercito di Gerusalemme.
Ad ogni modo, questa applicazione ci toglie un grosso macigno dalla coscienza: pensavamo che i palestinesi se la passassero molto male, al punto da rendere necessari i cospicui finanziamenti dell'Occidente per il semplice sostentamento. E invece apprendiamo che dispongono di un reddito talmente elevato da potersi permettere un costoso telefonino di ultima generazione.

giovedì 5 maggio 2011

Prima che nasca la Palestina occorrerà deporre le armi



Se si dovesse contare sull'umano buon senso (non sempre una prospettiva realistica), bisognerebbe concludere che i recenti "accordi" (tattici?) fra Hamas e al Fatah minacciano di ritardare, anziché accellerare, la prospettiva di uno stato di Palestina.
Il primo ministro inglese Cameron ha precisato che il Regno Unito non riconoscerà (a settembre, NdR) uno stato di Palestina, se prima non ci sarà rinuncia al terrorismo. Paradossalmente, malgrado gli Accordi di Oslo rendano necessario giungere a questo obiettivo dopo un negoziato bilaterale, e non mediante forzatura e annunci unilaterali (come si accingeva a fare Abu Mazen); un governo palestinese unitario a probabile guida Hamas (che ha dichiarato di non voler rinunciare al terrorismo, di non voler riconoscere Israele e di non voler onorare i trattati sottoscritti dall'OLP di Arafat) rischia di azzerare le possibilità che a settembre l'assemblea generale dell'ONU procedesse ad un riconoscimento dello stato di Palestina, sulla scia di quanto fatto da alcuni pittoreschi paesi sudamericani e anche da alcuni stati europei.
Ciò darebbe ragione a chi ritiene la mossa di Hamas dettata dalla disperazione di trovarsi in un angolino, dopo la crisi del regime siriano di Assad, sponsor principale dell'organizzazione terroristica che con un colpo di stato governa Gaza dal 2007. Il governo palestinese unitario insomma sarebbe una mossa tattica e contingente; non una strategia. E pertanto, destinata a durare poco e ad essere travolta dagli eventi e dalle reciproche incomprensioni.

P.S.: "Come stato, non tollereremo mai una minaccia alla nostra sicurezza, ne' resteremo passivi quando la nostra gente sarà ammazzata. Difenderemo i nostri cittadini senza un attimo di riposo".
Non l'ha detto il primo ministro israeliano Netanyahu, riferendosi agli attacchi dei terroristi islamici di Hamas. L'ha detto Obama, riferendosi agli attacchi dei terroristi islamici di al Qaeda. Il parallelo fra Hamas e al Qaeda regge benissimo...

mercoledì 4 maggio 2011

I palestinesi "moderati" non esistono (più?)



Brutto colpo per le anime belle occidentali, che credevano alla favola della primavera araba, e ancor prima hanno creduto che esistesse un fronte palestinese "moderato": Abu Mazen (sì, quello che ha scritto una tesi di laurea in cui - al pari di Ahmadineejd - nega l'Olocausto e lo sterminio di sei milioni di ebrei) ha completato il suo suicidio politico, allineandosi completamente alle posizioni dell'organizzazione terroristica Hamas, che da quattro anni controlla la Striscia di Gaza.

Giova ricordare che:

- Hamas ha vinto le elezioni nella Striscia di Gaza del 2006 (44% contro 41%, se non ricordo male), che l'anno dopo ha silurato tutti i rappresentanti legittimamente eletti di al Fatah, compiendo di fatto un colpo di stato, e allontanando con la violenza tutti gli uomini di Abu Mazen. Spesso con metodi diciamo così "poco democratici": lanciando dal tetto delle abitazioni i funzionari di al Fatah, fino alla loro decimazione.

- Hamas è un'organizzazione terroristica, tale riconosciuta da Unione Europea e Stati Uniti, oltre che da Israele, ovviamente.

- A differenza di Abu Mazen, Hamas ha deplorato l'uccisione di Bin Laden (c'è da aggiungere altro?);

- Hamas non intende rinunciare al terrorismo, non intende riconoscere Israele, uno stato democratico, non intende recedere dal proposito di annientare Israele e tutta la sua popolazione; principio sancito nel suo atto costitutivo. E non intende rispettare i trattati internazionali sottoscritto dall'OLP di Arafat, fra cui gli Accordi di Oslo del 1993.

- Hamas conserverà il potere a Gaza (il potere di intimidazione è ancora notevole), e vincerà facilmente le elezioni che si terrannno in Cisgiordania "entro un anno", esautorando completamente "i moderati" dal potere.

P.S.: Trovo esemplare del livello di democrazia vigente in Israele, la circostanza secondo cui ieri, in una sessione alla Knesset (il parlamento israeliano) Ibrahim Sarsoor, della lista araba pro Hamas, abbia preso la parola per tessere le lodi del fondatore di Al Queda. Nessuno può difendere Osama Bin Laden e i suoi sgherri; ma il punto è: ve lo immaginate un deputato ebreo che dovesse intervenire in un futuro parlamento palestinese per onorare la memoria di un "martire sionista"? Io no.

martedì 3 maggio 2011

Che fine ha fatto Ahmadinejad?



Continuano le frizioni in Iran. Due settimane fa Ahmadinejad ha silurato il ministro responsabile dell'Intelligence. Una settimana dopo è stato cazziato da Khamenei, la "guida suprema spirituale", che ha fatto pressioni per rimettere il ministro al suo posto. A quel punto A. è scomparso dalla ribalta pubblica, rimanendo confinato nella sua abitazione, mentre K. sottolineava pubblicamente la disubbidienza del suo "protetto".

A. sta cercando ora di uscire dall'angolo, cospargendosi il capo di cenere e riconoscendo la leadership di K., che l'ha spalleggiato in occasione dei tumulti ("Onda Verde") successivi alla sua dubbia rielezione del 2009. Ma restano i dissidi sullo sfondo, e la storia dell'Iran insegna che a mettersi contro la guida suprema spirituale si perde la poltrona, e spesso non solo quella. Rimane il contrasto ideologico, e quello legato al ruolo dell'Iran nei disordini in Bahrain e in Arabia Saudita.

Le tensioni al vertice in Iran potrebbero essere sfruttate da Israele, che secondo fonti iraniane starebbe ammassando aerei in una base americana in Iraq. Il programma di arricchimento dell'uranio a scopi bellici in Iran non è cessato, e secondo fonti dell'intelligence americana mancherebbero pochi mesi al completamento della prima bomba atomica del regime iraniano. Al pari di quanto fatto in Siria alcuni anni fa, l'IAF potrebbe approfittare di questo vuoto al vertice di Teheran per eliminare una pericolosa minaccia per Israele e in generale per tutto il Medio Oriente.

E secondo il NYT, che cita un giornale arabo stampato a Londra, Hamas potrebbe sloggiare dalla Siria e trovare una nuova sede in Qatar, in seguito ai contrasti con il governo di Damasco che pretende l'appoggio dell'organizzazione terroristica che controlla Gaza in relazione alla brutale repressione di queste settimane (oltre 500 morti). Perdere l'"ufficio di rappresentanza" di Hamas sarebbe un brutto colpo per il prestigio di Damasco nell'area.
Hamas dovrebbe firmare domani in Egitto l'accordo di riconciliazione con Al Fatah, che governa la Cisgiordania, onde pervenire ad un governo unitario (verosimilmente a guida Hamas, con il conseguente suicidio politico di Abu Mazen; ma questo è un altro discorso...) e ad elezioni entro un anno. Ma Hamas ha stigmatizzato l'uccisione di Osama bin Laden, a differenza di Abu Mazen, che ieri ha salutato come benvenuta la morte del leader di Al Queda. Una crepa difficile da ricomporre...