sabato 16 aprile 2011

La guerra sbagliata del "pacifista" nemico di Israele



Purtroppo questo intervento del vicedirettore del Corriere compensa soltanto in parte la sbandata antisionista di ieri, con l'intervento ancora una volta scomposto di Battistini. Ho lo stomaco in subbuglio per la retorica da quattro soldi spesa per un amichetto dei terroristi che chiamava ratti gli israeliani (anzi, i "sionisti"), e che se la faceva tutti i giorni con gli sgherri di Hamas. Malgrado i tentativi patetici dei filopalestinesi di respingere la nemesi che ha colpito il loro caro, non riesco a provare nemmeno una umana pietà.

Si stenta persino a capire in quali abissi di bestialità possano essere piombati gli uomini che hanno trucidato Vittorio Arrigoni a Gaza. Quali giustificazioni può avere l’enormità disumana del loro gesto? E invece il fanatismo folle ha questo di peculiare: il trattare gli esseri umani come oggetti da torturare, se la Causa lo impone. Il sacrificare gli innocenti, se il sangue versato può essere utile alla guerra santa. Perciò il corpo martoriato di Arrigoni suscita pietà due volte. Pietà per il rito cruento che lo ha barbaramente annientato. Pietà per lo sgomento e la disillusione che Arrigoni deve aver provato negli ultimi momenti della vita, prima di essere ucciso da chi era stato il destinatario, ingrato, del proprio impegno e del proprio aiuto. Eppure l’efferatezza dell’esecuzione di Arrigoni ha una sua logica, un’allucinata ma coerente sequenza politica e ideologica in grado di ispirare un gesto così vigliacco. Arrigoni aveva consacrato se stesso alla causa palestinese, con un’adesione totalizzante, assoluta, mistica, senza riserve, dubbi, sfumature. Una causa che ai suoi occhi si identificava con un odio altrettanto assoluto nei confronti dello Stato di Israele, descritto e demonizzato nel suo blog come l’espressione di ogni nefandezza, la manifestazione di uno scandalo storico che non ammetteva mediazioni e non concedeva nulla, ma proprio nulla, alle ragioni del Nemico. «Demonizzazione» , in questo caso, è più di una metafora. Nel suo blog Arrigoni invocava la dannazione per i «demoni sionisti» che agitavano gli orrori dello «Stato ebraico» . Aveva trattato Roberto Saviano, colpevole di aver aderito a una manifestazione a difesa di Israele, come un «propagandista dei crimini» . Definiva il sionismo «disgustoso» . Scomunicava al Fatah come una centrale di «venduti alla causa di Israele» . Condannava Shimon Peres come un mostro che «bruciava bambini con il fosforo bianco» . Non aveva mezze misure, chiaroscuri, sfumature. Ha detto una volta: «Io i libri di Yehoshua, Grossman e Oz non li leggo perché sono sporchi di sangue» . Proprio così: «Sporchi di sangue» . Oggi dobbiamo provare pietà per come lo hanno ucciso, ma Arrigoni non aveva pietà per Gilad Shalit, il giovane israeliano ostaggio da oltre 1700 giorni dei carcerieri di Hamas, e diceva che gli appelli per Shalit «intasano l’etere» , moleste e ripetitive invocazioni per salvare una vita. «Restiamo umani» , amava dire Arrigoni. Ma certe volte il fanatismo ideologico ispira ineluttabilmente parole disumane. E troppa disumanità ha macchiato un conflitto interminabile come quello che da decenni impegna il Medio Oriente. Lui con le ragioni di Hamas si identificava in toto. E gli era difficile immaginare che un gruppo terroristico ancora più oltranzista, feroce, sanguinario avrebbe potuto scavalcare in fanatismo chi incarnava le ragioni del «popolo palestinese» . La sua furia per ciò che riteneva il Bene supremo e non negoziabile era tale, da non riconoscere come centrale dell’identità storica contemporanea il Male che si era abbattuto sugli ebrei, vittime di un crimine enorme e imprescrittibile. Oggi, all’indomani di un omicidio tanto barbaro, sarebbe tuttavia disonesto, in primo luogo per il rispetto dovuto alla memoria di Arrigoni, offrire per la vittima del fanatismo un ritratto angelicato, falso, edulcorato. Sarebbe un’impostura, come quella di chi ha addirittura proposto il premio Nobel con cui insignire post mortem il militante filo-palestinese assassinato: perché Vittorio Arrigoni non era un pacifista, era un fiero e coraggioso combattente di una guerra per la quale si era generosamente speso con tutto se stesso. Era il combattente di una guerra sbagliata, ma questo non può diminuire l’ammirazione per la sua dedizione. Oggi, nei siti filo-palestinesi intossicati da un complottismo irriducibile, circola ovviamente la leggenda della responsabilità di Israele (e della Cia e del Mossad) per il rapimento e l’assassinio di Arrigoni. La spregiudicatezza falsificatrice di queste ricostruzioni grottesche è pari alla cronica incapacità di scorgere che anche nella parte da loro considerata «giusta» possa annidarsi il virus della violenza cieca e bestiale, del fanatismo disumano di chi conosce solo il linguaggio del Terrore. Israele è il colpevole di tutto, per definizione, e dunque anche del massacro di Arrigoni. È il Male, per definizione, e dunque è solo la sua malvagità ad aver armato la mano degli assassini. «Restiamo umani» , invocava Arrigoni nei suoi scritti. Purché nell’umanità di chi ne rivendica l’eredità la menzogna sistematica non prenda il posto della saggezza. E un nuovo fanatismo metta a tacere la pietà per un uomo strozzato da mani che forse credeva amiche. Una tragedia, che i complottisti non hanno il diritto di ridurre a una farsa.

Nessun commento:

Posta un commento